Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21870 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 28/10/2016, (ud. 12/10/2016, dep. 28/10/2016), n.21870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 28368 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

C.S.A.M., rappresentata e difesa, giusta procura

speciale apposta a margine del ricorso, dagli avvocati Fabio

Elefante ed Antonio Tomassini, presso lo studio dei quali in Roma,

alla via dei Due Macelli, n. 66, elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, sezione 17, depositata in data 19 aprile

2012, n. 67;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

12 ottobre 2016 dal Consigliere Dott. Angelina Maria Perrino;

uditi per la contribuente l’avv. Antonio Tomassini e per l’Agenzia

l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

C.S., iscritta all’A.I.R.E. dal (OMISSIS) quale emigrata nel Principato di Monaco, ha ricevuto avviso relativo all’anno d’imposta (OMISSIS) col quale l’Agenzia delle entrate, in esito ad attività ispettiva svolta nei confronti delle società del gruppo C., tra cui la s.r.l. Vetrine nel mondo, ha qualificato l’attività svolta dalla contribuente nei confronti di quest’ultima società come prestazione di lavoro autonomo, ritenendola per conseguenza presupposto impositivo d’iva; per conseguenza, ha recuperato l’imposta dovuta, irrogando le relative sanzioni.

La contribuente ha impugnato l’avviso, senza successo, nè in primo, nè in secondo grado.

In particolare, la Commissione tributaria regionale ha considerato che:

– la nullità della notificazione dedotta dalla contribuente è da ritenere sanata;

– in relazione agli argomenti del giudice di primo grado concernenti la conoscenza da parte di C.S. del processo verbale di constatazione emesso nei confronti della s.r.l. Vetrine nel Mondo, desumibile dal fatto che la contribuente in relazione al verbale ha presentato memoria difensiva, il relativo motivo di appello è inammissibile perchè privo di specifiche doglianze;

– quanto alla censura relativa all’impiego di documenti acquisiti nel corso di attività svolta nei confronti di terzi, non v’era necessità di procedere ad ulteriori acquisizioni documentali;

– con riferimento alla motivazione dell’avviso di accertamento, infondata è la relativa censura, perchè la contribuente già conosceva il processo verbale di constatazione sul quale l’avviso era calibrato;

– l’attività svolta dalla contribuente andava qualificata come lavoro autonomo, mancando qualsiasi soggezione al potere organizzativo del datore di lavoro;

– quest’attività va assoggettata ad Iva, perchè svolta e retribuita in Italia.

Avverso la sentenza propone ricorso C.S. per ottenerne la cassazione, che affida a quattordici motivi, cui l’Agenzia reagisce con controricorso.

Diritto

1.- Va preliminarmente respinta l’istanza di riunione dell’odierno giudizio agli altri ivi indicati, apparendo inopportuno dilazionarne la trattazione.

2.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 142 c.p.c., là dove il giudice d’appello ha ritenuto sanata la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento, ricevuto dalla ricorrente a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Il motivo è infondato.

2.1.- La giurisprudenza di questa Corte non dubita difatti che la natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria- non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c. (Cass., sez. un., 19854/04, nonchè, tra varie, 5057/15).

2.2.- Nel caso in esame la sanatoria della nullità (qualora sussistente, anche alla luce di Cass., sez. un., 14916 e 14917/16) si è indubitabilmente prodotta, in quanto la stessa contribuente riferisce di aver “…presentato tempestivo ricorso…”.

3.- Col secondo, col sesto e col settimo motivo, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, la contribuente lamenta:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, là dove la Commissione ha reputato inammissibile il capo di appello concernente il difetto di allegazione del processo verbale di constatazione all’avviso di accertamento (secondo motivo);

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa o insufficiente motivazione circa il fatto controverso della mancata allegazione del verbale, nonchè la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, cagionata appunto da tale omessa allegazione (sesto motivo);

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 7 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, là dove la Commissione ha reputato adeguatamente motivato l’avviso benchè l’ufficio non abbia eseguito riscontri od ispezioni nei confronti della ricorrente, nè abbia allegato all’avviso le risultanze istruttorie che avrebbero supportato la pretesa (settimo motivo).

