Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21880 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/10/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 09/10/2020), n.21880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1344-2016 proposto da:

C.I.A. CONFEDERAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI REGIONALE BASILICATA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 6, presso lo studio

dell’avvocato ELIO VITALE, rappresentata e difesa dall’avvocato

EMILIANO POTENZA;

– ricorrente –

contro

A.V., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANLUCA PALAZZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 233/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 07/08/2015 r.g.n. 741/2013.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

Che:

la Corte d’Appello di Potenza con sentenza n. 223 del sette maggio – sette agosto 2015 rigettava il gravame interposto il 28 agosto 2013 dalla Confederazione Italiana Agricoltori Regionale di Basilicata (in breve C.I.A.) avverso la pronuncia del 26 giugno 2013, con la quale il giudice del lavoro di Matera aveva accolto, per quanto di ragione, la domanda dell’attore A.V., nella misura di complessivi 140.384,05 Euro, oltre accessori di legge, a titolo di differenze retributive (128.373,87) e t.f.r. (12.010,18) in relazione all’attività espletata dal novembre 1985 sino al 18 marzo 2002, inizialmente presso la sede territoriale in (OMISSIS) della CONFCOLTIVATORI e poi, da marzo 1994, presso quella regionale di Potenza, peraltro mediante formalizzazione per iscritta del dedotto rapporto contrattuale soltanto in data 4 ottobre 1989;

a fondamento del decisum la Corte del merito osservava, in particolare, che pur risultando emersi elementi significativi dell’autonomia negoziale e contabile della struttura zonale del sindacato rispetto a quella regionale, tra cui lo stesso contratto del 4.10.1989, concluso con la CONFCOLTIVATORI – Confederazione Italiana Coltivatori Zona Metapontina esercente assistenza sindacale in (OMISSIS), ciò non valeva ad assolvere la CIA regionale dalla responsabilità per i debiti retributivi maturati verso l’ A. durante il primo periodo lavorativo, visto che a partire dal marzo 1994 la struttura mutò radicalmente, accentrando la CIA regionale su di sè tutti i precedenti rapporti facenti capo alle strutture periferiche, avuto riguardo a quanto dedotto dalla stessa parte appellante alle pagine 8 e 9 del proprio atto d’impugnazione, secondo cui in sintesi da quel momento le strutture locali furono “assorbite” in quella regionale, tanto da acquisirne anche gli impiegati, donde la successione del soggetto incorporante nei rapporti giuridici facenti capo all’associazione incorporata, con conseguente estinzione di quest’ultima, perciò senza neanche alcuna procedura di liquidazione al riguardo. Sul punto, inoltre, la Corte d’Appello citava il caso analogo deciso da Cass. lav. n. 19114/2014, relativo ad altra sentenza della stessa Corte distrettuale. Pertanto, anche nel caso di specie l’appello relativo all’eccepito difetto di titolarità passiva del credito azionato andava respinto, “per essere la CIA responsabile del medesimo in virtù del subentro per successione nei rapporti giuridici già in essere con la soppressa struttura di (OMISSIS)”;

relativamente alle reclamate differenze retributive, la Corte distrettuale, poi, con riferimento al primo periodo (1.11.1985/3.10.1989), di rapporto al nero, giudicava inapplicabile in via diretta qualsiasi c.c.n.l. di settore, cui era possibile riferirsi soltanto in via parametrica ex art. 36 Cost., in base al contratto collettivo per il commercio. Per contro, in relazione al secondo periodo (4.10.1989/28.2.1994) vi era prova documentale della disciplina del rapporto da parte del c.c.n.l. commercio e così anche per il successivo arco temporale (primo marzo 1994/18 marzo 2002), in quanto per effetto del richiamato fenomeno successorio la Cia regionale era subentrata nel medesimo contratto individuale già in essere tra l’ A. e la Confcoltivatori – zona metapontina, non risultando tra l’altro al riguardo nemmeno alcuna novazione. Sulla scorta di questi principi, pertanto, veniva disposta ed espletata apposita c.t.u. contabile, da cui emergevano differenze a credito del lavoratore, anche superiori a quanto in proposito deciso dal primo giudicante, la cui pronuncia veniva quindi confermata, in difetto di appello incidentale;

