Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21878 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. I, 21/10/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 21/10/2011), n.21878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 31354 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2005, proposto da:

COMUNE DI VOLTURARA APPULA (Foggia), in persona del sindaco p.t.,

elettivamente domiciliato in Roma alla Via Paisiello n. 55 presso

l’avv. Francesco Gaetano Scoca, e rappresentato e difeso, per procura

in calce al ricorso, dall’avv. MESCIA Antonio;

– ricorrente –

contro

Ing. R.L., titolare dell’omonima impresa edile,

elettivamente domiciliato in Roma, alla Via F.S. Nitti n. 11, nello

studio dell’avv. Paolo Napoletano, presso l’avv. CAPOTORTO Cesare del

foro di Foggia, che lo rappresenta e difende, per procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

nonchè

COMPAGNIA TIRRENA DI ASSICURAZIONI s.p.a., in liquidazione coatta

amministrativa, in persona del liquidatore p.t., con sede in

(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 613/2005 del 20

maggio – 17 giugno 2005.

Udita all’udienza del 21 giugno 2011 la relazione del Cons. Dr.

Fabrizio Forte e sentito il P.G. Dr. Ignazio Patrone che ha concluso

per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la citazione privata del 4 gennaio 1982, era aggiudicato alla impresa all’impresa dell’ing. R.L., dal Comune di Volturara Appula, l’appalto per la costruzione della locale casa mandamentale.

Era quindi stipulato tra l’ente locale e l’aggiudicataria, in data 14 aprile 1982, il relativo contratto, nel quale, tra l’altro, era assunto l’obbligo dall’appaltatore di redigere i calcoli di fondazione, attenendosi agli schemi e disegni del progetto predisposto dalla stazione appaltante.

Nel verbale di consegna dei lavori del 14 giugno 1982 l’appaltatore aveva apposto riserva in ordine al sistema di fondazioni proposto nel progetto del Comune di Volturara Appula assumendo la necessità di approvazione di variante di questo per la sismicità e franosità del terreno.

La direzione dei lavori, respinta la riserva, intimava di iniziare i lavori all’impresa che, anche in ragione della relazione di un esperto geologo, insisteva nella richiesta di modifica del progetto delle strutture di fondazione.

La stazione appaltante, dopo una missiva dell’ing. R. che comunicava l’inizio dei lavori in data 1 settembre 1982, informava l’impresa della delibera di rescissione del contratto del 3 settembre 1982, nella quale si disponeva pure l’incameramento della garanzia assicurativa della Compagnia Tirrena di Assicurazioni per L. cinquanta milioni.

Nel dicembre 1982 l’ing. R. notificava atto di accesso a giudizio arbitrale alla controparte affinchè, dichiarata illegittima la delibera di rescissione dell’appalto, gli arbitri condannassero l’ente locale al risarcimento del danno per l’illegittimità del suo atto.

Data l’inapplicabilità della L. 17 dicembre 1981, n. 741, che prevedeva l’arbitrato obbligatorio in quanto l’invito alla gara del 12 dicembre 1981 era anteriore alla entrata in vigore di detta normativa, il comune si opponeva al giudizio arbitrale eccependo l’incompetenza degli arbitri.

Nel frattempo, con decreto del 14 dicembre 1982, il Comune di Volturara Appula ingiungeva alla Compagnia Tirrena di Assicurazioni s.p.a. il pagamento della cauzione sopra indicata di L. 50.000.000 e a tale ingiunzione si opponeva l’ingiunta, chiamando in causa il R. e deducendo l’insussistenza dell’inadempimento a base della pretesa dell’ente locale.

Nel giudizio arbitrale sorto dalla domanda del R., il collegio pronunciava lodo che, dichiarata illegittima la rescissione disposta dal comune, condannava quest’ultimo al risarcimento del danno in favore dell’impresa per la somma di L. 197.698.000 e accessori, affermando la sua competenza sulla domanda ai sensi della L. n. 741 del 1981, art. 16, competenza che era invece negata, a seguito dell’impugnazione del lodo dall’ente locale, dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 6 ottobre 1986, che dichiarava nulla la decisione per difetto di potere degli arbitri, con pronuncia confermata da Cass. 1 giugno 1990 n. 5144, la quale espressamente ha escluso fosse necessario il regolamento di competenza nella fattispecie, nella quale mancava la potestas judicandi del collegio arbitrale investito della cognizione della causa non avendone i poteri, non essendo vigente l’arbitrato obbligatorio per legge alla data di indizione della gara.