La complessiva censura è inammissibile.

3.1.- La contribuente non aggredisce l’accertamento del fatto relativo alla presentazione da parte sua di una memoria difensiva alla Direzione regionale dell’Agenzia in relazione al processo verbale di constatazione emesso nei confronti della s.r.l. Vetrine nel Mondo: si legge in sentenza che la Commissione tributaria provinciale “…ha osservato come l’odierna appellante avesse presentato, in relazione al processo verbale di constatazione redatto nei confronti della società Vetrine nel Mondo, una memoria difensiva alla Direzione Regionale della Toscana”; e su questa circostanza il giudice d’appello fa leva per affermare l’infondatezza della censure proposte in appello, con le quali, chiosa la Commissione, la contribuente è limitata a dedurre gli stessi argomenti già oggetto del ricorso in prime cure…”. Anzi, in più punti del ricorso (si veda ad esempio l’ultimo capoverso di pag. 32) si riferisce la circostanza storica dell’avvenuta presentazione di memoria difensiva in relazione al processo verbale di constatazione in questione.

3.2.- La presentazione della memoria implica la conoscenza del contenuto del verbale in relazione al quale essa avvenne e comporta l’applicabilità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, u.c., (specchiantesi nell’omologa disposizione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42), a norma del quale “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

3.3.- Non v’era, quindi, necessità che l’avviso di accertamento, benchè motivato per relationem, allegasse l’atto richiamato, neanche alla luce dell’art. 7 dello statuto dei diritti del contribuente: un’interpretazione puramente formalistica di questa norma si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione d garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli (in termini, fra varie, Cass. 15327/14; 407/15; 24254/15).

3.4.- Ciò posto, giova rimarcare che la motivazione dell’avviso di accertamento non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, occorrendo soltanto verificare se essa assolva la funzione di esternare il percorso logico posto a fondamento della pretesa impositiva. E ciò in quanto l’atto amministrativo in generale, del quale quello tributario mutua le forme, è adeguatamente motivato allorquando adempia due finalità concorrenti: consentire l’interpretazione dell’atto e facilitarne il controllo da parte degli interessati e del giudice. I due profili dell’interpretazione e del controllo, con specifico riguardo all’atto impositivo, vanno coordinati in funzione della verifica dell’adeguata identificazione della fattispecie impositiva e dei presupposti che ne consentono l’applicazione.

3.5.- Tali principi rispondono ad un orientamento consolidato di questa Corte, la quale ha reiteratamente stabilito che, nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato, oppure che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale; con la precisazione che per contenuto essenziale si deve intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (fra varie, Cass. 6914/11; 13110/12; ord. 9032/13).

3.6.- Ebbene, la circostanza che la contribuente conoscesse il contenuto del processo verbale di constatazione, sul quale, per sua stessa ammissione, è stato integralmente calibrato l’avviso di accertamento che ha ricevuto, evidenzia l’adeguatezza della motivazione, ossia dell’iter logico seguito, là dove la necessità di ricercare ulteriori riscontri e di eseguire ispezioni presso la contribuente, nonchè l’allegazione delle risultanze istruttorie su cui pure s’insiste in ricorso pertengono al piano, logicamente e cronologicamente successivo, della prova della pretesa impositiva.

3.7.- Il che spoglia di interesse ad agire la censura fondata sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, formulata col secondo motivo, in quanto è destinata a rimanere ferma la statuizione con la quale, sul punto specifico dell’allegazione del verbale all’avviso, il giudice d’appello ha condiviso la pronuncia di primo grado.

