Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21875 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/09/2017, (ud. 19/07/2017, dep.20/09/2017),  n. 21875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17742-2013 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA, CF. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

V.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 301/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/07/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Urbino, in parziale accoglimento della domanda proposta da V.L., assunta con successivi contratti a tempo detetininato alle dipendenze del MIUR, ha condannato il Ministero al risarcimento del danno per l’abusiva reiterazione dei contratti, liquidato in misura pari alle differenze stipendiali conseguenti agli scatti di anzianità maturati dalla lavoratrice;

la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’appello del Ministero rilevando che, a prescindere da ogni valutazione sulla natura abusiva dei contratti a tempo determinato, la domanda relativa alle differenze stipendiali era stata proposta dalla lavoratrice sotto un duplice profilo discriminatorio: il riconoscimento del beneficio degli scatti biennali agli insegnanti di religione anche non di ruolo e l’ingiustificata disparità di trattamento con gli insegnanti di ruolo;

la Corte territoriale ha ritenuto che, sotto quest’ultimo profilo, la domanda dovesse essere accolta sulla base del principio di non discriminazione, alla luce dell’art. 4 dell’Accordo Quadro attuato con Direttiva 1999/70/CE (oltre che con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6), il quale consente un trattamento differenziato tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sulla base di ragioni oggettive, che non possono essere ravvisate nella mera circostanza che un impiego sia qualificato di ruolo in base all’ordinamento interno e presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego; infine, ha rigettato l’eccezione di prescrizione;

per la cassazione ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di due motivi;

la parte intimata non ha svolto attività difensiva;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il MIUR denuncia la violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6, del D.L. n. 70 del 2011, art. 9, comma 18, come convertito dalla L. n. 106 del 2011, della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4 del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 526 e della direttiva 99-70-CE;

1.1. il Ministero ricorrente sostiene, in sintesi, che le supplenze stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo sulla base della normativa di settore non violano la direttiva comunitaria, che ha come finalità solo quella di coniugare le esigenze di flessibilità del lavoro e di sicurezza dei lavoratori, per cui attribuisce rilievo alle esigenze di specifici settori, che giustificano il ricorso alla tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato;

2. con il secondo motivo, posto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il Ministero denuncia la “violazione dell’art. 2947 c.c. e dell’art. 2948 c.c., n. 4” per avere la Corte di appello ritenuto applicabile il termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale previsto per i crediti retributivi;

3. il primo motivo nella parte in cui insiste sulla legittimità dei contratti a termine, sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico, sulla esistenza di ragioni oggettive legate alla necessità di assicurare la continuità didattica, sovrappone e confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CES, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo;

3.1. il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata, nel riconoscere l’anzianità di servizio ai fini retributivi, si pone in linea con il principio di diritto recentemente affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”; 3.2. a dette conclusioni, ribadite da ultimo da Cass. ord. 12/7/2017, n. 17168, la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto; 3.3. il ricorso del MIUR non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

4. il secondo motivo, con cui si censura il capo della sentenza relativo al rigetto dell’eccezione di prescrizione, è inammissibile perchè l’Amministrazione ricorrente non indica in che termini la questione prospettata nel motivo potrebbe incidere nella fattispecie concreta, ossia se e in quale misura la pretesa della controricorrente potrebbe essere paralizzata dalla eccepita prescrizione quinquennale;

4.1. nel giudizio di cassazione l’interesse alla impugnazione va valutato in relazione ad ogni singolo motivo e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata, bensì deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile dall’eventuale accoglimento del gravame alla parte (Cass. nn. 13373/2008 e 15353/2010), utilità che deve potere essere desunta dagli elementi che la parte è tenuta ad indicare nel ricorso (così Cass. 12/7/2017, n. 17168);

5. in conclusione, il ricorso va respinto; non va adottato alcun provvedimento sulle spese in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte della intimata;

6. non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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