avverso la sentenza d’appello la suddetta C.I.A. ha proposto ricorso per cassazione in data 8 gennaio 2016 sulla base di due censure, cui ha resistito il sig. A.V. con controricorso spedito per la notifica il 18 febbraio 2016 (cfr. poi l’a.r. pervenuto a destinazione il successivo giorno 23);

in seguito parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la C.I.A. ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., per aver ritenuto che essa ricorrente con il suo precedente atto d’appello avesse ammesso di aver assorbito, con decorrenza primo marzo 1994, l’anzidetta struttura locale di (OMISSIS), introducendo così circostanze fattuali tali da far ritenere avvenuta l’incorporazione della sede territoriale nella struttura regionale, con ogni conseguente effetto giuridico, laddove il tenore testuale delle affermazioni impiegate era chiaramente e logicamente finalizzato a lumeggiare la pregnante autonomia negoziale, contabile e processuale di cui godevano le articolazioni locali rispetto alla struttura regionale. Di conseguenza, la decisione impugnata sul punto si fondava su prove inesistenti e circostanze mai dedotte da parte appellante;

con il secondo motivo, poi, la ricorrente, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, ha lamentato violazione e falsa applicazione degli artt. 36,37,38,2501,2504 bis e 2697 c.c., nonchè art. 12 disp. att. c.c., per aver la Corte di merito erroneamente ritenuto che a partire dal primo marzo 1994 le strutture locali furono assorbite in quella regionale in forza dell’incorporazione di un’associazione non riconosciuta in un’altra, così determinando un’ipotesi di successione dell’incorporante in tutti i rapporti dell’incorporata, dovendo negarsi l’applicabilità alle associazioni non riconosciute delle disposizioni in tema di incorporazione di associazioni riconosciute e di società, disciplinando gli artt. 2501 e segg., l’incorporazione con esclusivo riferimento alle società commerciali, tenuto altresì conto della connaturale estraneità delle associazioni non riconosciute al regime di pubblicità nel registro delle imprese, donde l’inapplicabilità alle associazioni non riconosciute della prospettata successione per incorporazione. Lo scioglimento di un’associazione non riconosciuta e la sua confluenza con altra o in altra associazione non riconosciuta non dava, infatti, luogo ad una successione a titolo universale dell’organismo nato dall’unificazione, o di quello di confluenza, nei rapporti dell’associazione estinta, non configurandosi tale operazione come una fusione o un’incorporazione in senso tecnico ex art. 2501 c.c., attesa l’impossibilità dell’iter relativo agli adempimenti in tema di pubblicità di cui agli artt. 2501 c.c. e segg., prescritti inderogabilmente al fine di salvaguardare le ragioni dei terzi. Di conseguenza, secondo la ricorrente, “ove ne venga disposto lo scioglimento per confluenza…, l’associazione non riconosciuta non si estingue se e fino a che persistano rapporti giuridici pendenti di cui sia titolare, restando in vita allo scopo della relativa compiuta definizione”. Pertanto, in violazione degli artt. 2501 e 2504 bis c.c., erroneamente era stata ritenuta configurabile nella specie una successione per incorporazione della sezione di (OMISSIS) nella C.I.A. Basilicata, con conseguente successione a titolo universale di essa attuale ricorrente in tutti i rapporti giuridici riconducibili all’associazione incorporata ed estinta; le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico giuridico vanno trattate unitariamente, sono infondate, oltre che inammissibili per carenza di autosufficienza, segnatamente ex art. 366 c.p.c., n. 6 (non risultando compiutamente allegati i fatti di causa, soprattutto mediante esauriente riproduzione dell’atto di appello, di cui si assume invece una inesatta interpretazione da parte della Corte distrettuale). Per giunta, non è stata individuata con precisione alcuna quaestio facti per la quale si assume, invero genericamente, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Inoltre, irritualmente in questa sede di legittimità parte ricorrente pretende una rivisitazione di quanto per contro accertato in punto di fatto dalla Corte di merito, esclusivamente competente al riguardo, per ciò che attiene all’appurato assorbimento delle strutture locali da parte della C.I.A. regionale, a far luogo dal marzo 1994;

