Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21869 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 30/07/2021), n.21869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 33068/2018 R.G. proposto da:

FARO COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI spa IN LIQUIDAZIONE

COATTA AMMINISTRATIVA, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Lorenzo

Magnani e Maria Antonelli, con domicilio eletto in Roma, Piazza

Gondar, n. 22, presso lo studio dell’Avv. Maria Antonelli;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 2549/2018 depositata il 18 aprile 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 febbraio

2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

La società Faro compagnia di assicurazioni e riassicurazioni spa in liquidazione coatta amministrativa impugnava avanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma l’avviso di liquidazione emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate concernente l’imposta proporzionale di registro in relazione alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma il 2 febbraio 2013 e recante condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno. L’avviso era emesso nei confronti della ricorrente sul presupposto che l’imposta fosse dovuta in solido tra tutte le parti in causa.

La contribuente contestava di non essere mai stata evocata nel giudizio de quo e quindi di non aver assunto la qualità di “parte in causa” con conseguente difetto del presupposto soggettivo dell’imposta.

La CTP accoglieva il ricorso sul rilievo che parte del giudizio civile era stata la società Faro in bonis e non la Faro in liquidazione coatta amministrativa, sicché questa non era tenuta al pagamento dell’imposta di registro.

L’Agenzia delle entrate impugnava tale sentenza avanti alla Commissione tributaria regionale per il Lazio che accoglieva l’appello in considerazione del fatto che, ai sensi della L. Fall., art. 200, nelle controversie in corso relative ai rapporti patrimoniali dell’impresa, sta in giudizio il commissario liquidatore e che l’obbligazione tributaria nascente dall’atto di accertamento doveva qualificarsi come credito anteriore alla procedura, essendo irrilevante che il commissario non avesse partecipato al giudizio.

La Faro ha proposto ricorso per la cassazione di tale decisione affidato a due motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale discussione. In vista dell’adunanza camerale, ha depositato una memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La CTR aveva qualificato il debito tributario come anteriore all’apertura della procedura di liquidazione coatta e conseguentemente lo aveva ritenuto soggetto al concorso di cui all’art. 52 L. Fall., richiamato per la LCA dalla stessa legge, art. 201. In realtà, il giudice d’appello non avrebbe considerato quanto dedotto dal ricorrente e cioè che la sentenza oggetto della tassazione, e dunque il presupposto dell’imposta, era stata pronunciata il 2-23 febbraio 2013 e l’avviso di liquidazione impugnato era stato emesso il 4 giugno 2014 e dunque successivamente al provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa della contribuente, risalente al 28 luglio 2011. Inoltre, aveva dedotto che il giudizio era stato promosso nei confronti della società in bonis la quale, solo nelle more del giudizio, era stata posta in liquidazione coatta. Tuttavia, il commissario liquidatore non era stato evocato in giudizio e questo era proseguito nei confronti della Faro.

Pertanto, la sentenza emessa del procedimento e sottoposta a tassazione sarebbe stata inter alios acta e non sarebbe opponibile alla società in liquidazione coatta.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, del R.D. n. 267 del 1942, art. 200 e degli artt. 299,300,302 e 303 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La contribuente afferma la propria estraneità all’obbligazione tributaria non avendo mai assunto la qualità di parte in causa e non essendo pertanto destinataria degli effetti della sentenza. Precisamente, afferma che a seguito della apertura della procedura concorsuale, la società Faro avrebbe perso la capacità di stare in giudizio ex art. 200 L. Fall. ma, non essendo stato tale evento dichiarato ai sensi dell’art. 300 c.p.c. il processo sarebbe proseguito nei confronti delle parti originarie nei cui confronti soltanto la sentenza può essere opposta.

Preliminarmente, deve essere dichiarata inammissibile la memoria depositata dall’Agenzia delle entrate.

