Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21867 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/09/2017, (ud. 28/04/2017, dep.20/09/2017),  n. 21867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28625/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8021/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/11/2010 R.G.N. 10193/2006.

Fatto

RILEVATO

Che con sentenza in data 15.10.2010 la Corte di Appello di Roma ha accolto parzialmente l’appello di F.C. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 9.12.2005 che aveva respinto la domanda del F. diretta a far accertare la nullità del termine apposto al contratto stipulato da Poste Italiane spa nel periodo 13.7.2002 – 30.09.2002 con causale relativa a “esigenze per esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di essenza per ferie contrattualmente dovute al personale nel periodo estivo”.

Che la Corte territoriale ha accolto il ricorso, condannando la società al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora con gli accessori dovuti per legge.

Che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, chiedendo, in subordine, l’applicazione dello jus superveniens.

Che ha opposto difese il F. con controricorso, depositando anche memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che con il ricorso si denuncia:

1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, art. 12 preleggi, artt. 1362 c.c. e segg. e artt. 1325 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto generica la causale giustificativa dell’apposizione del termine al contratto senza considerare il riferimento in essa contenuto agli accordi sindacali sulla mobilità dai quali era evincibile, per relationem, la ragione della delimitazione temporale del rapporto dovuta alle ragioni organizzative ampiamente specificate in tali accordi;

2) l’omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistito nella legittima compresenza nella causale di più ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine. La sentenza peraltro non spiegherebbe perchè il riferimento agli accordi per la disciplina della mobilità del personale, contenuta nel contratto, non costituirebbe un’ idonea specificazione delle esigenze sottese all’assunzione;

3) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115,116,244,253 c.p.c. e art. 421 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto onere del datore di lavoro di provare le ragioni che giustificatrici del termine apposto al contratto, laddove invece la legittimità del lo stesso, ove rispettato il disposto dell’art. 1 del D.Lgs. citato, doveva ritenersi presunta, con onere del lavoratore di dimostrarne la pretestuosità. Inoltre non era stato dato ingresso alla prova richiesta, che sarebbe stata comunque ammissibile rilevante e decisiva.

4) l’omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte di merito omesso di valutare e di motivare in ordine all’ammissibilità e alla rilevanza della prova richiesta da Poste spa diretta a dimostrare i processi di riorganizzazione che avevano comportato l’esigenza di assunzioni temporanee, senza neppure dar conto del perchè non erano stati esercitati i poteri officiosi di cui all’art. 421 c.p.c.;

5) la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,1223,2094,2099,2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..per avere la “corte ritenuto che dall’accertata nullità del termine conseguisse non solo la prosecuzione del rapporto ma anche l’obbligo retributivo, mentre a dire della ricorrente le retribuzioni non potevano che decorrere dal momento dell’effettiva ripresa del servizio. Quanto all’aliunde perceptum, sarebbe stato onere del lavoratore provare di non aver intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro.

Che in subordine la società ha chiesto l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, con risarcimento del danno contenuto nei limiti minimi previsti da tale norma.

Che possono esaminarsi congiuntamente i motivi, in quanto connessi; che infatti l’apposizione di un termine ai contratti di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, e che ben possono risultare anche per relationem, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, in modo da rendere evidente la specifica correlazione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa.

Che spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, ove adeguatamente motivata e priva di vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate nel contratto di dell’assunzione a termine, inclusi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nella causale del contratto.

Che nel caso in esame, diversamente da quanto sostenuto dalla società ricorrente, la corte territoriale ha correttamente applicato il suddetto principio allorquando ha affermato che se anche poteva nella fattispecie ritenersi soddisfatto l’obbligo di specificazione delle ragioni di cui al D.Lgs n. 368 del 2001, art. 1 (disciplina applicabile alla quale la causale doveva ricondursi, non essendo applicabile la clausola collettiva di cui all’art. 25 del CCNL 2001, riprodotta di fatto nel contratto, ma non più operante) e pur limitandosi la causale del contratto stipulato con il lavoratore al richiamo di accordi collettivi, non era stato assolto l’onere di prova, posto a carico della datrice di lavoro, in ordine al nesso causale delle ragioni ampie espresse in tali accordi con le mansioni per il cui espletamento il F. era stato assunto. In particolare gli accordi sindacali richiamati non erano di per sè idonei a giustificare il rapporto con la singola assunzione, cosi difettando la prova sul punto di una specifica causale negoziale (cfr. tra le tante, Cass. 27/4/2010 n. 10033, Cass. 19/03/2016 n. 5451).

Che invece la genericità della clausola si riscontra certamente nella parte della causale riferita alle ragioni sostitutive, non costituendo la sola espressione in essa contenuta (necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute al personale nel periodo estivo) un’indicazione circostanziata e puntuale degli elementi che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle sue esigenze, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato della lavoratrice, senza che vi sia la precisazione del luogo di svolgimento della prestazione e delle mansioni del personale da sostituire (cfr. Cass. 208/2015, Cass. n. 1576/2010).

Che deve essere accolta invece la domanda di applicazione dello jus supeveniens, costituito dalla normativa di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, come richiesto da parte ricorrente, trattandosi di giudizio “pendente” ai sensi del citato art. 32 , comma 7. Sul punto si richiama la recente sentenza di questa Corte a SSUU n. 21691/2016, secondo cui la violazione di norme di diritto di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano norme applicabili perchè dotate di efficacia retroattiva, posto che la proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche della parte dipendente, pur in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima. Nel caso in esame la società ricorrente, vittoriosa in primo grado e dunque appellata in secondo grado, ha impugnato con ricorso di cassazione la sentenza di appello nella parte in cui aveva disposto la condanna al risarcimento del danno, denunciando l’errata applicazione degli art. 1206 c.c. e segg., in punto di esatta determinazione dell’obbligo retributivo con

riguardo alla messa in mora. La società ricorrente ha quindi proposto ricorso contro la parte principale della decisione, dalla quale dipende, in quanto legata da un nesso di causalità inscindibile, la parte legata alla quantificazione del risarcimento del danno.

Che la sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia con cui è stata disposta la riammissione in servizio (cfr. per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione da calcolarsi a far tempo dalla sentenza dichiarativa della nullità del termine (cfr. Cass. n. 3062/2016).

PQM

 

La Corte accoglie l’ultimo motivo, nei termini di cui in motivazione, rigettati gli altri, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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