Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21879 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 28/10/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 28/10/2016), n.21879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11430/2012 proposto da:

T.M. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

A.N.C.R. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMBATTENTI E REDUCI – ISTITUTO DI

VIGILANZA DELL’URBE – I.V.U. in Amministrazione Straordinaria, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 24, presso lo studio

dell’avvocato CARLO CAPUA, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

R.G., C.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3116/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/05/2011 R.G.N. 6504/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato PACE ALESSANDRO per delega Avvocato CRAPOLICCHIO

SILVIO;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 19 luglio 2006 l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci – Istituto di Vigilanza dell’Urbe (I.V.U.) appellava la sentenza del giudice del lavoro di Roma in data sei giugno 2006, che aveva dichiarato il diritto degli attori all’inquadramento nel 3 livello, previsto dal c.c.n.l. per la vigilanza privata, con la conseguente condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive sino al 26 maggio 2006, oltre accessori e spese.

La Corte di Appello di Roma con sentenza 3116 in data 5 aprile – 4 maggio 2011, in riforma della impugnata pronuncia, rigettava le domande degli appellati, compensando integralmente le parti le spese di lite per il doppio grado del giudizio.

Respinta, in via preliminare, l’eccezione d’inammissibilità dell’interposto gravame, la Corte osservava che secondo il Tribunale lo svolgimento, da parte dei lavoratori, delle mansioni di scorta valori comportava il diritto all’inquadramento nel 3^ livello, superiore al 4^ loro attribuito.

Ad avviso della Corte distrettuale, era pienamente condivisibile la contestazione di parte appellante in ordine all’interpretazione del contratto collettivo nazionale di lavoro 2001, il cui art. 29, comma 50 prevedeva che: “ai vigili di 4 e 5 livello che svolgono funzioni di capo macchina nei servizi di scorta trasporto valori verrà corrisposta un’indennità…”. Ciò significava, senza dubbio, che in base al contratto collettivo gli addetti al servizio di scorta – trasporto valori potevano essere inquadrati nel 4^ o addirittura nel 5 livello, smentendo chiaramente l’affermazione del giudice di primo grado, secondo cui il vigile di 4 livello poteva essere addetto soltanto al piantonamento fisso, e non quindi alla scorta trasporto valori. Ne derivava anche l’irrilevanza di tutte le considerazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine al preteso maggiore livello di responsabilità e complessità delle mansioni rispetto a quelle del piantonamento, a meno di non ritenere che le mansioni di scorta trasporto valori presentassero diversi gradi di responsabilità e complessità, con conseguente possibilità di inquadramento nel 3 livello per il grado maggiore. Ma gli l’appellati nulla avevano dedotto al riguardo, essendosi limitati ad indicare le mansioni di scorta trasporto valori. Peraltro, secondo la Corte territoriale, anche riconoscendo differenze di responsabilità, rispetto ai compiti di piantonamento fisso, doveva riconoscersi in ogni caso che tali differenze non erano state considerate dai contratti collettivi, tali da meritare l’inquadramento superiore, ma solo tali da attribuire agli addetti le relative indennità. Analoghe considerazioni valevano anche con riguardo alle specifiche funzioni di capo macchina, cui sì riferiva proprio la norma citata. Pertanto, la domanda di inquadramento nel 3 livello era infondata. Anche con riguardo alla domanda subordinata d’inquadramento nel 4 livello super andava confermato che le caratteristiche dedotte coincidevano con le mansioni del trasporto valori, a meno di non dedurre e dimostrare che vi erano modalità diverse nello svolgimento di tali compiti, perchè altrimenti non si comprendeva il riferimento nella norma citata anche al 4 livello non super e al 5.

La Corte capitolina, infine, precisava che gli appellati non avevano proposto domanda di nullità del contratto collettivo, sicchè la decisione non poteva che fondarsi sull’interpretazione della volontà dei contraenti, come risultante chiaramente dalle precedenti considerazioni.

Dunque, l’appello andava accolto, con l’assorbimento delle ulteriori reciproche eccezioni, mediante la riforma dell’impugnata sentenza, con il rigetto delle domande.

Avverso l’anzidetta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli attori rimasti soccombenti ( To., M., Ra., A., Ma., F., S., D.R., T., Ri.Gr., L., Fo., D.V. e Mo. – fatta quindi eccezione per il solo R.G.), come da atto notificato a cura del difensore incaricato a mezzo posta (spedizioni del 30 aprile 2012), affidato ad un solo motivo (in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24, 36 e 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 29 e 30 del c.c.n.l. vigilanza privata, anni (OMISSIS), nonchè artt. 10 e 17 del regolamento di servizio emanato dal Questore di Roma, nonchè dell’art. 2103 c.c. – omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa le ragioni della pretesa erroneità della sentenza di 1^ grado, nonchè del conseguente inquadramento dei lavoratori ricorrenti nel 4^ livello di cui al c.c.n.l. di categoria.