Questa Corte, con orientamento maggioritario, ha affermato che “nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell’art. 380-bis.1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 196 del 2016), per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., ma che, in base alla vecchia disciplina, avrebbe avuto ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi entro i quali avrebbe potuto farlo il controricorrente” (Cass. n. 6592 del 10/03/2021; n. 12803 del 14/05/2019; Cass. n. 21798 del 07/09/2018; Cass. 10/08/2017, n. 19988; Cass. 08/06/2017, n. 14330; Cass. 24/03/2017 n. 7701; Cass. 27/02/2017, n. 4906). A tale conclusione si è giunti richiamando quanto statuito dal Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le Sezioni civili della Corte di cassazione, art. 1, intervenuto in data 15 dicembre 2016 tra il Consiglio Nazionale Forense, l’Avvocatura generale dello Stato e la Corte di cassazione, nonché in considerazione dell’esigenza di evitare disparità di trattamento rispetto ai processi trattati in pubblica udienza ed in attuazione del principio costituzionale dei giusto processo, di cui all’art. 111 Cost., oltre che dell’art. 6 CEDU (Cass. n. 6592 del 10/03/2021 cit.).

Tuttavia, ben diversa deve ritenersi la situazione in cui il giudizio di legittimità sia stato introdotto successivamente alla data di entrata in vigore del ridetto art. 380-bis.1.

Come questa Corte ha già rilevato, per effetto del novellato art. 375 c.p.c., davanti alle sezioni semplici la trattazione dei procedimenti in camera di consiglio è divenuta la regola, essendo la trattazione in udienza pubblica circoscritta alle ipotesi di particolare rilevanza delle questioni di diritto. Anche per il rito previsto per la apposita sezione di cui agli artt. 374 e 380 bis c.p.c. l’avvio a pubblica udienza è meramente eventuale. Sicché, a regime, il rito di regola applicabile è quello camerale e non quello della pubblica udienza con la conseguenza che l’esigenza di tutela dell’affidamento che nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell’art. 380-bis.1 c.p.c. aveva giustificato la soluzione di cui si è sopra dato conto, nella specie non ricorre (Cass., Sez. L. n. 23921 del 29/10/2020, Rv. 659281-02).

Pertanto, la parte intimata che voglia svolgere le proprie difese è onerata della presentazione di tempestivo controricorso, dovendo essere consapevole che, per effetto delle modifiche introdotte dal D.L. n. 168 del 2016, conv. in L. n. 196 del 2016, il procedimento sarà di regola trattato in camera di consiglio con la conseguenza che, in mancanza, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., essa non potrà presentare memorie.

Ne’ tale conclusione appare lesiva del diritto al contraddittorio, dovendo la parte sapere che esso sarà di regola cartolare e dovrà svolgersi secondo i tempi e le modalità di cui al cit. art. 370. Come già osservato da questa Corte, infatti, con orientamento cui questo collegio intende dare continuità, “e’ evidente che la parte, rendendosi inosservante alle regole del rito di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1 prima parte, al di fuori del particolare caso di cui al periodo transitorio e di cui si è detto, non può che subire le conseguenze pregiudizievoli, quanto alle facoltà di difesa, che, non irragionevolmente, l’art. 370 c.p.c. stabilisce quale sanzione per il determinarsi della corrispondente irritualità, salvo il parziale recupero delle difese orali nel caso (diverso e non sovrapponibile, anche per la specificità dei presupposti e l’operare, in udienza, della direzione giudiziale) in cui sia fissata udienza di discussione” (Cass., Sez. L. n. 23921 del 29/10/2020, cit.).

In conclusione, dunque, se la causa sia avviata a decisione camerale, la mancata presentazione di tempestivo controricorso, rende inammissibili anche le memorie eventualmente depositate dalla parte intimata (Cass. n. 32724 del 2019; Cass. n. 10813 del 2019; Cass., n. 5798 del 2019).

Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo.

In tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, dispone che “Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli artt. 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli artt. 633,796,800 e 825 c.p.c.”.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’obbligazione solidale prevista dall’art. 57 cit. per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti, non grava, quando si tratti di litisconsorzio facoltativo, sui soggetti che non siano parti del rapporto sostanziale oggetto del giudizio, assumendo rilievo non la sentenza in quanto tale, ma il rapporto racchiuso in essa, quale indice di capacità contributiva (Cass., Sez. 6-5, n. 21297 del 2020).

La citata disposizione deve intendersi riferita “a tutti coloro che abbiano preso parte al giudizio, nei confronti dei quali la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva e la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti di tale decisione, in quanto la finalità di detta norma è quella di rafforzare la posizione dell’erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti di colui che è civilmente tenuto al pagamento” (Sez. 5, n. 12009 del 2020; n. 29158 del 2018, Rv. 651544-01).

