Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21867 del 21/10/2011

Cassazione civile sez. I, 21/10/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 21/10/2011), n.21867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE (c.f. (OMISSIS)), succeduto

al Consorzio per l’Autostrada Messina – Catania, in persona del

Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PERTOLONI 26/B, presso l’avvocato DORIA GIOVANNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FALZEA ANGELO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M.G., PREFETTO DELLA PROVINCIA DI MESSINA,

G.A.M.;

– intimati –

sul ricorso 31557-2005 proposto da:

M.M.G. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e

nella qualità di erede di G.A.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso l’avvocato FURITANO

MARCELLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALGOZINI ALESSANDRO, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, M.V.;

– intimati –

sul ricorso 31864-2005 proposto da:

M.V. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di erede

di G.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SESTO RUFO 23, presso l’avvocato MOSCARINI LUCIO VALERIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAGUSA SALVATORE,

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE (c.f. (OMISSIS)), succeduto

al Consorzio per l’Autostrada Messina-Catania, in persona del

Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PERTOLONI 2 6/B, presso l’avvocato DORIA GIOVANNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FALZEA ANGELO, giusta procura a

margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

M.M.G., in proprio e nella qualità di erede di

G.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 37, presso l’avvocato FURITANO MARCELLO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALGOZINI ALESSANDRO, giusta procura

speciale per Notaio FRANCESCO GIAMPORCARO di FIUMEFREDDO DI SICILIA

(CATANIA) Rep. n. 63953 del 3.6.2011;

– resistente –

sul ricorso 2341-2006 proposto da:

M.V., nella qualità di erede di G.A.

M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso

l’avvocato MOSCARINI LUCIO VALERIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RAGUSA SALVATORE, giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, M.M.G.;

– Intimati –

avverso la sentenza n. 1023/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale M.

V., l’Avvocato MOSCARINI L.V. che ha chiesto l’accoglimento

del proprio ricorso;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale M.M.

G., l’Avvocato MARCELLO FURITANO (costituito in udienza con

procura notarile per il ricorso n. 31864/05) che ha chiesto il

rigetto del ricorso del Consorzio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per la riunione dei ricorsi e

l’accoglimento per quanto di ragione dei ricorsi M.V. e

M.

G., restando assorbiti i ricorsi del Consorzio Autostrade,

inammissibilità del ricorso incidentale di M.V..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Messina,con sentenze (non definitiva) dell’11 dicembre 1989 e 4 giugno 1994 (definitiva), in riforma delle decisioni del Tribunale di Messina condannava (per quanto qui ancora interessa) il Consorzio per l’autostrada Messina-Catania al risarcimento del danno in favore di G.A.M. (e di M.M.G., cessionaria di una quota del credito) per l’avvenuta occupazione espropriativa di un terreno di sua proprietà per la costruzione di un tratto dell’autostrada, occupato in via di urgenza con decreto prefettizio del 15 ottobre 1966 e successivamente espropriato con decreto del 28 dicembre 1973, tuttavia annullato dal Consiglio di Stato con decisione del 15 aprile 1986. Liquidava il risarcimento in L. 4.837.111.000 corrispondenti al controvalore del fondo espropriato avente natura edificatoria, L. 763.102.630, quale deprezzamento dei fondi residui nonchè L. 103.294.800 per la distruzione di una strada privata, e determinava l’indennità per l’occupazione temporanea nella misura di L. 241.855.000 per ogni anno di occupazione. In parziale accoglimento dei ricorsi di entrambe le parti, la Corte di Cassazione con sentenza 3 giugno 1998 n. 5449, stabiliva: a)che l’indennizzo di natura risarcitoria per la perdita del terreno doveva essere calcolato con il criterio riduttivo di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65 sopravvenuto nelle more del giudizio; b)che malgrado l’irreversibile trasformazione del fondo si fosse verificata nel 1968, rientrando tale evento all’interno del periodo di occupazione temporanea, l’effetto estintivo-acquisitivo della proprietà dell’immobile doveva essere spostato secondo la costante giurisprudenza della Corte alla scadenza di detto periodo, concluso il 30 settembre 1970; c) che, conseguentemente a tale data doveva essere compiuta la ricognizione dello stato di fatto e di diritto del fondo G., perciò tenendo conto dei vincoli nel frattempo sopravvenuti di tipo non espropriativo; d) che, costituendo le somme dovute all’espropriata per l’occupazione appropriativa un debito di valore, le stesse non soltanto dovevano essere rivalutate per la svalutazione via via intervenuta, ma incrementate anche degli interessi legali per compensare il ritardo con cui ne era stato effettuato il versamento. Respingeva tutte le altre doglianze delle parti. Il giudizio veniva riassunto davanti alla Corte di appello di Catania, che con sentenza del 22 ottobre 2004, ha liquidato in Euro 1.813.050,00 l’indennizzo, rivalutato, dovuto dal Consorzio alla G. per l’occupazione espropriativa del fondo irreversibilmente trasformato ed in Euro 947.433,00 per il pregiudizio arrecato ai terreni residui, oltre agli interessi legali;ha confermato la stima dell’indennità di occupazione compiuta dalla Corte di appello di Messina e condannato la G. a restituire al Consorzio che nelle more aveva dato esecuzione a quest’ultima decisione, eventuali maggiori somme percepite in più.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Consorzio per le Autostrade siciliane per un motivo; cui hanno resistito con controricorso V. e M.M.G., succeduti alla G. nelle more deceduta; i quali hanno a loro volta formulato ricorso incidentale per 6 e motivi. Sono state depositate memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Tutti i ricorsi vanno anzitutto riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. perchè proposti contro la medesima sentenza.