4.- Col terzo, col quarto e col quinto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè strettamente connessi, C.S. lamenta:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa o insufficiente pronuncia circa il fatto controverso e decisivo dell’omessa redazione di un processo verbale di constatazione prodromico rispetto all’avviso di accertamento e dell’omissione di qualsiasi forma di contraddittorio orale o documentale, nonchè la violazione della L. n. 4 del 1929 , art. 24 e della L. n. 212 del 2000, art. 12 – terzo motivo;

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 4 del 1929, art. 24 e L. n. 212 del 2000, art. 12, deducendo che l’omissione di qualsiasi attività istruttoria e comunque di contraddittorio endoprocedimentale ha violato i principi di collaborazione e buona fede tra fisco e contribuente -quarto motivo;

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, là dove il giudice ha reputato senz’altro utilizzabile nei confronti della contribuente la documentazione acquisita da un soggetto terzo – quinto motivo.

La complessiva censura è infondata.

4.1.- Va premesso che, in generale, il presupposto di applicabilità del complessivo statuto di diritti e di garanzie contemplato dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, compresa l’applicazione del termine dilatorio di sessanta giorni su cui pure la contribuente si sofferma, è dato dall’accesso, dall’ispezione o dalla verifica nei locali aziendali, in quanto il complesso di diritti e garanzie fa da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, al fine di conformare e adeguare l’interesse dell’amministrazione alla situazione, come delineata dagli elementi raccolti dall’ufficio giustappunto grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali (in termini, Cass. 8399/13; 27200/13; 7957 e 7958/14, nonchè 13588/14).

Ne consegue che le garanzie in questione sono assicurate esclusivamente al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica nei locali, ma non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento (Cass. 16354/12; conf., in relazione giustappunto ad un avviso notificato al socio di una s.r.l. in esito ad una verifica concernente la società, ord. 19013/16); nè diritti e garanzie sono operativi se l’amministrazione si avvale di verifiche compiute nei confronti di terzi (Cass. 25515/13).

4.2.- In particolare, quanto all’iva, anche la giurisprudenza che fa leva sul D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, specifica che la norma prescrive la necessità di redazione di apposito verbale qualora l’accesso vi sia stato, pena la violazione del diritto del contribuente di presentare apposite memorie difensive entro sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione (Cass. 20770/13; conf., ord. 19331/16).

4.3.- In questo contesto, le sezioni unite di questa Corte (Cass. 24823/15; conf., 26117/15) hanno stabilito che, per i tributi armonizzati come l’Iva, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

4.4.- Nel caso in esame, dalla narrativa della sentenza impugnata emergono le circostanze fattuali su cui ha fatto leva nel merito la contribuente (in particolare, quelle dalle quali si dovrebbe desumere, nella sua prospettazione, che l’attività svolta per Vetrine nel Mondo s.r.l. debba essere qualificata come collaborazione coordinata e continuativa). Ma emerge altresì, lo si è già rimarcato, che giustappunto in relazione al processo verbale di constatazione emesso nei confronti della s.r.l. Vetrine nel Mondo, che aveva evidenziato, in base alla stessa ricostruzione della ricorrente, lo svolgimento dell’attività di stilista e la percezione dei relativi compensi, C.S. ha depositato memoria difensiva. In questo quadro, la contribuente non ha dedotto, come suo onere, che avrebbe rappresentato, se fosse stato promosso dall’ufficio il contraddittorio nei suoi confronti, circostanze ulteriori a quelle già esposte nella memoria difensiva (per soluzione analoga, vedi Cass. 26117/15).

Il che determina l’infondatezza della censura, alla luce dell’orientamento di questa Corte del quale si è dato conto.

5.- Inammissibile è poi l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5, con riguardo alla qualificazione dell’attività svolta nei confronti della s.r.l. Vetrine nel Mondo.

