Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21880 del 30/08/2019

Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 30/08/2019), n.21880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28034/2018 proposto da:

Z.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso

la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avv. Cristina Perozzi giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (C.F. (OMISSIS));

– intimato –

avverso la sentenza n. 261/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 28/2/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/6/2019 da PAZZI ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Ancona, con ordinanza in data 4 novembre 2016, respingeva la domanda presentata da Z.A. perchè gli fosse riconosciuto il diritto alla protezione internazionale o umanitaria negatogli dalla competente commissione territoriale;

2. la Corte d’appello di Ancona, a seguito dell’impugnazione proposta dal richiedente asilo (il quale aveva raccontato di essersi allontanato dal Ghana sia per il pericolo di subire ritorsioni da parte dei parenti paterni, a causa del mancato pagamento di prestiti contratti dal genitore con istituti di credito, sia per il timore di essere condannato a morte o di essere soggetto a detenzione caratterizzata da trattamenti inumani o degradanti, perchè aveva favorito l’evasione di detenuti dalla prigione dove lavorava), rilevava che l’appellante non possedeva i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e aveva fornito una versione dei fatti inverosimile che impediva il riconoscimento della protezione sussidiaria;

la corte distrettuale, disattesa anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria in considerazione del fatto che il migrante non aveva allegato di rientrare in categorie soggettive per le quali erano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità, rigettava l’appello con sentenza pubblicata in data 28 febbraio 2018;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Z.A. prospettando tre motivi di doglianza;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, nonchè il difetto di motivazione, a motivo della mancata traduzione, pur in presenza di un obbligo di legge, della decisione della commissione territoriale e del decreto del Tribunale, che erano così risultati incomprensibili al richiedente asilo; nel contempo la doglianza assume la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e del principio convenzionale internazionale del non refoulement, oltre che la violazione delle norme costituzionali e CEDU in ordine al diritto a un processo giusto ed effettivo;

4.2 il motivo è inammissibile, rispetto a ciascuno dei profili di critica dedotti;

la sentenza impugnata non fa cenno alcuno alla questione relativa alla mancata traduzione delle decisioni assunte dalla commissione territoriale e dal Tribunale o al divieto di espulsione o respingimento per i motivi indicati dall’art. 19, comma 1, T.U.B.;

il silenzio serbato su queste questioni imponeva al ricorrente di allegare la loro deduzione avanti al giudice di merito e di indicare, in ossequio al principio di specificità del motivo, in quale atto tale deduzione fosse avvenuta; ciò in applicazione del costante orientamento di questa Corte secondo cui, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. 2038/2019, Cass. 15430/2018, Cass. 27568/2017);

il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di constatare l’inammissibilità della censura proposta in ragione della sua novità rispetto alle questioni poste avanti al giudice di merito;

5.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 11 e 17, art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, nonchè il difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria; in particolare il ricorrente ha inteso denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione, in ragione della natura meramente apparente o tautologica della motivazione presente in sentenza; in tesi di parte ricorrente la corte territoriale, facendo un’erronea applicazione delle norme in materia, avrebbe offerto una ricostruzione dei fatti non corrispondente al vero o quanto meno contraddittoria, perchè le attuali condizioni sociali, politiche ed economiche del Ghana erano gravemente preoccupanti, come già avevano riconosciuto vari Tribunali;

5.2 il motivo è inammissibile;

esso infatti, in presenza di una motivazione che argomenta compiutamente le ragioni per le quali il giudice di merito ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge per il riconoscimento della protezione sussidiaria, intende nella sostanza sollecitare una valutazione di opposto segno della situazione esistente in Ghana, nel senso più favorevole già indicato da alcuni giudici di merito;

in questo modo tuttavia la censura non si correla in alcun modo con il contenuto della sentenza della corte distrettuale, che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di credibilità della narrazione del richiedente asilo, e manca del carattere di riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere; nel contempo il mezzo, a fronte di un accertamento rientrante nel giudizio di fatto istituzionalmente demandato al giudice di merito, si limita a deduzioni astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi e si limitano a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda, malgrado la stessa non sia rinnovabile in questa sede; 6.1 il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione degli artt. 353 e 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria: la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni necessarie per la concessione del permesso umanitario, a dispetto del positivo percorso integrativo compiuto dal ricorrente, comprovato dai documenti prodotti, e della sua condizione di significativa fragilità;

6.2 il motivo è inammissibile, a prescindere da ogni questione concernente l’applicazione al caso di specie della disciplina normativa introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018;

la Corte d’appello ha accertato l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione, vuoi per il difetto assoluto di credibilità del racconto del migrante, vuoi per la mancata allegazione di differenti ragioni idonee a giustificare il riconoscimento di questa forma di protezionale residuale;

il mezzo in esame sconta il medesimo vizio del precedente, perchè trascura del tutto le ragioni addotte dalla corte distrettuale e sollecita, nel merito, una diversa valutazione della domanda presentata, fra l’altro allegando a tal fine questioni – quali l’esistenza di un percorso integrativo nel paese di accoglienza – a cui la sentenza impugnata non fa cenno e che dunque risultano inammissibili in questa sede in ragione della loro novità;

7. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite;

il ricorrente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non è tenuto, benchè l’impugnazione non sia stata accolta, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, (Cass. 18523/2014, Cass. 7368/2017).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2019

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