Con successivo atto di citazione notificato il 10 febbraio 1992 il R. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lucera il Comune di Volturara Appula, e ripetendo la domanda già proposta agli arbitri di disapplicare la delibera di rescissione perchè illegittima e di condannare la stazione appaltante a pagargli L. 500.000.000 a titolo di risarcimento del danno per inadempimento del rapporto d’appalto.

Il comune convenuto eccepiva la decadenza dell’azione dinanzi al tribunale ordinario per tardività della riassunzione, avvenuta oltre i termini dell’art. 50 c.p.c. e la prescrizione delle avverse pretese con la inammissibilità della domanda per pregresso giudicato sulla stessa.

Riunita detta causa con quella di opposizione a decreto ingiuntivo iscritta al n. di R.G. 1261/82, il Tribunale di Lucera, sezione stralcio, dopo l’interruzione dei giudizi riuniti a seguito della dichiarazione della liquidazione coatta amministrativa dell’assicuratrice, dal difensore all’udienza del 10 giugno 1993 e la riassunzione dei processi riuniti, con sentenza del 26 aprile 2001, aveva dichiarato improseguibile l’opposizione a decreto ingiuntivo della Compagnia Tirrena di assicurazione, per essere stata questa posta nelle more del giudizio in liquidazione coatta e accolto le domande di svincolo della polizza e di risarcimento del danno del R., con condanna del comune in favore dell’attore a pagare all’impresa L. 175.66 8.000, oltre rivalutazione monetaria dal 16 ottobre 1982 al saldo e interessi compensativi nella misura del 4% annui, disponendo anche la rifusione delle spese a carico dell’ente locale.

Poichè la dichiarazione della liquidazione della società assicuratrice aveva dato luogo alla interruzione del giudizio relativo, e l’ente locale aveva eccepito il ritardo della riassunzione verificatasi solo nel 1994, il Tribunale di Lucera aveva respinto l’eccezione di estinzione della stazione appaltante, ritenendo tempestivamente riassunto il giudizio.

Il primo giudice aveva ritenuto infondata, per quanto rileva in questa sede, l’eccezione di tardività della proposta domanda risarcitoria che non era avvenuta in riassunzione del precedente giudizio arbitrale, ma costituiva una nuova causa ritualmente introdotta, negando poi la prescrizione decennale delle azioni risarcitorie da inadempimento contrattuale proposte dall’impresa contro la stazione appaltante.

Ritenuta legittima la richiesta di proroga dei termini di inizio dei lavori per la sorpresa geologica, che imponeva il rifacimento del progetto del tipo di fondazione dell’opera da realizzare (come del resto dimostrato dalla variante approvata dopo il nuovo appalto per la medesima opera), il primo giudice affermava la illegittimità della delibera di rescissione e liquidava i danni nella misura già fissata in sede arbitrale, cui aggiungeva il danno all’immagine dell’impresa R. per altre L. 20.000.000.

Con l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Lucera il Comune ha insistito nella tempestiva eccezione di estinzione del processo iniziato da controparte nel 1992, dopo la conferma nel 1990 della dichiarata nullità del lodo del 1990 e, in subordine, per quella di inammissibilità, per mancanza dei presupposti e condizioni, dell’azione risarcitoria, negando la illiceità della rescissione da esso deliberata e riaffermando la improseguibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo della Compagnia Tirrena di assicurazione ormai in stato liquidatorio, con vittoria di spese e onorari.

L’ing. R. si è costituito in appello e ancora una volta ha chiesto l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, domandando, in via incidentale, la condanna del Comune di Volturara Appula a rimborsare i premi della polizza fideiussoria dall’impresa versati all’assicuratrice, con gli interessi, mentre la Compagnia Tirrena di assicurazione non si è costituita in secondo grado.

Dopo il rinvio della causa all’udienza collegiale per il decesso del difensore dell’appellante Comune, la causa è stata di nuovo interrotta e riassunta dall’impresa.

