Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21869 del 27/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21869 Anno 2015
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 8054-2013 proposto da:
CAPRETTI ELEONORA C.F. CPRLNR75H45F205Z, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO NOTARMUZI, rappresentata e
difesa dall’avvocato FEDERICO CINQUE, giusta delega in
atti;
– ricorrente-

2015
2923

contro

TRANSCOM WORLDWIDE S.P.A. C.F. 12639850150, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso

Data pubblicazione: 27/10/2015

lo studio degli avvocati MARCO MARAZZA, MAURIZIO
MARAZZA, DOMENICO DE FEO, che la rappresentano e
difendono, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

controricorrente

923/2012 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

23/06/2015

dal Consigliere Dott. ADRIANA

DORONZO;
udito l’Avvocato CINQUE FEDERICO;
udito l’Avvocato MARAZZA MAURIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di L’AQUILA, depositata il 19/09/2012 R.G.N. 121/2012;

Udienza del 23 giugno 2015
Presidente Amoroso
Relatore Doronzo
R.G. n. 8054/13
Capretti c/Transcom Worldwide s.p.a.

Svolgimento del processo
LEleonora Capretti convenne dinanzi al Tribunale dell’Aquila la Transcom
Worldwide s.p.a. (di seguito solo Transcom) e chiese che fosse dichiarata
l’inefficacia del licenziamento intimatole dalla società nell’ambito di una
procedura di licenziamento collettivo avviata con nota del giorno 8/6/2009.
2. Il Tribunale accolse la domanda e condannò la società alla reintegrazione della
ricorrente nel posto di lavoro in precedenza occupato, nonché a corrispondere, a
titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni maturate dal giorno del
licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Il Tribunale osservò che i
motivi posti a base della procedura di licenziamento, specificamente indicati nella
comunicazione di avvio e costituiti dalla cessazione dell’attività d’impresa presso
la sede dell’Aquila, erano diversi da quelli reali, costituiti dall’eccessivo costo del
lavoro dei dipendenti addetti a quell’unità produttiva, e che tale difformità
costituiva violazione dell’art. 4 della legge n. 223/1991, non sanata dal successivo
accordo sindacale del 9/11/2009, con il quale le parti avevano concordato di
riallocare le risorse in esubero presso la società E-Care e di riammettere nell’unità
produttiva dell’Aquila i lavoratori non attinti dalla procedura di riduzione e,
originariamente, da trasferirsi presso altra sede.
3.La sentenza fu impugnata dalla Transcom e, in via incidentale dalla lavoratrice,
dinanzi alla Corte d’appello dell’Aquila che, con la sentenza qui in esame, ha
accolto l’appello e ha rigettato la domanda originariamente proposta, dichiarando
assorbito l’appello incidentale.
4.La Corte ha osservato, in fatto, che: a) la procedura si era conclusa con
l’accordo sindacale del 9/11/2009 in forza del quale la società, pur procedendo al
licenziamento di 276 lavoratori da individuarsi in via prioritaria secondo il criterio
della volontarietà, si impegnava a proseguire la sua attività in L’Aquila con la
riammissione in servizio di 69 lavoratori (dei 77 già trasferiti presso altre sedi); b)
nella nota di avvio dell’8/6/2009 era stata indicata quale ragione della riduzione
del personale la cessazione delle attività del Contact Center dell’Aquila; c) nella
stessa nota di avvio, e propriamente nella parte riguardante i motivi dell’apertura
della procedura, si era fatto riferimento al sisma dell’aprile precedente e alla totale
inagibilità dell’immobile in cui aveva sede il contact center, con la conseguente
l’impossibilita oggettiva di proseguirvi l’attività e la necessità di ricorrere alla
CIGO in deroga per tutti i 360 dipendenti all’epoca occupati; d) sempre nella
comunicazione di avvio si era dato atto che il sisma si inseriva in uno “scenario
industriale di generale difficoltà del settore”, che aveva registrato negli ultimi
esercizi una riduzione del fatturato e una crescente difficoltà di aggiudicazione di
nuove commesse, dovuta alla scarsa competitività dei costi di gestione; e) in
particolare, vi era stata una “sostanziale irreversibile riduzione dei volumi di
affari e dei margini dell’unica commessa ivi gestita per il cliente Tele2”; f) il
livello dei costi del centro dell’Aquila, nettamente superiore rispetto al costo di
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Udienza del 23 giugno 2015
Presidente Amoroso
Relatore Doronzo
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Capretti c/Transcom Worldwide s.p.a.