Ciò in quanto la censura si scontra con l’accertamento di fatto contenuto in sentenza: sostengono i giudici d’appello, sul punto richiamando e dichiarando di condividere la decisione di primo grado, che la qualificazione del rapporto era collegata “…alla stessa volontà espressa dalle parti, osservando che si trattava di attività svolta in piena autonomia e per cinque anni, senza trascurare che l’assoluta autonomia di cui aveva goduto la C. contrastava con una delle fondamentali caratteristiche del lavoro parasubordinato e che consiste nell’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro (mentre qui sostanzialmente coincidono le due posizioni)”.

Dietro lo schermo della violazione di legge, dunque, la contribuente ripropone una diversa lettura, inibita a questa Corte, delle risultanze processuali.

6.- Infondato è il nono motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, col quale la contribuente si duole dell’omessa pronuncia in ordine alla questione della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, nel testo applicabile all’epoca dei fatti.

Ciò in quanto, in generale, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 20311/2011; conf., 21612/13; 17956/15).

In particolare, la pronuncia, sia pure stringata, c’è e sta nella statuizione contenuta in sentenza secondo cui …l’Iva è dovuta a fronte di attività di lavoro svolte in Italia e qui retribuite”.

7.- Fondati sono, invece, il decimo e l’undecimo motivo, che per connessione vanno esaminati congiuntamente, con i quali la contribuente lamenta:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e degli artt. 100 e 112 c.p.c., nonchè l’erronea applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. d), là dove la Commissione tributaria regionale, nell’escludere il difetto di territorialità della prestazione svolta, ha trascurato che, essendo essa resa da un soggetto non residente in Italia, manca il presupposto della territorialità – decimo motivo;

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione circa il fatto controverso in giudizio che la prestazione svolta dalla contribuente, che in base all’avviso di accertamento andava ascritta al novero delle consulenze tecniche, fosse in realtà priva del requisito della territorialità e quindi non imponibile -undecimo motivo.

Stabilisce del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, il comma 3, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, che “le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso o da soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero…”; là dove la lett. d) del comma 4 prescrive che, tra l’altro, le prestazioni…di consulenza o assistenza tecnica o legale…si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all’estero…”.

Se, dunque, in materia d’Iva, le prestazioni di servizi si considerano compiute, in via di principio, nello Stato di residenza del prestatore, il quale è ivi tenuto ad adempiere la relativa obbligazione tributaria (in termini, Cass. 5641/15), a tale criterio prioritario, fondato sul principio di territorialità dell’imposta, si deroga nel caso, tra l’altro, di prestazioni di consulenza eseguite da operatore straniero, senza stabile organizzazione in Italia, in favore di soggetto italiano (conf., tra varie, Cass. 16436/11).

7.1.- La questione dell’applicabilità della norma generale, oppure di quella particolare è stata ritualmente introdotta in giudizio in primo grado e riproposta in appello, come ha segnalato la contribuente, indicando i luoghi dei rispettivi atti processuali dove ve n’è trattazione; ma il giudice d’appello ha trascurato di esaminarla, limitandosi a far leva per un verso sulla natura di prestazione di attività autonoma e non coordinata e continuativa e per l’altro sul suo svolgimento in Italia, dov’è stata retribuita.

Circostanze, entrambe, ininfluenti ai fini dell’esatto inquadramento della fattispecie, occorrendo, invece, verificare se l’attività svolta sia qualificabile come consulenza.

La censura va quindi accolta.

8.- Il che comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi (dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo motivo), che fanno leva sulla nullità della sentenza per l’erronea applicazione delle sanzioni per l’omessa presentazione della dichiarazione Iva e sul correlativo vizio di motivazione

9.- S’impone per conseguenza in relazione al profilo accolto, nonchè per la regolazione delle spese la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria della Toscana in diversa composizione.

PQM

la Corte:

rigetta il primo, il terzo, il quarto, il quinto, ed il nono motivo di ricorso, dichiara inammissibili il secondo, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, accoglie il decimo e l’undicesimo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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