Con sentenza del 17 giugno 2005, la Corte d’appello di Bari ha rigettato l’appello principale del Comune di Volturara Appula e accolto l’appello incidentale e la domanda ai sensi dell’art. 345 c.p.c., del R., confermando la condanna del tribunale nei confronti dell’ente locale a pagare all’impresa Euro 90.724,95, e aggiungendo a questa somma l’ulteriore svalutazione monetaria e gli interessi legali maturati nelle more del giudizio di appello, oltre che la somma i Euro 12.650,03 per i premi della polizza cauzionale pagati dal R.; il comune è stato inoltre condannato a pagare all’appaltatrice le spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, notificato il 14 novembre 2005 e illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il Comune di Volturara Appula, con cinque motivi e il R. si è difeso con controricorso notificato il 19 e 20 dicembre 2005; non ha resistito in questa sede la Compagnia di assicurazione Tirrena in l.c.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo del ricorso del Comune di Volturara Appula lamenta violazione degli artt. 99, 100, e 112 c.p.c., dell’art. 307 c.p.c. e L. Fall., art. 201, oltre che del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47, come modificato della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 17 (rectius art. 16), per avere invano il ricorrente dedotto con l’appello la indecifrabilità della sentenza del Tribunale in ordine alla sua eccezione di estinzione del giudizio, sollevata a seguito della dichiarazione, all’udienza del 10 giugno 1993, della messa in liquidazione coatta amministrativa della Compagnia di Assicurazione Tirrena, che aveva determinato la contestuale interruzione della causa.

Il tribunale non sarebbe stato chiaro nel negare l’estinzione del processo, affermando il deposito tempestivo dei ricorsi in riassunzione del R. e del Comune, il quale ultimo, a suo dire, aveva proceduto a tale deposito solo in ragione della posizione di parte processuale della società assicuratrice in l.c.a., a favore della quale l’ente locale era stato condannato comunque a pagare le spese del primo grado di causa, con chiara extrapetizione.

Deduce il controricorrente R. che il motivo di ricorso si riferisce alla riassunzione dopo l’interruzione avvenuta nel giugno 1993 e quindi che i ricorsi per la prosecuzione del giudizio dopo l’interruzione del R. e del Comune di Volturara Appula sono stati depositati tempestivamente, come emerge con chiarezza dalla sentenza d’appello oggetto di ricorso, che richiama sul punto la decisione di primo grado.

1.2. Il ricorso deve rigettarsi denunciando la violazione di una norma inapplicabile al caso di specie (art. 307 c.p.c.) e la violazione di un termine per il deposito dell’atto riassuntivo che il ricorrente non precisa se è quello annuale della norma che precede nella versione all’epoca vigente ovvero quello semestrale di cui all’art. 305 c.p.c., applicabile dopo l’evento interruttivo dichiarato all’udienza del 10 giugno 1993 ovvero legalmente comunicato in seguito (su tale punto cfr. Cass. 4 maggio 2010 n. 10714, relativa ad un caso di società dichiarata in stato di liquidazione coatta amministrativa i cui organi sociali ai sensi della L. Fall., art. 201, decadono per legge con conseguente irrilevanza della dichiarazione del difensore della società nominato prima che la società fosse assoggettata a liquidazione.

Il ricorrente lamenta la indecifrabilità della decisione del Tribunale di Lucera sul punto ma non chiarisce nè con la indicazione delle norme che afferma violate (quelle già citate) nè con l’esposizione dei fatti come avvenuti, la progressione degli eventi che avrebbero dovuto dar luogo alla estinzione della causa nei confronti della assicuratrice, per cui il primo motivo di ricorso deve rigettarsi, in parte perchè infondato per una pretesa violazione di norme inapplicabili alla fattispecie (art. 307 c.p.c.) e in parte inammissibile perchè non autosufficiente, non chiarendo le ragioni dell’erroneità delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata della tempestività dei ricorsi in riassunzione depositati in cancelleria dal R. in data 8 giugno 1994 e dal Comune di Volturara Apulla il 2 giugno 1994, ad avviso dei giudici di merito entrambi nei termini di legge, comunque neppure da essi indicato nella misura (sulla necessità del mero deposito in cancelleria del ricorso per la tempestiva riassunzione, potendo la notifica dell’atto avvenire anche successivamente: Case. 27 gennaio 2011 n. 1900 e S.U. 28 dicembre 2007 n. 27183).