Il Collegio deve poi esaminare con priorità per evidenti ragioni di logica giuridica quelli incidentali con i quali i M. deducono:

A) Violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e 43 T.U. sulle espropriazioni per p.u. per avere la Corte di appello omesso di applicare detta normativa costituente ius superveniens la quale aveva comportato l’abrogazione delle disposizioni sia sull’occupazione espropriativa, che su quella usurpativa ed alle stesse sostituito l’integrale risarcimento del danno a favore del proprietario nella misura corrispondente al valore del bene con esclusione della sua restituzione senza limiti di tempo; in caso contrario dovendosi sollevare questione di legittimità costituzionale di detta normativa per contrasto con l’art. 3 Cost..

B) in subordine l’applicazione dei principi sull’occupazione usurpativa ricorrente nella fattispecie perchè il Consiglio di Stato con la menzionata decisione del 1986 aveva annullato non soltanto il decreto di espropriazione,ma anche i provvedimenti di proroga della dichiarazione di p.u. perciò incidendo su quest’ultima : in mancanza della quale non era invocabile l’occupazione acquisitiva ed essi avevano diritto al risarcimento integrale del danno subito.

C) violazione dell’art. 324 cod. proc. civ. per non avere liquidato i danni arrecati ai soprassuoli,alle infrastrutture ed alla strada, già riconosciuti dalla perizia eseguita nel giudizio del primo appello; ed erroneamente non considerati dalla corte catanese la quale non ha compreso che sussistevano due distinte voci di danno:

una costituita dalla diminuzione di valore subita comunque dai fondi residui, e l’altra dai danni arrecati a strutture e soprassuoli che insistevano su di essi;

D) Violazione degli art. 324, 329 e 346 cod.civ. per non avere riconosciuto l’ulteriore indennità per il protrarsi dell’occupazione temporanea fino alla data del 30 settembre 1970 indicata dalla Corte di Cassazione, giustificando la mancata attribuzione con il fatto che sul punto il ricorso era stato avanzato soltanto dal Consorzio;

laddove la G. aveva sempre formulato la relativa istanza di liquidazione per l’intero periodo, perfino ribadendola nel controricorso depositato in cassazione; sicchè dopo la caducazione della sentenza del primo appello era rimasto immodificato il suo diritto alla stima dell’indennità a dovutale per l’occupazione subita che doveva essere determinata proprio dalla Corte di rinvio.

E) altra violazione della medesima normativa per non aver riconosciuto l’ulteriore indennizzo per il periodo di occupazione illegittima protrattasi dal 30 settembre 1970 fino all’adozione del decreto di esproprio (28 dicembre 1973):pur attribuito dalla Corte di appello di Messina e senza che la statuizione fosse stata impugnata dalla controparte.

F) violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. per avere liquidato gli interessi sulle somme dovute per l’illegittima espropriazione al tasso legale, dichiarando nuova l’istanza di attribuzione al tasso bancario, pur sempre richiesto anche dalla G. perfino con il ricorso per cassazione; la quale d’altra parte aveva dato atto che il danno suddetto poteva essere liquidato con il riconoscimento degli interessi anche al saggio non legale.

3. Tutte queste censure sono infondate.

Con esse, M.G. e M.V. mostrano di non aver compreso natura e funzione del giudizio di rinvio ex art. 394 cod. proc. civ., definito dalla più qualificata dottrina e dalla giurisprudenza un processo chiuso tendente ad una nuova statuizione (nell’ambito fissato dalla sentenza di cassazione) in sostituzione di quella cassata: perciò comportante che i limiti e l’oggetto restano fissati dalla sentenza di annullamento, che non può essere nè sindacata nè elusa dal giudice di rinvio neppure in caso di constatato errore. E che tale preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio dalla Corte di cassazione quale necessario presupposto della sentenza, ove esse tendano a porre nel nulla od a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa.

Consegue altresì che resta a maggior ragione preclusa alle parti la proposizione di questioni che non soltanto introducano un “thema decidendum” diverso da quello discusso nelle precedenti fasi processuali, ed in relazione al quale la Corte di Cassazione ha enunciato il principio di diritto, ma che detto thema decidendum tendono a rimettere in discussione onde conseguire statuizioni correttive, modificative o sostitutive di quelle cui è pervenuto il giudice di legittimità. Nel caso tutta la motivazione di Cass. 5449/1998 è incentrata sul presupposto che nel periodo di occupazione temporanea del fondo G. da parte del Consorzio se ne era verificata l’irreversibile trasformazione nell’opera stradale programmata dalla dichiarazione di p.u., perciò realizzandosi alla sua inutile scadenza (per essere stato il decreto ablativo emesso soltanto nel 1973) la c.d. occupazione acquisitiva a favore dello stesso ente espropriante (peraltro già affermata dalla Corte di appello di Messina e non impugnata da alcuna delle parti):

al riguardo la Suprema Corte ha osservato altresì che il fenomeno estintivo-acquisitivo doveva necessariamente spostarsi al 30 settembre 1970, data della scadenza dell’occupazione d’urgenza, posto che quanto si era in precedenza verificato nel fondo era coperto dal decreto prefettizio che l’aveva autorizzato; ha cassato la sentenza della Corte di appello di Messina laddove non aveva compiuto a tale data la ricognizione legale sull’immobile richiesta dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e neppure tenuto conto dello stato di fatto e di diritto (anche in relazione ai vincoli gravanti sul bene) esistente a tale data alla quale peraltro ha stabilito che doveva essere compiuto l’accertamento del suo valore venale onde determinare l’indennizzo di natura risarcitoria dovuto alla proprietaria illegittimamente espropriata. E ritenendo invece non coperto da giudicato l’ammontare di detto risarcimento, nonchè il meccanismo onde liquidarlo,ha enunciato il principio dell’applicabilità dello ius superveniens (allora) costituito dal criterio riduttivo di cui al comma 7 bis del menzionato art. 5 bis,come introdotto dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65: invocabile come è noto esclusivamente per le occupazioni espropriative dei terreni edificatori verificatesi, come nella fattispecie, prima del 30 settembre 1996.

4. Questa statuizione non era quindi più modificabile neppure prospettando la sussistenza della decisione 15 aprile 1986 del Consiglio di Stato che aveva annullato alcuni atti della procedura ablativa in danno della G. onde chiedere l’interpretazione del suo ambito – se limitato al decreto di esproprio ovvero anche alla dichiarazione di p.u. per il fatto che il giudice amministrativo aveva annullato anche le proroghe dei termini per il compimento dei lavori, incidenti sulla sua durata massima: correttamente rifiutata dalla sentenza impugnata per il suo palese contrasto con i menzionati principi del giudizio di rinvio, tendente nella specie al risultato di porre nel nulla l’intero contenuto della sentenza della cassazione mediante la dimostrazione che nessuna espropriazione era invece avvenuta nei confronti del fondo G., semplicemente oggetto di un illecito permanente di diritto comune (c.d. occupazione usurpativa).