Si e’, inoltre, precisato che, l’obbligazione solidale ex art. 57 cit., nell’ipotesi di processo con pluralità di parti, quando si tratti di litisconsorzio facoltativo, non grava sui soggetti che non siano parti del rapporto sostanziale oggetto del giudizio, assumendo rilievo non la sentenza in quanto tale, ma il rapporto racchiuso in essa, quale indice di capacità contributiva. (Cass., Sez. 5, n. 12009 del 2020; n. 1710 del 2018, Rv. 648742-01; n. 21134 del 2014, Rv. 632570-01).

Ai fini della verifica della debenza o meno dell’imposta nascente da una sentenza, è dunque necessario avere riguardo esclusivamente alla situazione sostanziale che ha dato causa alla sentenza registrata.

Nella specie risulta che la sentenza soggetta a tassazione, emessa in data 2 febbraio 2013 e depositata il 26 febbraio 2013, è stata pronunciata nei confronti della società “Faro compagnia di assicurazioni e riassicurazioni spa” in bonis. Risulta, altresì, che il decreto del Ministero dello sviluppo economico con cui era stata disposta la liquidazione coatta amministrativa era intervenuto anteriormente a tale pronuncia, e precisamente in data 28 luglio 2011. Tale evento non era mai stato dichiarato nel corso del giudizio ove anzi la società era rimasta contumace.

L’art. 200 L. Fall. stabilisce che dalla data del provvedimento che dispone la liquidazione si applicano gli artt. 42, 44, 45, 46 e 48 della medesima legge e nelle controversie anche in corso, relative ai rapporti di diritto patrimoniale dell’impresa, sta in giudizio il commissario liquidatore.

Affinché la LCA operi nel processo in corso determinandone l’interruzione, l’evento interruttivo deve essere dichiarato dal procuratore della parte, ai sensi dell’art. 300 c.p.c., ovvero, ai sensi del comma 4, nel caso in cui l’evento si verifichi nei confronti della parte contumace, il processo è interrotto da quando il fatto è documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica (diversamente avviene per il fallimento, ove la dichiarazione del medesimo ha efficacia interruttiva automatica, ai sensi della art. 43 L. Fall., comma 3, introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, il quale non è richiamato dalle disposizioni in tema di liquidazione coatta amministrativa).

Questa Corte ha chiarito (con affermazione che può essere estesa all’ipotesi di liquidazione coatta amministrativa) che la perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto – e per essa ai curatore – è consentito eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte e il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l’eccezione, né il giudice può rilevare d’ufficio il difetto di capacità, e il processo continua validamente tra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale (Cass. n. 3558 del 13/02/2020; 5226/ 2011; Cass. 22295/ 2012).

Si è anche escluso che — indipendentemente dall’interruzione – il fallimento divenga una parte necessaria del processo, nei cui confronti va disposta l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c.; “ciò per la dirimente ragione che, secondo quanto ripetutamente affermato da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. nn. 5226/011, 157131010), la perdita della capacità processuale del fallito non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto è concesso di eccepirla, con la conseguenza che, qualora il curatore rimanga inerte, il processo continua validamente fra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale (fatta sempre salva la facoltà del curatore di profittare dell’eventuale risultato utile del giudizio in forza del sistema di cui agli artt. 42 e 44 L. Fall.)” (Cass. n. 614 del 2016. Si veda, inoltre, n. 27829 del 2017, rv. 646188-01) secondo la quale “La dichiarazione di fallimento di una delle parti che si sia verificata dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni (o di discussione), effettuata nella prima memoria ai sensi dell’art. 190 c.p.c. non produce alcun effetto ai fini della interruzione del processo, sicché il giudizio prosegue tra le parti originarie e la sentenza pronunciata nei confronti della parte successivamente fallita non è nulla, né inutiliter data, bensì inopponibile alla massa dei creditori, rispetto ai quali costituisce res inter alios acta”).

Nel caso in esame, non risulta che l’apertura della liquidazione coatta amministrativa sia stata documentata in giudizio il quale è dunque proseguito nei confronti della società Faro in bonis, sicché la sentenza recante la condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno è stata pronunciata nei confronti della società e non della LCA.

In conclusione, il ricorso va accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può essere deciso nel merito ex art. 384 c.p.c. con accoglimento del ricorso originario proposto dalla contribuente. L’evoluzione della vicenda processuale ed il progressivo consolidarsi della giurisprudenza richiamata giustificano la compensazione delle spese processuali delle fasi di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 4.500 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge e oltre Euro 200 per esborsi; dichiara compensate le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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