Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21873 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. I, 21/10/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 21/10/2011), n.21873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.R.d.M.L., con domicilio eletto in Roma, via

Alberico II n. 4, presso l’Avv. Abbatescianni Girolamo che la

rappresenta e difende unitamente all’Avv. Claudio Coggiatti come da

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., con domicilio eletto in Roma, viale Carso n. 77,

presso l’Avv. Pontecorvo Edoardo che lo rappresenta e difende

unitamente agli Avv.ti Franzo Grande Stevens, Cristina Grande Stevens

e Maria Elena Crippa, come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

N.S.; S.ITAL.P.I di Maria Paola Prono & C. s.n.c;

VEMENIA

s.a.s. di Alberto Prono & C; BORINI E PRONO COSTRUZIONI

s.p.a.;

P.V. in N.; P.M.P. in A.; P.

P.; P.D.V.; P.B.P.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino n.

1300/2006 depositata il 29 luglio 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 16 giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del

ricorso; udito l’Avv. Edoardo Pontecorvo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.R.d.M.L. ha intrapreso una causa avanti al Tribunale di Torino esponendo, per quanto ancora interessa, che tra il padre della medesima Pr.Vi. e il di lui fratello G. erano intercorsi complessi accordi al fine di dividere svariati cespiti e partecipazioni azionarie paritariamente posseduti e sostenendo che nell’ambito di tale attività negoziale la parte di competenza del genitore non era stata adeguatamente valorizzata e che erano rimasti esclusi alcuni cespiti pur di comune proprietà;

chiedeva pertanto l’attrice che gli eredi di P.G. e la società SOPIND s.p.a. (e per essa l’incorporante Vemenia s.a.p.a.) venissero condannati a corrisponderle quanto ancora a lei dovuto a seguito della divisione, sia a titolo di indennizzo per arricchimento senza causa che a titolo di risarcimento del danno. Il Tribunale ha respinto la domanda e la pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino la cui sentenza è gravata dal presente ricorso.

A sostegno dell’impugnazione vengono proposti due motivi con i quali in sintesi si deduce: violazione degli artt. 1344, 1418, 1424, 2437 e 2344 c.c. nonchè delle norme e dei principi a tutela dell’intangibilità del capitale sociale e della disciplina fiscale per aver omesso la Corte di merito di rilevare che in realtà gli accordi in questione avevano comportato il recesso di un socio in violazione delle norme che lo disciplinano eludendo le garanzie poste a tutela dell’integrità del capitale sociale nonchè la normativa fiscale con conseguente nullità del negozio; carenza di motivazione in ordine alla ritenuta inammissibilità della domanda alternativa volta ad ottenere la condanna dei convenuti al pagamento delle somme dovute a titolo di arricchimento senza causa e di risarcimento dei danni.

Resiste con controricorso il solo P.A. che ha anche depositato memoria illustrativa.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.

In primo luogo sono inidonei i quesiti di diritto che lo corredano in quanto nella loro formulazione si danno per scontate qualificazioni della vicenda negoziale (“liquidazione di fatto della partecipazione del socio … al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge”; “conseguente riduzione del capitale sociale ed in elusione di norme imperative in materia di intangibilità del capitale sociale”) che non risultano in alcun modo acquisite nella sentenza impugnata che ha qualificato le operazioni contestate come mera cessione di partecipazioni nè sono a loro volta formalizzate in idonei autonomi quesiti di diritto.

In secondo luogo le questioni proposte sono totalmente nuove ed in insanabile contrasto con le tesi sostenute nella fase di merito, laddove, sull’inconciliabile presupposto della validità degli accordi negoziali oggetto di causa se ne è richiesto l’esatto adempimento. Nè vale ad evitare la censura della novità la circostanza che il vizio solo in questa fase dedotto sia la nullità dei contratti, posto che è principio acquisito quello secondo cui “i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni che hanno formato oggetto dei giudizio di secondo grado, non essendo consentita in sede di legittimità la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, quando esse presuppongano ovvero richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti.

Tale principio trova applicazione anche con riguardo alle cause di nullità del contratto, previste dall’art. 1418 c.c. e rilevabili “ex officio” ai sensi dell’art. 1421 c.c.” (Cassazione civile, sez. 3^, 24/05/2007, n. 12085), non potendo revocarsi in dubbio che nessun accertamento sia stato compiuto nè in ordine agli effetti sul patrimonio delle società coinvolte nè sulle conseguenze di ordine fiscale degli atti adottati.

Ugualmente inammissibile è il secondo motivo con il quale si censura sotto il profilo del difetto di motivazione la pronuncia di inammissibilità del motivo di appello volto a riproporre la domanda, rigettata dal primo giudice, diretta ad ottenere la condanna dei convenuti a titolo di indennizzo per arricchimento senza causa e risarcimento dei danni in quanto formulato senza la specifica enunciazione del fatto controverso.

In ogni caso il motivo sarebbe da ritenersi assorbito, posto che la pretesa fondata sul dedotto arricchimento senza causa viene giustificata con la ritenuta nullità degli accordi il cui mancato riconoscimento è oggetto del precedente motivo ritenuto inammissibile.

L’inammissibilità dei motivi comporta quella del ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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