Nè il medesimo risultato è conseguibile invocando un asserito ius superveniens ravvisabile nel D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 T.U. sulle espropriazioni per p.u. che per le utilizzazioni degli immobili senza titolo ha introdotto l’istituto della ed. acquisizione sanante, in quanto come ripetutamente affermato da questa Corte, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57, comma 1 stabilisce che “Le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data”: perciò non lasciando all’interprete la possibilità di utilizzare un criterio ermeneutico diverso dal mero riscontro temporale in ordine alla data del progetto contenente la dichiarazione di p.u. Con la conseguenza che qualora il progetto sia,come nel caso concreto antecedente alla data di entrata in vigore del T.U. (per essere stato approvato con Delib. G.M. 4 febbraio 1999), la normativa dell’art. 43 risulta comunque inapplicabile (Cass. 18239/2005).

Il tutto senza considerare il palese difetto di interesse ad invocare una norma favorevole soltanto all’amministrazione quanto meno perchè subordinava l’obbligo di corrispondere al proprietario il risarcimento del danno, pari al valore venale dell’immobile, alla scelta alla stessa riservata di adottare il provvedimento di acquisizione (sanante) dell’immobile: nel caso mai intervenuto.

5. Dalla ricostruzione della vicenda ablativa da parte di Cass. 5449/1998 che cioè il fondo era stato “acquistato a titolo originario dalla p.a. espropriante al termine dell’occupazione legittima, quando non era più possibile emettere utilmente il decreto di esproprio” e che tale data doveva essere identificata nel 30 settembre 1970 “allo scadere del periodo di occupazione legittima” (pag. 16), deriva l’assoluta incompatibilità con essa della richiesta dei M. di avere attribuito un indennizzo anche per il periodo compreso tra quest’ultima data ed il 28 dicembre 1973 in cui è stato inutilmente emesso il decreto di esproprio; la quale presuppone invece che la proprietà dell’immobile sia rimasta in capo alla loro dante causa fino al momento dell’emissione del provvedimento suddetto e che il trasferimento al Consorzio si sia verificato per effetto di detto decreto (perciò da considerarsi valido ed operante): statuizione quest’ultima alla quale peraltro gli espropriati ancora una volta non hanno alcun interesse, comportando la stessa automaticamente l’esclusione del loro diritto al conseguimento del danno da occupazione espropriativa (sul quale si è invece incentrato l’intero giudizio) ed il riconoscimento soltanto di quello a proporre opposizione all’indennità di espropriazione contenuta nel menzionato decreto.

Pertanto risulta corretta anche la relativa pronuncia di inammissibilità della relativa richiesta da parte della sentenza impugnata.

6. Il Collegio deve, invece, dichiarare parte inammissibili e parte infondate le censure degli espropriati contro la liquidazione del danno per la diminuzione di valore del fondo residuo L. n. 2359 del 1865, ex art. 40. Tale pregiudizio infatti,come si legge nella sentenza della Cassazione, era stato già riconosciuto dalla decisione definitiva 4 giugno 1994 della Corte di appello di Messina, che l’aveva determinato unitamente alla svalutazione monetaria intervenuta fino alla suddetta pronuncia, nella complessiva misura di L. 763.102.630.

Detta liquidazione è stata impugnata dalla sola M.M. G., ma la Corte con la sentenza di rinvio ne ha respinto il motivo di ricorso, osservando (pag. 20) che con la somma suddetta “era stato risarcito sia il danno subito per la perdita di valore della parte residua, sia per il mancato godimento nel periodo dovuto al ritardo con cui è stato risarcito”.

Questa statuizione poneva fine (anche nei confronti della M.) a qualsiasi questione inerente alla quota dell’indennizzo relativa ai fondi residui, definitivamente determinata sia con riferimento alle singoli voci componenti del pregiudizio,che alla loro valutazione:

perciò precludendo in radice agli espropriati di riproporre nel giudizio di rinvio sia la questione della duplicità del pregiudizio al valore del fondo nonchè alle strutture ivi collocate,sia della inclusione tra le poste da liquidare, del danno arrecato ai soprassuoli, peraltro incompatibile con la ritenuta destinazione edificatoria e con la più favorevole valutazione per i proprietari operata dalla Corte peloritana sulla base di siffatto parametro.