altri centri, non consentiva di trasferire sul sito nuove commesse; g) infine, a
seguito del sisma, parte della commessa Tele2 era stata assegnata dalla
committente ad altri fornitori, con un’ulteriore diminuzione del fatturato.
4.1. Con riferimento ai costi dell’azienda, la Corte ha sottolineato un ulteriore
dato, emerso dalla deposizione testimoniale del direttore del personale della
società, costituito dall’applicazione ai dipendenti della sede dell’Aquila (a
differenza di altre sedi) del C.C.N.L. Commercio almeno per il 90% del
personale, meno conveniente per l’impresa rispetto al C.C.N.L.
Telecomunicazioni, cui solo dal 2007 si era iniziato a dare applicazione.
La Corte ha quindi affermato che, posta la verificabilità dei dati indicati, la nota
di avvio conteneva un chiaro riferimento anche i costi di gestione, pur se non
esplicitati nelle conclusioni.
4.2. Sempre in linea di fatto, la Corte ha evidenziato che:
a) negli incontri con le organizzazioni sindacali, svoltisi presso il Ministero dello
Sviluppo Economico, l’azienda aveva indicato l’elevato costo del lavoro,
superiore del 30% rispetto ai riferimenti di mercato e si era dichiarata disponibile
alla riattivazione parziale del centro in cambio di un riequilibrio dei costi e di un
sostegno alle attività produttive; tale proposta non era stata accettata dai sindacati
in quanto reputata lesiva dei diritti dei lavoratori;
b)nel corso di un’ulteriore riunione svoltasi presso il Ministero dello sviluppo
economico, la Transcom aveva dato atto della sua disponibilità all’immediata
riapertura del sito e al rilancio dell’occupazione sull’Aquila, anche grazie ad una
nuova importante commessa;
c) parallelamente a questi incontri, si era svolta una trattativa tra le organizzazioni
sindacali e la E-Care, concorrente della Transcom, di Vodafone e Teledue, dalla
quale era emersa la possibilità di riassorbire tutti i 276 dipendenti presso la nuova
società, purché in mobilità;
d) nell’assemblea dei lavoratori del 10/9/2009 le organizzazioni sindacali avevano
ricevuto dai lavoratori mandato per addivenire ad un accordo con la E-Care alle
stesse condizioni già praticate da Transcom oppure per trattare con quest’ultima
per una riduzione del costo del lavoro, ed in quella sede era stata sostenuta la
scelta “E-Care”.
e) di fatto, in data 20/11/2009 la E-Care e le organizzazioni sindacali avevano
convenuto la riassunzione dei 276 lavoratori licenziati da Transcom e l’effettiva
costituzione dei rapporti di lavoro entro il 28/2/2010, subordinato all’effettiva
iscrizione dei lavoratori nelle liste di mobilità, alle medesime condizioni
economiche e con il medesimo livello di inquadramento già in essere con la
Transcom.
5. Sulla base degli elementi tratti dalla comunicazione di avvio e dal concreto
svolgimento della procedura nei mesi a seguire dall’8/6/2009 fino alla
stipulazione dell’accordo, la Corte è giunta alla conclusione che la decisione della
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Presidente Amoroso
Relatore Doronzo
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società appellante di ricorrere alla procedura di licenziamento collettivo era stata
determinata da grosse difficoltà e da incertezze circa la regolare ripresa
dell’attività presso la sede dell’Aquila, unitamente a questioni di natura
economica dovute al costo del lavoro, alla perdita della commessa Tele2, unica
gestita in loco, ed alla riduzione del fatturato conseguente all’assegnazione, subito
dopo il sisma, della commessa, da parte delle committenti, ad aziende concorrenti.
Ha quindi ritenuto che, in questo contesto, la scelta della Transcom di tenere
aperto il sito era stata non già preordinata a fuorviare le trattative e ad eludere
l’intervento del sindacato, bensì conseguente proprio all’intervento delle
organizzazioni sindacali ed agli accordi tra queste ed il gruppo E-Care, che aveva
imposto il riassorbimento dei lavoratori già dipendenti della Transcom, purché
collocati in mobilità.
5.1. Sempre nell’ottica di valutare la correttezza della procedura di licenziamento
collettivo e l’assenza di ogni manovra elusiva da parte della datrice di lavoro, la
Corte ha escluso ogni rilievo all’aggiudicazione, da parte della stessa, della
commessa INPS-INAIL, in considerazione del fatto che essa era divenuta
definitiva solo nel giugno 2010 (sicché prima di tale momento l’aggiudicazione
provvisoria dell’agosto 2009 non poteva indurre alcun ripensamento dell’intera
procedura), e cioè successivamente alla stipulazione dell’accordo sindacale, e che,
in conseguenza della nuova commessa, erano stati richiamati i dipendenti ancora
in cassa integrazione per un totale di 60-70 unità, in esecuzione dell’impegno
assunto con l’accordo sindacale del 9/11/2009, che prevedeva la progressiva
riammissione in servizio nel sito dell’Aquila di 69 risorse non comprese nella
procedura di mobilità.
5.2. In ordine criteri di scelta, ha infine osservato che essi erano stati
effettivamente individuati in modo certo e predeterminato e che correttamente la