In tale contesto il primo motivo di ricorso è da ritenere infondato per la parte in cui denuncia la violazione dell’art. 307 c.p.c., che regola la estinzione del processo nella diversa fattispecie della cancellazione della causa, mentre è inammissibile per il resto non chiarendo neppure quale sia il termine di cui si denuncia la violazione nè il dies a quo della decorrenza di esso, mancando di autosufficienza sul punto, non precisando quale termine è stato violato in concreto dai giudici di merito; il primo motivo di ricorso è quindi da rigettare.

2.1. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 112, 50 e 305 c.p.c., per avere la sentenza oggetto di ricorso confermato la impugnata decisione del tribunale che non aveva dichiarato estinto il giudizio per mancata tempestiva riassunzione di esso dal R., avendo il primo giudice rilevato che i procuratori delle parti in entrambi i giudizi, cioè quello avente ad oggetto l’appalto e l’altro relativo al pagamento della polizza, avevano depositato “nei termini di rito ricorso per riassunzione, regolarmente notificato nei confronti della società opponente in l.c.a.”, con statuizione che secondo la Corte d’appello si riferiva “inequivocamente ai ricorsi in riassunzione depositati in data 8 giugno 1994 dall’impresa e in data 2.6.94 dal Comune, ricorsi depositati nei termini di legge e regolarmente notificati alle altre parti”.

Ad avviso del ricorrente, tale statuizione è incomprensibile in riferimento all’atto di riassunzione di cui alla citazione notificata al Comune di Volturara Appula soltanto in data 1 ottobre 1992, di gran lunga precedente alle notificazioni cui si riferiscono il Tribunale e la Corte d’appello, avendo il primo giudice omesso di esaminare la eccezione di estinzione ad esso proposta dal ricorrente prima di ogni altra difesa, con la comparsa di costituzione del 10 novembre 1992, che replicava alla citazione del R. e prospettava ogni altra difesa ed eccezione dell’ente locale solo in via subordinata. La sentenza n. 5144 del 1990 della Cassazione ha rigettato il ricorso avverso quella di appello che aveva dichiarato la nullità del lodo per difetto di potestas judicandi nel merito, determinando, ad avviso del Comune ricorrente il passaggio in giudicato della decisione della Corte d’appello. La sentenza impugnata in questa sede esclude che nel caso si sia avuto un regolamento di competenza, con connessa necessità di riassunzione tempestiva e ritiene inapplicabile l’art. 50 c.p.c., riconoscendo che era invece possibile l’inizio di una nuova azione dopo oltre due anni dalla notifica del 5 giugno 1990 dalla citata sentenza della Corte di Cassazione n. 5144/90 che aveva chiuso il processo arbitrale concluso dal lodo dichiarato nullo, per non essere necessaria la remissione agli arbitri della decisione, essendo inapplicabile ratione temporis la L. n. 741 del 1981, e l’arbitrato obbligatorio nel caso concreto.

Ad avviso del ricorrente, si sarebbe quindi formato il giudicato sulla decisione di rigetto di ogni domanda del R. nei confronti del Comune già proposta agli arbitri che avevano negato di poter rispondere su tale domanda, per cui sarebbe preclusa anche ogni istanza proposta nel 1992.

Il controricorrente R. insiste nel rilevare la natura processuale della sentenza n. 5144 del 1990 della Cassazione, che ha rigettato l’impugnazione della sentenza della Corte d’appello che aveva dichiarato nullo il lodo pronunciato da arbitri che non avevano competenza a decidere ed erano quindi privi di potestas decidendi, con assenza di ogni pronuncia sul merito dell’azione risarcitoria non preclusa dalla precedente decisione degli arbitri che si erano dichiarati erroneamente competenti, dichiarata nulla dalla Corte d’appello con pronuncia confermata dalla Cassazione che ha respinto il motivo di impugnazione della pronuncia di merito sul lodo anche essa senza entrare nel merito dell’azione esercitata dal R., affermando solo che su di essa gli arbitri non erano stati correttamente investiti della questione non avendo il potere di deciderla.

2.2. In conformità alla citata sentenza n. 5144/1990, questa Corte ha anche in seguito affermato che la sentenza della corte d’appello che dichiara la nullità del lodo per carenza di “potestas iudicandi” in capo agli arbitri non costituisce una pronuncia resa sulla competenza, ma decide invece una questione di merito sulla validità della clausola compromissoria, essendo quindi impugnabile con ordinario ricorso per cassazione e non con regolamento di competenza (Cass. 18 maggio 2005 n. 10420).