Tuttavia, la sentenza impugnata, muovendo dal presupposto che la decisione di rinvio aveva cassato quella del primo appello per avere apprezzato il valore dell’immobile con riferimento all’anno 1968, piuttosto che al successivo anno 1970, epoca della sua irreversibile trasformazione, accertatone a tale ultima data il più elevato prezzo di mercato di L. 16.300 mq., ha rivalutato in modo favorevole ai M. anche il danno arrecato ai fondi residui,determinandolo (al netto della svalutazione monetaria), nella misura di L. 56.658.800 con riferimento alla privazione dell’uso degli immobili e delle infrastrutture esistenti; nonchè in L. 68.810.450 per il deprezzamento derivato a causa del vincolo di in edificabilità imposto dalla fascia di rispetto all’opera stradale: in tal modo pervenendo con l’aggiunta della svalutazione monetaria all’importo di L. 1.834.485.900 (pari ad Euro 947.433,00 pag. 33). Per cui i ricorrenti difettano di interesse a dolersi di detta statuizione ad essi favorevole,che d’altra parte non consente loro di rimettere in discussione e/o superare preclusioni determinate dalla sentenza di rinvio.

7. Considerazioni analoghe valgono per le censure rivolte contro l’indennità di occupazione temporanea determinata dalla Corte di appello di Messina nella misura di L. 241.855.000 per ogni anno di occupazione con gli interessi legali dalle singole scadenze:

contestata dai M. perchè la sentenza di appello “avrebbe dovuto prendere a base non la somma stabilita come valore dell’area oggetto dell’accessione invertita, ma anche quelle liquidate come risarcimento dei danni per il deprezzamento della porzione residua” Cass. 5449/98, infatti, ha respinto tutti i motivi di ricorso dei proprietari al riguardo (pag. 21 – 22), con ciò provocando il passaggio in giudicato della statuizione del primo appello sull’indennità suddetta: e perciò rendendo le considerazioni della decisione impugnata del tutto ultronee e ad abundantiam, laddove hanno ricostruito gli errori di calcolo ancora una volta a favore dei proprietari, in cui era incorsa la Corte di appello di Messina nel determinarla muovendo dall’indennizzo per l’occupazione espropriativa piuttosto che dall’indennità virtuale di espropriazione (L. n. 865 del 1971, art. 20; Cass. sez. un. 493/1998 e succ.): per di più rivalutato alla data della sentenza suddetta, come se si fosse trattato di un credito di valore.

Nè a diverso risultato può pervenirsi perchè la sentenza di rinvio ha spostato, come rilevato avanti, la data di acquisizione dell’immobile M., al 30 settembre 1970, data di scadenza del periodo di occupazione temporanea, in quanto le relative statuizioni sono rivolte esclusivamente nei confronti delle doglianze ivi formulate dal Consorzio contro la stima del risarcimento del danno per l’illegittima espropriazione, dall’ente (allora) ricorrente considerata erronea e ad esso sfavorevole; e perciò risultano inidonee ad impedire il passaggio in giudicato di quelle riguardanti la diversa vicenda dell’occupazione temporanea,peraltro espressamente definita dalla sentenza di rinvio. Egualmente inammissibile risulta, infine, la richiesta dei M. di attribuzione degli interessi sulle somme loro riconosciute in misura corrispondente ai tassi bancari per avere la loro dante causa dovuto usufruire del relativo credito: in quanto di detta questione non vi è menzione nè nella decisione del primo appello, nè nella sentenza di rinvio (che ha trattato la diversa questione delle voci e degli accessori che costituiscono il credito di valore); per cui deve nel caso trovare applicazione la giurisprudenza di questa Corte, da anni pacifica – secondo la quale ove di una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento in fatto non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente può evitare una statuizione d’inammissibilità, per novità, della censura soltanto se – nel mentre asserisce di aver dedotto la questione davanti al giudice “a quo” (già nel giudizio di primo grado) – indichi anche in quale atto e – o in quale momento del giudizio precedente lo abbia fatto, in modo da dare al Collegio il modo di controllare, ex actis, la veridicità’ di tale asserzione prima di passare al merito della stessa. Laddove lo stesso ricorrente M. ha dedotto che la sua dante causa aveva formulato siffatta richiesta (trascrivendola) nell’udienza del 19 marzo 1992 davanti alla Corte di appello di Messina; mentre M.M.G. ha esposto che soltanto con la comparsa conclusionale in appello depositata il 12 gennaio 1994 essa stessa e la G. avevano avanzato una generica istanza di danni per il mancato pagamento delle somme che il Consorzio era tenuto a corrispondere, e che aveva causato gravissime aggressioni da parte dei creditori, nonchè procedimenti esecutivi in loro danno (pag. 19 ric.): perciò giustificando il silenzio della sentenza del primo appello sull’inammissibile tardiva richiesta ed impedendo ai M. (che non avevano formulato ricorso contro la mancata liquidazione di detti maggior danni) di riproporre la relativa questione soltanto nel giudizio di rinvio (Cass. 7500/2007;