In sintesi, quanto alla mancata richiesta di una pronuncia di nullità, secondo i ricorrenti, alla luce delle pretese azionate e di una interpretazione contrattuale meno rigida, non era necessario chiedere la declaratoria di nullità del contratto collettivo, tenuto conto peraltro dell’accurata disciplina comunque predisposta dal questore di Roma con apposito regolamento. D’altro canto, l’interpretazione operata dalla Corte di Appello si poneva in contrasto tanto con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., quanto con il principio di proporzionalità fissato dall’art. 36 Cost.. Peraltro, la nullità poteva essere anche rilevata d’ufficio dal giudice ai sensi dell’art. 1421 c.c., occorrendo aver riguardo alla pretesa sostanziale dedotta dalla parte in giudizio.

… Era, poi, sfuggito al giudice di secondo grado quanto chiaramente disposto dallo stesso testo contrattuale all’art. 30 (c.c.n.l.), secondo il quale: “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni inerenti alla qualifica assegnatagli all’atto dell’assunzione. In caso di mansioni promiscue si farà riferimento all’attività prevalente…

Trascorso un periodo di tre mesi continuativi nel disimpegno di mansioni superiori, al dipendente sarà attribuita a tutti gli effetti della qualifica superiore, salvo che -in ossequio a quanto disposto dall’art. 2103 c.c. – si tratti di sostituzione di altro lavoratore assente per malattia, ferie, chiamata il richiamo alle armi per ogni altro caso di conservazione del posto”. Pur nella consapevolezza del fatto che contratto collettivo di categoria non elaborasse una classificazione capillare dei differenti ruoli tecnico-operativi, rendendo disagevole l’inquadramento nei vari livelli, lasciava quantomeno perplessi il percorso argomentativo della Corte di Appello, la quale non aveva ritenuto meritevole di attenzione il mutamento sostanziale che aveva interessato la tipologia delle attività svolte dalle guardie particolari giurate a seguito di un primo periodo lavorativo (precisamente quantificato nei singoli ricorsi di primo grado). Ed invero, il fatto che ciascun ricorrente, dopo l’iniziale affidamento di un certo tipo di mansioni, avesse cominciato a svolgere esclusivamente servizio di trasporto valori – che unitamente all’intervento allarmi e al piantonamento clienti speciali banche costituiva un servizio inserito nel reparto servizi speciali da un apposito regolamento organizzativo interno all’Istituto stesso – non aveva destato alcun sospetto nel giudice di secondo grado, il quale non aveva valutato la circostanza neanche al fine di verificare se, in armonia con la propria decisione, i nuovi compiti affidati non dovessero essere concepiti come sintomatici di un salto di livello, anche alla luce delle scarne statuizioni contrattualistiche e delle chiare disposizioni codicistiche (citando inoltre Cassazione sezione lavoro n. 3685 del 17 febbraio 2010, secondo cui nell’interpretazione del contratto collettivo, è necessario procedere al coordinamento delle varie clausole contrattuali, prescritto dall’art. 1363 c.c., anche quando l’interpretazione possa essere compiuta sulla base del senso letterale delle parole, senza residui di incertezza, poichè l’espressione “senso letterale delle parole” deve intendersi come riferita all’intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale e non già limitata ad una parte soltanto, qual è una singola clausola del contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e confrontare fra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato).

La disattenzione della Corte di Appello alla vicenda concreta, nonostante le prove acquisite delle quali era stato omesso un qualsiasi riferimento nella sentenza impugnata, aveva indotto a privilegiare una prassi interpretativa, che mal si addiceva alla logica della contrattazione collettiva, nella cui natura era insita peraltro l’impossibilità di sintetizzare ogni singola sfumatura di rapporti lavorativi concreti. Tuttavia, la valutazione di tali aspetti si rendeva necessaria al fine di modellare opportunamente alla realtà quanto dalla stessa disposto in via più generica. Nella specie, pertanto, era senz’altro possibile constatare come il profilo astratto delle disposizioni contrattuali tracciato dal giudice di secondo grado rendeva la decisione sostanzialmente estranea ai fatti realmente occorsi, tanto più se il sillogismo posto alla base di tale decisione restava del tutto ignoto. Pertanto, non avendo suffragato il proprio assunto con adeguati riscontri probatori, nè risultando il profilo ermeneutico condotto dal giudice d’appello conforme ai canoni legislativi, la decisione di ribaltare completamente senza adeguate spiegazioni la sentenza di primo grado, indubbiamente più attenta alle vicende del caso concreto e alle prove acquisite nel corso del processo, presentava gravi ed evidenti vizi di motivazione.