Anche tale tipo di decisione statuisce sulla validità della clausola compromissoria che consente l’accesso al giudizio arbitrale, senza entrare nel merito del rapporto di appalto, sul quale, ferme restando le norme che regolano cause di decadenza o prescrizione dei diritti nascenti dal contratto, nessuna decisione preclusiva si è avuta nel caso (nello stesso senso cfr. pure Cass. 23 marzo 2007 n. 6809).

Deve rilevarsi che la statuizione della Corte di Cassazione n. 5144/90, in quanto ha negato l’applicabilità della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 16, entrato in vigore successivamente all’invito alla gara dal Comune al R., ha individuato una causa che esclude l’obbligatorietà del giudizio arbitrale e il potere di decidere con lodo le questioni prospettate dal R..

La sentenza quindi, non contiene statuizioni sul rapporto d’appalto e sugli eventuali inadempimenti delle parti nell’esecuzione di esso; in quanto il ricorso per cassazione non è un regolamento di competenza, è da negare che con esso si sia fissato il potere di decidere del tribunale ordinario con conseguente necessità di riassumere la causa dinanzi a tale giudice nel termine dell’art. 50 c.p.c..

Pertanto anche il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato, perchè infondato.

3.1. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 47, come modificato dalla L. n. 741 del 1981, perchè, anche a voler ritenere in conformità a quanto deciso dalla Corte d’appello che l’atto di citazione del 1992 è l’inizio di una nuova causa, invece che un ricorso in riassunzione del precedente giudizio arbitrale, non si è rilevata la decadenza dal diritto di agire per avere proposto la domanda oltre il termine di legge di sessanta giorni dalla delibera di rescissione dell’appalto.

Il Comune aveva eccepito sin dal primo grado tale decadenza oltre che la prescrizione della azione del R., ai sensi degli artt. 112, 50 e 305 c.p.c., comunque da ritenere preclusa dal giudicato del rigetto della domanda, desumibile dal rigetto dalla Cassazione nel 1990 del ricorso contro la pronuncia d’appello che aveva dichiarato la nullità del lodo arbitrale per carenza dei poteri di decidere degli arbitri. La domanda risarcitoria proposta al giudice ordinario nel 1992 risulta prospettata ben oltre il termine di sessanta giorni, di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 46, che il Tribunale di Lucera aveva escluso fosse applicabile nella concreta fattispecie, con statuizione confermata erroneamente per il ricorrente, in secondo grado.

Dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 47, come modificato dalla L. n. 741 del 1981 (C.Cost. 15 maggio 1996 n. 152) era applicabile la stessa norma nella versione previgente del citato D.P.R. n. 1063 del 1962, con i termini di decadenza nello stesso previsto.

Il controricorrente cita le varie pronunce della Corte suprema che hanno escluso la soggezione a termine di decadenza dell’azione risarcitoria dinanzi al giudice ordinario, esercitata dopo l’accesso a giudizio arbitrale (Cass. n. 662/88, n. 256/81, n. 627/81) e afferma comunque che, in questa stessa causa, la Corte d’appello di Roma ha ritenuto inapplicabile la modifica del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 47, di cui alla L. n. 741 del 1981, pubblicata dopo l’invito alla gara dell’ing. R., dovendosi rilevare che la sentenza della C.Cost. n. 152 del 1996 costituisce anche dies a quo da cui potevano decorrere i termini di decadenza per la proposizione dell’azione risarcitoria dinanzi al tribunale ordinario, azione che quindi nel caso era di certo tempestiva.

3.2. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Nel caso anzitutto è inapplicabile il termine di sessanta giorni di cui all’art. 46 (richiamato nell’art. 47) del D.P.R. n. 1063 del 1962, che attiene alle controversie tra direttore dei lavori e impresa (art. 42) per la cui risoluzione è previsto un procedimento amministrativo.

In tal caso, dalla notifica del provvedimento che ha concluso tale procedimento, decorrono i sessanta giorni previsti per l’azione arbitrale o quella giudiziaria.

