Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21883 del 30/08/2019

Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 30/08/2019), n.21883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29402/2018 proposto da:

D.Y., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso

la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avv. Antonio Fraternale giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (C.F. (OMISSIS));

– intimato –

avverso la sentenza n. 716/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 31/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/6/2019 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Ancona, con ordinanza in data 31 ottobre 2016, respingeva la domanda presentata da D.Y. perchè gli fosse riconosciuto il diritto alla protezione internazionale negatogli dalla competente commissione territoriale;

2. la Corte d’appello di Ancona, a seguito dell’impugnazione proposta dal richiedente asilo, rilevava che la vicenda narrata dal ricorrente (il quale aveva riferito di essere stato costretto a partire dal Senegal a causa di una relazione sessuale intrattenuta con una donna sposata, moglie del figlio del nuovo marito della madre, per le minacce di morte ricevute) risultava generica, scarsamente credibile e comunque inquadrabile in un contesto di tipo privato ed evidenziava poi come apparisse del tutto generico e inverosimile il timore del migrante di essere ucciso dal fratellastro in caso di ritorno in patria, non essendo stata sufficientemente circostanziata la ragione per la quale questi non aveva denunciato le minacce ricevute alla polizia;

la corte distrettuale, dopo aver negato non solo il riconoscimento dello status di rifugiato ma anche il ricorrere dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, dato che non vi erano elementi per ritenere che il migrante potesse subire un grave danno in caso di rimpatrio e dovendosi escludere che in Senegal vi fosse una situazione di violenza indiscriminata, rilevava da ultimo che non erano state specificamente allegate nè potevano ritenersi dimostrate specifiche situazioni soggettive che giustificassero la concessione della protezione umanitaria e, di conseguenza, rigettava l’appello con sentenza pubblicata in data 31 maggio 2018;

3. per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso D.Y. prospettando un unico, articolato, motivo di doglianza;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. il motivo di ricorso presentato, sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nella parte in cui viene dedotta la statuizione di sostanziale irrilevanza ed inattendibilità dei fatti narrati dal ricorrente ai fini del riconoscimento delle protezioni maggiori ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con conseguente omesso esame della situazione endofamiliare del richiedente e del rischio del danno grave ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, assume che la corte territoriale, nel ritenere che la vicenda raccontata avesse una connotazione privata e familiare, avrebbe trascurato di considerare che il migrante aveva rappresentato una situazione di pericolo per la propria incolumità personale ad opera di un organo non statuale che legittimava, stante l’impossibilità di assicurargli adeguata protezione da parte del sistema statale, il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b);

il collegio d’appello avrebbe peraltro omesso di valutare le medesime circostanze ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo necessario dedurre fatti o ragioni diverse o alternative;

5. il motivo è nel suo complesso inammissibile;

5.1 è indubbio che il giudice debba valutare la domanda di protezione internazionale equiparando, in applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, le situazioni di persecuzione o danno grave di cui sono responsabili lo Stato ovvero i partiti o le organizzazioni che lo controllano a quelle determinate da soggetti non statuali, nel caso in cui l’organizzazione statuale o le organizzazioni internazionali non possano o non vogliano fornire protezione;

il mezzo in esame, tuttavia, muove da un presupposto in fatto, costituito dall’impossibilità per il migrante di poter ottenere protezione da parte dello Stato, che contrasta con gli accertamenti compiuti dal giudice di merito, a dire del quale non solo appariva generico ed inverosimile il timore dell’appellante di essere ucciso dal fratello in caso di rimpatrio, ma non era stata neppure circostanziata la ragione per la quale egli non aveva denunciato le minacce alla polizia;

a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

5.2 la corte territoriale, inoltre, ha riscontrato come non fossero state allegate nè potessero ritenersi dimostrate specifiche situazioni soggettive idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria;

in questo modo la Corte d’appello ha inteso sostenere che al fine del riconoscimento della protezione umanitaria non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine, poichè tale misura, atipica e residuale, è il frutto della valutazione di una specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente e dunque richiede che all’allegazione delle condizioni generali del paese di origine si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità;

a fronte di questi argomenti il ricorrente si è limitato a lamentare la mancata valutazione della situazione del paese di origine anche al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, senza cogliere e criticare la ratio decidendi posta a base, su questo punto specifico, della decisione impugnata;

il che comporta l’inammissibilità della critica, dato che il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017);

6. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite;

il ricorrente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non è tenuto, benchè l’impugnazione sia stata rigettata, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater (Cass. 18523/2014, Cass. 7368/2017).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2019

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