13719/2006).

8. Nelle more del giudizio il criterio di calcolo riduttivo di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis di cui Cass. 5449/1998 ha disposto l’applicazione onde determinare l’indennizzo dovuto agli espropriati per l’irreversibile trasformazione della porzione del loro fondo estesa mq. 26.759, recepito dai giudici del secondo appello che ne hanno ridotto il valore da L. 393.357.000 (come determinato dalla Corte di appello di Messina) a L. 240.103.

590 non è più vigente: la Corte Costituzionale, infatti, con la nota sentenza 349 del 2007 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto la norma, non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e per ciò stesso viola l’art. 117 Cost., comma 1. Pertanto, a seguito di detta declaratoria di incostituzionalità è stato ripristinato l’originario criterio di stima dell’indennizzo dovuto al proprietario che ha subito l’occupazione acquisitiva, corrispondente al valore venale pieno dell’immobile espropriato (L. n. 2359 del 1865, art. 39): sì da raggiungere, secondo la Corte Costituzionale,”la sua massima estensione consentita”in luogo del “massimo di contributo di riparazione che nell’ambito degli scopi di generale interesse,la pubblica amministrazione può garantire all’espropriato” nell’ipotesi di trasferimento coattivo in cui sia osservata la sequenza procedimentale stabilita dalla legge.

L’applicazione di questo criterio è stata del resto ribadita dalla L. n. 244 del 2007, art. 2 il cui comma 89 sub e) ha modificato il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55 T.U. sulle espropriazioni per p.u., disponendo che “nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di p.u.,in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996,il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene”; per cui il giudice di rinvio dovrà determinare detta voce del risarcimento del danno spettante ai M. in base a quest’ultimo criterio.

Tuttavia costoro hanno fatto acquiescenza alla liquidazione suddetta (l’impugnazione ha avuto per oggetto i fondi residui ed è stata respinta dalla cassazione);per cui ciò comporta per il disposto dell’art. 112 cod. proc. civ. che il giudice dell’impugnazione, confermando la sentenza impugnata, può senza violare il principio dispositivo, anche d’ufficio correggerne, modificarne ed integrarne la motivazione, purchè la modifica non concerna statuizioni adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate dalla parte interessata:posto che i suoi poteri vanno determinati con esclusivo riferimento all’iniziativa delle parti. Con la conseguenza che, in assenza d’impugnazione (appello o ricorso incidentale) della parte parzialmente vittoriosa – la G. ed i M., la sua decisione non può essere più sfavorevole all’impugnante Consorzio e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata della Corte di appello di Messina, e non può, quindi, dare luogo alla “reformatio in peius” in danno del primo (Cass. 15835/2010; 3175/2008).

