Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21879 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 07/09/2018), n.21879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19686/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore e

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE, DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

ALMECO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Via DELLA FERRATELLA

IN LATERANO n. 33, presso lo studio dell’avvocato AURORA

SPACCATROSI, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO IMBIMBO,

e ANDREA MIFSUD;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2145/16/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE, di MILANO, depositata il 18/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ricorso in Cassazione affidato a un motivo, nei cui confronti il contribuente ha resistito con controricorso (nel quale ha anche riproposto tutte le questioni rimaste assorbite), l’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della CTR della Lombardia, relativa a un avviso d’accertamento Ires, Iva e Irap 2006, nel quale si è fatta questione del rispetto dei termini d’accertamento, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, da parte dell’ufficio.

L’Agenzia delle Entrate deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 (nella versione ante 2015, ratione temporis applicabile, introdotta a seguito del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 25), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, erroneamente, i giudici d’appello, avevano ritenuto che l’operatività del “raddoppio” dei termini di accertamento fosse dalla legge condizionato all’acquisizione, in un momento precedente la scadenza del termine “ordinario” di accertamento, degli elementi denotanti un’ipotesi di reato idonea a determinare detto raddoppio.

Il motivo è fondato per l’Ires e l’Iva.

Secondo l’insegnamento di questa Corte “(…) questa Corte ha infatti chiarito che il cd. raddoppio dei termini di accertamento non integra una proroga dei termini ordinari, ma – come sottolineato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 247/11 – “attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge (…). Sotto questo aspetto non può parlarsi di “riapertura o proroga di termini scaduti” nè di “reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti”, perchè i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento” (Cass. se.z, 5, 16112 1 2016n. 26037)” (Cass. n. 10345/17). Nel caso di specie, premesso che il ricorso rispetta gli elementi prescritti dagli artt. 360 e 366 c.p.c., fin dalla pronuncia della Corte Cost. n. 247/11, risulta che i termini raddoppiati sono termini fissati direttamente dalla legge, che operano automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorchè sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000) senza che all’amministrazione finanziaria sia riservata alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione e non si innestano su quelli “ordinari” ma operano autonomamente al ricorrere dei menzionati presupposti.

Pertanto, i giudici d’appello non hanno correttamente applicato i principi regolatori della materia.

Mentre, per quanto riguarda l’Irap, il motivo di censura è infondato, in quanto, trattandosi d’imposta per la quale non sono previste sanzioni penali, nessun “raddoppio” di termini è previsto nè dalla vecchia nè dalla nuova normativa (Cass. n. 1425/18, 20435/17 – non massimate). In conclusione, la sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo proposto limitatamente all’Ires e all’Iva, e rinvia la causa al giudice a quo per nuovo esame.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata solo in riferimento all’Ires e all’Iva e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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