scelta era stata effettuata con riferimento ai lavoratori in servizio presso la sede
dell’Aquila, unica interessata alla procedura di riduzione del personale. Quanto
all’assunta arbitrarietà del criterio adottato dalla Transcom per individuare i
lavoratori da escludere dalla procedura, la Corte ha rilevato che la parte non aveva
allegato e provato che sarebbe potuta rimanere in servizio in luogo della collega
che le era stata preferita.
6. Contro la sentenza, la parte originaria ricorrente propone ricorso per cassazione
fondato su quattro motivi, cui resiste con controricorso la società. Le parti
depositano memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Deve preliminarmente respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso ai
sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c. (applicabile ratione temporis, in quanto la
sentenza è stata depositata in data 19 settembre 2012, quando questa norma era
vigente ), che sanziona con l’inammissibilità i ricorsi per cassazione allorquando
la sentenza impugnata abbia deciso questioni di diritto in modo conforme alla
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Udienza del 23 giugno 2015
Presidente Amoroso
Relatore Doronzo
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giurisprudenza di legittimità. Nel caso in esame, con le censure mosse alla
sentenza impugnata la parte ricorrente non intende rimettere in discussione
principi ormai consolidati di questa Corte, richiamati dalla controricorrente nel
suo atto difensivo, bensì la riconducibilità della fattispecie concreta a quei
principi. Esse, inoltre, oltre a denunciare violazioni di legge, deducono vizi di
motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale
probatorio acquisito. Non sussiste pertanto la eccepita inammissibilità.
1. Con il primo motivo di ricorso la parte censura la sentenza per omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi
dell’art. 360, comma 1°, n. 5 c.p.c. Sottolinea che la società, in un passo dell’atto
di appello, aveva sostenuto che gli esiti della procedura avevano consentito di
“scongiurare 77 trasferimenti”; che, in caso di mancato accordo, il centro
dell’Aquila sarebbe stato chiuso e che le risorse ivi impiegate e non dichiarate in
esubero sarebbero state trasferite presso altre unità produttive ubicate su tutto il
territorio nazionale; che la lettera di apertura della procedura dichiarava 276
esuberi, confermati dall’accordo sindacale. A tale asserzione essa ricorrente aveva
replicato rimarcando che oggetto della consultazione dovevano essere solo i
rapporti di lavoro dei dipendenti da licenziare, non di quelli esclusi dalla
procedura, sicché la scelta di mantenere aperto il “contact center” dell’Aquila al
fine di mantenere i soli lavoratori non attinti della procedura rendeva evidente la
mancanza di effettività delle decisioni aziendali da cui erano derivati i recessi. La
Corte, non esaminando il fatto della “duplicità delle pattuizioni”, costituite dalla
decisione di cessare l’attività e dall’intesa raggiunta solo con riguardo ai lavoratori
da trasferire, era incorsa nel vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1°, n.
5, c.p.c.
2. Con il secondo motivo, la lavoratrice denuncia la nullità della sentenza per
omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., per avere la Corte
territoriale omesso di motivare sulla circostanza di cui al motivo precedente.
3. Con il terzo motivo, la parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 4, comma
5 0 , 1. n. 223/1991: ribadisce che la procedura di mobilità prevedeva, fin
dall’origine, il licenziamento di 276 lavoratori ed il trasferimento di altre 77 unità,
quale conseguenza della cessazione dell’attività nel sito dell’Aquila; l’accordo del
9/11/2009 non aveva apportato alcun beneficio ai lavoratori in esubero ma aveva
avvantaggiato i soli 77 dipendenti, già esclusi dalla procedura. Ciò rendeva
evidente che, con l’accordo, si erano perseguiti fini diversi da quelli previsti dalla
legge, con conseguente svilimento del ruolo dei sindacati nel corso della
consultazione e illegittimità dell’accordo in quanto in violazione dell’art. 4,
comma 5 0 , cit.
4. Il quarto motivo ha ad oggetto la nullità della sentenza per insufficiente
motivazione, alla stregua dell’art. 360, n. 4 c.p.c. La ricorrente assume che, nel
corso di una consultazione sindacale, la società aveva riconosciuto che la
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decisione di licenziare non aveva connessione con il sisma e che la riduzione di
personale era riconducibile a cause esclusivamente economiche. La procedura
doveva pertanto investire l’intero complesso aziendale nazionale, tanto più che le
professionalità dei lavoratori aquilani erano le stesse dei dipendenti delle altre
sedi, con interscambiabilità e fungibilità degli stessi. La Corte aquilana si era
limitata a sostenere che l’unità produttiva dell’Aquila era “monocommittente”,
senza tuttavia spiegare perché ciò escludeva la provata fungibilità delle