quanto, poi, ai pretesi vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, fermo restando che sul punto sono insindacabili in questa sede i motivati accertamenti in fatto operati dai giudici del merito, vanno qui ribadite le argomentazioni in diritto di cui alla sentenza di questa Corte, sezione lavoro, n. 19114 in data 12 giugno/10 settembre 2014, che rigettava analogo ricorso della stessa C.I.A. regionale della Basilicata avverso altra consimile pronuncia della Corte d’Appello di Potenza, nel senso che secondo la giurisprudenza di legittimità, i comitati non riconosciuti, come le associazioni non riconosciute, pur non essendo persone giuridiche, sono autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, potendo ad essi attribuirsi la titolarità di diritti sia obbligatori che reali. Ne deriva che l’incorporazione di un comitato o associazione non riconosciuti non crea una situazione di liquidazione degli stessi, ma una ipotesi di successione, con la conseguenza che nei rapporti giuridici del comitato o associazione incorporati subentra il corrispondente soggetto incorporante, mentre il comitato o l’associazione si estinguono. Anche nella fattispecie qui in esame, poi, non risultando alcuna liquidazione del patrimonio delle articolazioni periferiche, non può farsi riferimento ai principi in tema di scioglimento delle associazioni non riconosciute, dovendo invece il caso essere regolato dai principi in tema di trasformazione o incorporazione di comitati o di associazioni non riconosciute, secondo cui, appunto, l’incorporazione di un comitato o di un’associazione non riconosciuti in un’associazione o in un comitato riconosciuti, “lungi dal creare una situazione di liquidazione dei primi, crea, invece un’ipotesi di successione a questi del nuovo Comitato o dell’associazione, in cui sono stati incorporati, pertanto in questo caso nei rapporti giuridici del comitato o dell’associazione incorporati subentra il Comitato incorporante, mentre il Comitato o l’associazione inglobati si estinguono”;