La sentenza impugnata era, dunque, illegittima per carente, insufficiente e contraddittoria motivazione circa le ragioni della pretesa erroneità della sentenza di primo grado, nonchè del conseguente inquadramento dei ricorrenti nel 4^ livello, di cui al contratto collettivo nazioni lavoro di categoria, ed in quanto tale censurabile ai sensi effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, nonchè per violazione e falsa applicazione delle succitate disposizioni, per non avere la stessa esposto le ragioni addotte a sostegno della ritenuta censurabilità della sentenza di primo grado, nella parte in cui non spiegava perchè, disattendendo le osservazioni, le prove acquisite e la documentazione prodotta in sede di giudizio, avesse ritenuto infondata la domanda dei ricorrenti.

Ha resistito all’impugnazione avversaria l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci – Istituto di Vigilanza dell’Urbe – I.V.U. – in amministrazione straordinaria, con sede in (OMISSIS), eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, osservando, tra l’altro, che i ricorrenti non avevano mai svolto mansioni superiori a quelle strettamente pertinenti alla propria qualifica e al proprio inquadramento di vigile, e che negli anni in questione non avevano mai svolto attività di vigilanza, consistita nel trasporto di scorta valori in via esclusiva; non avevano mai svolto attività di caposquadra, peraltro confusa con quella del tutto differente di capo macchina, i cui effetti esclusivamente retributivi erano disciplinati dall’art. 29, comma 5, del contratto collettivo di settore applicabile nella specie; l’attività di guida del mezzo di trasporto valori non poteva in nessun caso attribuire al conducente la funzione di caposquadra, rilevante ai fini dell’inquadramento nel 3 livello del contratto collettivo di riferimento, in quanto ogni componente dell’equipaggio, costituito da tre guardie particolari giurate, veniva adibito alla guida del mezzo di trasporto; non avevano mai modificato autonomamente sotto la loro esclusiva responsabilità gli itinerari giornalieri da seguire; nessuna decisione inerente ai mutamenti di percorso e di composizione dell’equipaggio era stata mai assunta dai ricorrenti senza la preventiva autorizzazione del centro radio, nemmeno nei casi di emergenza; non avevano mai svolto attività di responsabili del cosiddetto reparto servizi speciali, ovvero del centro valori e trasporto e scorta valori; non avevano mai svolto attività di gestione, nè tantomeno di comando del servizio di trasporto e scorta valori, nè avevano mai coordinato l’attività degli equipaggi dei mezzi adibiti a tale servizio. Era, altresì, pacifico che i ricorrenti non avevano mai utilizzato strumenti di controllo tecnologicamente avanzati.

La controricorrente ha in ogni caso reiterato l’eccezione di prescrizione, maturata in corso di rapporto, essendo applicabile nella specie la c.d. tutela reale L. n. 300 del 1970, ex art. 18, per tutti gli eventuali crediti, comunque maturati in data anteriore al quinquennio anteriore alla notifica di ciascun ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Previ tempestivi avvisi di rito, in relazione all’udienza pubblica fissata per il quattro maggio 2016, non risultano depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato, sicchè va respinto, alla luce delle seguenti considerazioni.

La congerie di argomentazioni accomunate nell’anzidetto unico motivo non supera invero la correttezza delle ragioni in base alle quali risulta pronunciata la sentenza di appello, qui impugnata, che, preso atto delle risultanze istruttorie di prime cure di cui all’appellata pronuncia, attenendosi inoltre al dettato del contratto collettivo, ha escluso il diritto degli attori all’invocato superiore inquadramento nel 3 livello, poichè alla stregua di quanto testualmente previsto dall’art. 29 del c.c.n.l. 2001 gli addetti al servizio scorta trasporto valori, di 4 o addirittura di 5 livello, con funzioni di capo macchina, avevano diritto soltanto alla indennità ivi prevista.

La sentenza de qua, inoltre, giustamente ha evidenziato l’irrilevanza di ogni considerazione circa l’asserito maggior livello di responsabilità e complessità delle mansioni vantate dai ricorrenti, rispetto a quelle di mero piantonamento, laddove gli attori si erano limitati ad allegare di aver svolto soltanto compiti di scorta trasporto valori, senza ipotizzare che tali mansioni includessero diversi gradi di responsabilità e complessità, con conseguente possibile superiore inquadramento. A tal riguardo, inoltre, del tutto legittimamente l’impugnata pronuncia aggiungeva che, pur nell’eventualità di differenti responsabilità, rispetto al piantonamento fisso, ciò comunque non era stato contemplato dalla contrattazione collettiva di settore, così da meritare il superiore inquadramento, se non in relazione all’anzidetta indennità per le funzioni di capo macchina.