Peraltro la deliberazione della rescissione del contratto da parte del Comune stazione appaltante, in quanto disposta al di fuori dei presupposti di legge (L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F) e oltre i limiti del regolamento applicabile (R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 26, e segg.), non può qualificarsi provvedimento conclusivo del procedimento di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 42 (su cui cfr. Cass. 13 febbraio 2009 n. 3647), costituendo invece essa stessa l’inadempimento del rapporto contrattuale di appalto (Cass. 16 giugno 2010 n. 15574 e 8 giugno 2007 n. 13509) e causa petendi dell’azione del R., che non poteva essere assoggettato al termine di cui all’art. 47 dello stesso Capitolato generale, anche nella versione antecedente alla novella del 1981.

In realtà nessun procedimento amministrativo si è avuto prima della delibera di rescissione dell’appalto, emessa oltre i limiti di legge e lesiva dell’immagine dell’appaltatore, in rapporto alle cause che la consentono, comunque connesse a comportamenti gravemente scorretti dell’impresa che nel caso non vi erano stati, avendo la stessa agito correttamente e per la sicurezza dell’opera da realizzare, seguita alla c.d. sorpresa geologica cui la stazione appaltante non si era voluta adeguare con la variante di progetto ad essa chiesta. Quanto detto esclude la intempestività della domanda del 1992 al Tribunale di Lucera e la decadenza dell’azione dell’impresa che il ricorrente pretende si sarebbe dovuta rilevare, per effetto della declinatoria della competenza arbitrale da parte del committente (Cass. 12 giugno 2006 n. 13582).

4.1. Si lamenta in quarto luogo la violazione dell’art. 189 c.p.c., in relazione all’eccepita violazione e disapplicazione degli artt. 2947 e 2935 c.c., avendo il R. domandato il risarcimento del danno, con azione soggetta, secondo il ricorrente, alla prescrizione quinquennale dell’art. 2947 c.c., per cui la domanda del 1992 era da ritenere prescritta. Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto rinunciata l’eccezione di prescrizione, non essendo stata riproposta con le conclusioni, analiticamente e specificamente contenenti le altre domande ed eccezioni, ma non quella di estinzione per prescrizione.

Poichè l’eccezione di prescrizione risulta richiamata con tutte le altre sollevate in entrambi i processi riuniti, era da escludere vi fosse stata la rinuncia ad essa, affermata nella sentenza di appello, che peraltro afferma la natura contrattuale della responsabilità a base dell’azione del R., con conseguente durata decennale della prescrizione. Chiara è invece, ad avviso della stazione appaltante ricorrente in questa sede, la natura extracontrattuale dell’azione risarcitoria conseguente alla illegittima rescissione deliberata dal Comune.

Per il controricorrente è corretta la rilevata rinuncia all’eccezione di prescrizione di cui alla sentenza impugnata, che esattamente ha ritenuto infondata la stessa deduzione, per essere l’azione di responsabilità esercitata in questa sede di natura contrattuale e di durata decennale.

4.2. Il motivo di ricorso è infondato, essendosi già rilevato che nella fattispecie la mancanza dei presupposti che avrebbero giustificato la rescissione dell’appalto rende la condotta del comune un mero inadempimento degli obblighi sorti dal contratto stesso di cui, in mancanza di prova liberatoria, l’ente locale doveva rispondere per la durata della prescrizione ordinaria decennale, potendosi collegare a tale condotta anche il danno all’immagine del R., connesso al carattere ingiustificato della disposta risoluzione unilaterale del contratto, risarcito in appello.

5.1. L’ultimo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2967 c.c., per non avere rilevato la sentenza impugnata che, in primo grado, si era ripetuta la liquidazione dei danni operata dagli arbitri con il lodo ritenuto contestualmente nullo e inutilizzabile, considerando lo stesso “come fonte di prova in altra controversia” (si cita Cass. 6 agosto 2003 n. 11842), con illogicità della decisione su tale punto.

5.2. La doglianza attiene al merito della sentenza impugnata e alla motivazione di essa ed è inammissibile, perchè in gran parte si riferisce alla motivazione della sentenza del tribunale, non impugnabile in questa sede, essendo preclusa anche dalla mancata indicazione dei fatti che nell’assunto del ricorrente, avrebbero giustificato l’eventuale rigetto della domanda.

L’ultimo motivo di ricorso è quindi inammissibile.

6. In conclusione, essendo i motivi tutti infondati o inammissibili, il ricorso deve rigettarsi e, per la soccombenza, il ricorrente deve rimborsare al controricorrente le spese della presente fase di legittimità nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.200,00 (quattromiladuecento/00), di cui Euro 200,00 (duecento) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di cassazione, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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