a nulla poi rilevano le ulteriori doglianze di parte ricorrente, svolte con la memoria illustrativa depositata in vista dell’adunanza del collegio in Camera di consiglio, fissata il 27 novembre 2019, risultando, tra l’altro, inconferente nel caso di specie qui in esame il principio di diritto affermato dalla citata pronuncia di Cass. II civ. n. 12528 del 21/05/2018, secondo cui “la disciplina dello scioglimento delle associazioni riconosciute si differenza da quella delle associazioni non riconosciute per il procedimento liquida torio che ha inizio (secondo la normativa applicabile “ratione temporis” antecedente il D.P.R. n. 361 del 2000) con la dichiarazione di estinzione della persona giuridica (art. 27 c.c.), cui segue la materiale procedura di liquidazione (art. 30 c.c.) con la nomina di uno o più commissari liquidatori (art. 11 disp. att.) e che termina, dopo gli adempimenti liquidativi di cui agli artt. da 12 a 19 disp. att. c.c., con la cancellazione dal registro delle persone giuridiche a cura del Presidente del Tribunale (art. 20); ne consegue che le associazioni riconosciute, con il completarsi del suddetto procedimento liquidatorio, si estinguono, analogamente a quanto disposto dal legislatore per le società in relazione al provvedimento di cancellazione dal registro delle imprese e, in tali casi, non trova applicazione il principio affermato per le associazioni non riconosciute secondo il quale lo scioglimento non comporta l’estinzione dell’associazione che resta in vita finchè tutti i suoi rapporti non siano definiti”. Ed invero, nel caso di specie qui in discussione viene in rilevo essenzialmente l’assorbimento della struttura decentrata in quella accentrata presso la sede regionale, sicchè non si pone nemmeno la problematica relativa alla liquidazione dell’associazione non riconosciuta come persona giuridica di cui agli artt. 36 c.c. e segg., per cui evidentemente non operano le norme previste per le associazioni e le fondazioni (v. in part. gli artt. 12,27 e 30 c.c.. Cfr. infatti tra l’altro Cass. III n. 5738 del 10/03/2009, secondo cui alle associazioni non riconosciute non si applicano analogicamente le norme dettate per lo scioglimento delle associazioni riconosciute e, pertanto, le prime possono procedere alle attività di liquidazione tramite i rappresentanti in carica alla data di scioglimento, in regime di “prorogatio”; l’eventuale nomina dei liquidatori da parte dell’autorità giudiziaria, non indispensabile ma comunque non vietata, comporta peraltro che questi ultimi sono legittimati a rappresentare l’ente in vece e luogo degli amministratori prorogati). In tal senstiquindi, va confermato il principio di cui alla sentenza di Cass. III civ. n. 6985 in data 30/01 – 8/5/2003, poi ribadito da Cass. lav. n. 19114/14 cit., nel senso che l’incorporazione (o l’assorbimento, come nella specie accertato dalla Corte di merito per tutte le articolazioni periferiche, facenti capo alla C.I.A., nella struttura regionale della Basilicata) dell’unità sindacale di (OMISSIS) in quella con sede a Potenza, entrambe autonomi centri d’imputazioni giuridiche, ancorchè sprovvisti di formale personalità giuridica, ha comportato ad ogni modo la successione della seconda in tutti i rapporti facenti capo alla prima, con conseguente estinzione di quest’ultima, e non già dei diritti e degli obblighi relativi alla medesima, perciò superando anche la necessità di un’apposita liquidazione, la cui procedura, peraltro, come già detto non è nemmeno prevista per le associazioni e i comitati non riconosciuti. Del resto, anche nel caso esaminato da Cass. n. 6985/03 veniva quindi disatteso il motivo di ricorso, con il quale era stato lamentata, tra l’alto, la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c.c., sostenendosi che con riferimento all’ivi acclarata confluenza dei comitati attori, erroneamente la sentenza impugnata aveva fatto rientrare la fattispecie in un’ipotesi di scioglimento delle associazioni non riconosciute, con conseguente sopravvivenza delle stesse fino all’esaurimento dei rapporti in corso. Per contro, la succitata pronuncia di questa Corte giudicava infondata la censura, sebbene correggendo sul punto la motivazione dell’impugnata sentenza a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, osservando che, poichè nella fattispecie il comitato e l’associazione, attori, non si erano sciolti, ma risultavano confluiti in un altro comitato, non poteva farsi riferimento ai principi in tema di scioglimento delle associazioni non riconosciute, dovendo invece la fattispecie essere regolata dai principi in tema di trasformazione o incorporazione di comitati di associazioni non riconosciute, i quali, pur non essendo persone giuridiche, sono comunque autonomi centri di imputazione, di guisa che la loro incorporazione (o confluenza), lungi dal creare una situazione di liquidazione degli stessi, determina, invece, un’ipotesi di successione a questi del nuovo comitato o dell’associazione, in cui sono stati incorporati, donde il subentro nei rapporti giuridici del comitato o dell’associazione incorporati del comitato incorporante e l’estinzione dei soggetti inglobati;

pertanto, il ricorso va respinto con conseguente condanna della soccombente al rimborso delle relative spese;

sussistono, inoltre, i presupposti di legge in ordine al versamento dell’ulteriore contributo unificato, atteso l’esito negativo dell’impugnazione qui proposta.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore del controricorrente in Euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione all’avv. Gianluca Palazzo, procuratore antistatario costituito per la C.I.A. regionale Basilicata. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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