Conclusivamente quando, come nella specie, il ricorso sia stato diretto ad ottenere la condanna ad una prestazione in misura inferiore di quella riconosciuta dal giudice di merito, la mancata impugnazione della parte beneficiaria della condanna produce per certo un effetto preclusivo che, se non può dirsi di giudicato in senso proprio, comporta tuttavia che la sentenza impugnata possa essere modificata esclusivamente per corrispondere all’unica impugnazione; e impedisce che operi in danno del ricorrente – con riforma in peggio – la sopravvenuta innovazione normativa (derivi da ius superveniens o da declaratoria di incostituzionalità) pur se espressamente ritenuta applicabile anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato; con la conseguenza che nella determinazione dell’intero controvalore dell’area espropriata estesa mq. 26.759 dovrà comunque operare per il giudice di rinvio il limite di L. 393.357.000, già determinato dalla Corte di appello di Messina e non impugnato dagli espropriati.

9. Con il ricorso principale il Consorzio, deducendo violazione degli artt. 1224 e 2043 cod. civ., nonchè degli artt. 132 e 352 cod. proc. civ. si duole che la sentenza impugnata pur avendo accolto la sua richiesta di restituzione delle maggiori somme corrisposte alle controparti in esecuzione della decisione della Corte di appello di Messina (anno 1995), poi risultate eccessive dopo la riduzione operata dalle sentenze della Suprema Corte e da quella di rinvio, le abbia liquidate – peraltro con considerazioni spesso contraddittorie e di non facile interpretazione – con riguardo agli indennizzi dovuti per l’occupazione espropriativa, rivalutandole alla data della decisione suddetta; e sempre fino a tale data disponendo la corresponsione degli interessi legali senza perciò considerare che l’uno e l’altro accessorio andavano aggiunti soltanto fino al momento degli effettivi pagamenti verificatisi nel corso dell’anno 1995. La censura va accolta nei limiti appresso precisati.

La sentenza impugnata, infatti, ha dato atto che il Consorzio, “in forza della esecutività ex lege della sentenza della Corte messinese poi cassata, aveva già pagato quanto dalla stessa posto a suo carico, con relativi accessori e spese successive…” (pag. 30); ed il Consorzio ha specificato le somme versate per i titoli indicati da detta decisione corrisposte soprattutto nell’anno 1995, che non sono state contestate dalle controparti.

La Corte di Catania invece dopo avere determinato in ciascuna delle sue componenti il risarcimento del danno dovuto dall’espropriante ai M. per l’illegittima occupazione l’ha attualizzato alla data della decisione (anno 2004) come se detti versamenti non fossero già intervenuti circa 10 anni prima; e sulla somma così calcolata ha computato gli interessi legali per il ritardo.

In tal modo non ha tenuto conto della regola ripetutamente enunciata da questa Corte che la liquidazione del danno extracontrattuale, da effettuare con riferimento alla data della sentenza, quando occorre tener conto degli acconti versati anteriormente dal danneggiante, dev’essere compiuta sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei; ciò si può conseguire sottraendo gli acconti dal valore del danno al momento del versamento degli stessi acconti oppure rivalutando l’importo degli acconti alla data della liquidazione finale del danno (Cass. 17743/2005;

9230/2005; 13358/1999; 2074/1999).

Conseguentemente il giudice di rinvio dovrà anzitutto ricalcolare l’indennizzo dovuto agli espropriati per l’occupazione appropriativa per le considerazioni svolte nel superiore 8 e salvi i limiti ivi indicati, per poi rivalutare la somma così liquidata, con applicazione degli interessi sino alla data della pronuncia, in modo da reintegrare completamente il patrimonio dei danneggiati. Ma, nel compiere tale operazione, non potrà prescindere dai pagamenti che si è accertato essere stati già fatti alla G. nell’anno 1995 debitamente motivando in ordine all’uno o all’altro dei criteri (sopra indicati) di cui si avvarrà onde tenerne conto onde assicurare comunque che si è provveduto alla comparazione tra valori resi omogenei in termini di valore reale; e solo in tal modo potendosi determinare correttamente se ed in quale misura debbano essere restituiti al Consorzio eventuali pagamenti in eccesso compiuti nelle date indicate.

10. Cassata pertanto la decisione impugnata, il giudizio va rinviato alla Corte di appello di Messina che si atterrà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il principale,rigetta gli incidentali e pronunciando sugli stessi,cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2011

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