Infine, la Corte di Appello non solo ha motivato nei sensi di cui in narrativa il rigetto della domanda subordinata relativa al c.d. 4 livello super (relativo a caporalmaggiori, caporali, appuntati, vigili addetti al piantonamento fisso che in via continuativa e prevalente svolgono anche compiti di sicurezza inerenti a sistemi computerizzati e gestiscono strumenti di controllo tecnologicamente avanzati, previsti dal capitolato d’appalto), ma anche in ordine all’impossibilità di discostarsi dalle previsioni dell’anzidetta contrattazione collettiva, così come interpretata, visto che non risultava neanche richiesto l’accertamento della (eventuale) invalidità della medesima.

Orbene, va premesso che la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 c.c. e segg.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, nè del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni (Cass. lav. n. 6335 del 19/03/2014. v. in senso analogo Sez. 6 – L, sentenza n. 19507 del 16/09/2014 secondo cui la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, la riconducibilità del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza che sia necessario indicare, a pena di inammissibilità, il criterio ermeneutico violato. V. ancora Cass. Sez. 6 – L, n. 18946 del 09/09/2014, conforme alla n. 6335/14 cit.).

Tanto precisato, appare inoltre contraddittoria la pretesa di superiore inquadramento ex art. 2103 c.c., in relazione alle correlative previsioni dettate dalla contrattazione collettiva e nello stesso tempo ipotizzare la nullità di quest’ultima poichè non esaurirebbe tutte le possibili fattispecie concrete.

D’altro canto, la disapplicazione, da parte del giudice del merito, della clausola di un contratto collettivo presuppone l’accertamento della nullità della medesima e, ove tale invalidità sia ravvisata nella contrarietà a norme imperative, l’individuazione della norma con la quale detta contrarietà si realizza, restando peraltro esclusa la configurabilità della nullità di una disposizione contrattuale per contrasto con il principio della parità di trattamento, atteso che tale principio non opera nelle materie riservate all’autonomia collettiva (Cass. lav., sent. n. 346 del 16/01/1987. Cfr., peraltro, Cass. Sez. 6 – L, n. 18715 del 04/09/2014, secondo cui il contratto collettivo costituisce un “atto normativo” con efficacia vincolante per il singolo aderente alle associazioni stipulanti).

Dunque, nella specie la Corte capitolina non è incorsa neanche in alcun vizio di carente, contraddittoria o insufficiente motivazione, nè di motivazione apparente, poichè, sebbene sinteticamente, negli anzidetti termini risulta sufficientemente enunciata, in punto di fatto e di diritto, la ratio decidendi circa l’insussistenza del diritto, nella specie, all’invocato superiore inquadramento.

Invero, la motivazione della sentenza qui impugnata ha preso in esame tutte le salienti circostanze di fatto acquisite nel corso del giudizio di primo grado, giuridicamente rilevanti, senza nulla tralasciare, per poi decidere, con motivazione insindacabile in questa sede di legittimità; che non ricorressero le condizioni di cui all’art. 30 del c.c.n.l. a favore degli attori, peraltro come tali onerati di fornire adeguata prova al riguardo ex art. 2697 c.c..

Del resto, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito (Cass. civ. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 91 del 07/01/2014. In senso analogo v., tra le altre, Cass. 15489 del 2007, nonchè ancora Sez. 6 – 5, n. 5024 del 28/03/2012, secondo la quale il controllo di logicità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa.

Cfr. altresì Cass. n. 25332 del 28/11/2014, secondo cui il giudizio di legittimità è a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.

V. pure Cass. 1 civ. n. 1754 del 26/01/2007: il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste solo qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze e incongruenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice di merito e l’attribuzione agli elementi valutati di un valore e di un significato difformi rispetto alle aspettative e deduzioni delle parti.

In senso analogo, Cass. lav. n. 3881 del 22/02/2006 riteneva che il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’ “iter” formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5): in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. Conforme Cass. n. 3928 del 2000).

Pertanto, le surriferite argomentazioni della sentenza qui impugnata, del tutto logiche ed esaurienti nel loro percorso, oltre che corrette in punto di diritto, non integrano alcuno dei vizi promiscuamente denunciati dai ricorrenti, laddove peraltro del tutto inconferenti e giuridicamente irrilevanti, ai fini della decisione di cui è causa, si appalesano le prescrizioni tecniche contenute nel menzionato regolamento di servizio emanato dal Questore di Roma.

Nei sensi anzidetti, dunque, il ricorso va respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti, rimasti soccombenti, alle spese in favore della controricorrente.

Nulla, invece, deve provvedersi per le spese nei confronti di R.G. e di C.R., ai quali il ricorso è stato pure notificato, però rimasti intimati.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle relative spese, che liquida a favore di parte controricorrente in Euro 6.000,00 (seimila/00) per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre al rimborso per spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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