lavorazioni e dei dipendenti.
5. 1 motivi, in quanto involgono la medesima questione di fondo, vanno trattati
congiuntamente. Essi non meritano accoglimento.
Deve premettersi che, al ricorso in esame, trova applicazione il nuovo testo
dell’art. 360, comma 1°, n. 5, c.p.c. (come modificato dall’art. 54 d.l. 22 giugno
2012, n. 83, conv. con modifiche in legge 7 agosto 2012 n. 134) il quale prevede
che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Per
effetto della disposizione transitoria contenuta nello stesso art. 54, comma 3°, la
norma si applica ai ricorsi per cassazione contro provvedimenti pubblicati dopo
1’11 settembre 2012 (cfr. fra le tante, Cass., 18 dicembre 2014, n. 26654), e quindi
è indubbio che essa si applichi alla sentenza impugnata (depositata il 19/9/2012).
5.1. Le Sezioni Unite di questa Corte ( Sez. Un. 7 aprile 2014, n. 8053, cui sono
seguite numerose altre: v. Cass., 27 novembre 2014, n. 25216; Cass., ord., 8
ottobre 2014, n. 21257), hanno statuito che, a seguito della modifica dell’art. 360,
comma 1° n. 5, c.p.c., il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di
legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza
“la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, secondo
quello che è stato definito il “minimo costituzionale” della motivazione. Ed infatti
perché violazione sussista si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da
comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la nullità
della sentenza per mancanza di motivazione”, fattispecie che si verifica quando la
motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte del
documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio
da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del
decisum”.
Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione
con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza
(sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza
(sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Inoltre, il vizio può attenere solo alla quaestio facti (in ordine alle quaestiones
juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale, deve,
cioè, attenere alla motivazione in sé, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali. Dal nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., è scomparso il termine
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motivazione e, pertanto, l’omesso esame deve riguardare un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere
decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della
controversia). Le Sezioni unite hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà
indicare — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo comma,
n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui esame sia stato
omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente
dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro
processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività
del fatto stesso”.
5.2. Ma già prima della riforma del 2012, la giurisprudenza di questa Corte era
ferma nel ritenere che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile
soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla
sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva
carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo
ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già
quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente
sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi,
altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di
cassazione (Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148).
Così come era ed è fermo il principio secondo cui l’omesso esame di tesi
giuridiche prospettate da una delle parti, non riferendosi all’accertamento dei fatti
rilevanti per la decisione, non può mai risolversi in un vizio di motivazione
deducibile autonomamente come motivo di ricorso per cassazione, ma può
soltanto sostenere una censura di violazione o falsa applicazione di norme o
principi di diritto (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2107). È in ogni caso certo che, con
il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non può essere fatto valere il contrasto
della ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di merito con il convincimento e
con le tesi della parte, poiché, se si opinasse diversamente, il motivo di ricorso per
cassazione di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. finirebbe per risolversi in una
richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al
giudice di merito (Cass., 7 marzo 2007, n. 5274).
5.3. Alla luce di questi chiari principi, emerge evidente come i motivi all’esame
non presentino alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma
1, n. 5, c.p.c., così come novellato, nella interpretazione fornitane dalle Sezioni
unite di questa Corte, né siano riconducibili all’ipotesi di cui al n. 4 del citato
articolo. Come si è evidenziato nella parte narrativa della presente sentenza, la
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Udienza del 23 giugno 2015
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Corte territoriale ha desunto dalla nota di avvio una pluralità di motivi che hanno
determinato la situazione di eccedenza e che hanno reso non attuabili misure
alternative alla dichiarazione di mobilità.
Con un accertamento in fatto compiuto ed esauriente, del tutto rispondente alle
risultanze istruttorie raccolte in giudizio, ha espresso un giudizio di sufficienza
dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura, con riferimento ai
motivi, esternati nella stessa comunicazione, che hanno determinato l’eccedenza,
ed alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare l’impatto sociale
dei licenziamenti. Ha escluso lacune informative o equivocità di dati, diretti a
rendere poco trasparente la procedura o ad eludere il controllo sindacale-politico
delle organizzazioni sindacali. Ha sottolineato come la mancata chiusura della
sede dell’Aquila sia stata il risultato di intense trattative tra le parti sociali,
collegata causalmente agli accordi intercorsi tra i sindacati ed altre società
concorrenti con l’odierna controricorrente, ed ha rimarcato che tale diversa
soluzione, rispetto a quella prospettata nella nota di avvio, è stata inidonea in
concreto a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo
attribuiti alle parti coinvolte nella procedura, poteri che, nella specie e
contrariamente a quanto opinato dalla parte lavoratrice, erano stati esercitati in
modo penetrante e determinante degli esiti della procedura, conclusasi con
l’accordo sindacale del 9/11/2009. Ha quindi ritenuto sussistente il nesso di
causalità tra le ragioni che hanno determinato l’esubero e i singoli atti di recesso.
Si tratta di un sindacato che il giudice ha esercitato tenendo conto delle
valutazioni in fatto delle parti sociali, dell’iter procedimentale seguito, della
conclusione della procedura, con la previsione dell’assunzione dei lavoratori in
esubero ad opera di un’altra società ed il richiamo presso la sede dell’Aquila dei
lavoratori trasferiti ed esclusi dalla mobilità, in quanto portatori di una
professionalità accresciuta in forza dell’accettato trasferimento.
In definitiva, la Corte del merito ha accertato la correttezza della procedura,
ritenendo che la divergenza tra la situazione indicata con la comunicazione
iniziale di apertura della procedura di mobilità e quella di fatto determinatasi al
momento conclusivo, in cui furono adottati i provvedimenti di recesso, non
costituisce violazione delle norme di cui agli artt. 4 e 24 1. n. 223/1991.
Ciò risponde ad una corretta lettura delle norme indicate, potendosi affermare che
non è viziata la procedura di licenziamento collettivo ove – indicata tra le plurime
ragioni giustificative della stessa la chiusura di un’unità produttiva e ritenuta
completa ed esauriente l’enunciazione dei motivi che hanno determinato l’esubero
– la procedura si concluda con il licenziamento dei dipendenti ed il mantenimento
dell’unità produttiva con la ricollocazione di dipendenti già trasferiti e
legittimamente esclusi dalla mobilità, se ciò è avvenuto a seguito di trattative
sindacali svoltesi secondo i canoni della buona fede e conclusesi, come nella
specie, con l’accordo tra l’imprenditore e organizzazioni sindacali.
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La motivazione è certamente sussistente, è ancorata a precise evidenze istruttorie,
è priva di errori logici o palesi contraddizioni.
Né può imputarsi alla Corte territoriale l’omessa esplicita confutazione delle tesi
difensive svolte dalle parti e/o la mancanza di una particolareggiata disamina di
elementi di giudizio, evidentemente ritenuti non significativi, giacché né l’una né
l’altra sono richieste, mentre risponde all’esigenza di adeguata motivazione che il
raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le
prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per
sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo (Cass., 23 maggio 2007, n. 12052).
6. Dalle considerazioni svolte discende il rigetto del ricorso. Le difficoltà inerenti
agli accertamenti di fatto, attestate anche dalle divergenti valutazioni compiute
dai giudizi di merito, consigliano la compensazione delle spese del presente
giudizio. Poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013,
sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002. In tema di impugnazioni, il
presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1
quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma
17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma
al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per
l’impugnante, del gravame (Cass., ord.13 maggio 2014 n. 10306).
P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Roma, 23 giugno 2015
Il Presidente
oroso
Dott.

Udienza del 23 giugno 2015
Presidente Amoroso
Relatore Doronzo
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