Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21865 del 30/08/2019

Cassazione civile sez. III, 30/08/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 30/08/2019), n.21865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27716/2017 proposto da:

CAA MARCHE CENTRO DI ASSISTENZA AGRICOLA SRL, in persona del legale

rappresentante Dott. B.G., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA MAGLIANO SABINA N. 24, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI PETTINARI, rappresentata e difesa dagli avvocati ALBERTO

LUCCHETTI, ALESSANDRO LUCCHETTI;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA SAN CASSIANO A RL, in persona del

presidente e legale rappresentante M.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. BAZZONI, 1, presso lo studio

dell’avvocato CORRADO ZUCCONI GALLI FONSECA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ENRICO CARMENATI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 764/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 18/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2008 la società Cooperativa Agricola San Cassiano a r.l. (d’ora innanzi, per brevità, “la Cooperativa”) convenne dinanzi al Tribunale di. Ancona la società CAA Marche – Centro di Assistenza Agricola s.r.l. (d’ora innanzi, “la CAA”), esponendo che:

-) aveva stipulato con la convenuta un contratto (qualificato come mandato) in virtù del quale la CAA si obbligava nei confronti della Cooperativa a svolgere gli atti necessari per presentare alle competenti autorità sia una domanda di concessione di determinati contributi comunitari; sia una domanda di erogazione dei contributi previsti dalla legislazione regionale in favore delle coltivazioni c.d. “biologiche”;

-) la CAA aveva trascurato di presentare la seconda domanda, provocando così la perdita del contributo regionale che sarebbe altrimenti spettato alla Cooperativa, dell’importo di circa 24.000 Euro. Chiese pertanto la condanna della convenuta al risarcimento del danno patito in conseguenza dei fatti sopra descritti.

2. La CAA si costituì e negò di avere mai ricevuto dalla Cooperativa l’incarico di presentare domanda per l’erogazione del contributo regionale alle coltivazioni biologiche.

3. Il Tribunale di Ancona con sentenza 23.6.2011 n. 791 accolse la domanda.

La Corte d’appello di Ancona con sentenza 18.5.2017 n. 764 rigettò il gravame della CAA.

La Corte d’appello ritenne che:

-) solo in comparsa conclusionale, e quindi tardivamente, la CAA aveva dedotto che la Cooperativa, anche se avesse presentato tempestivamente la domanda di contributo, non ne avrebbe avuto diritto, perchè non era iscritta nell’elenco dei soggetti che avevano iniziato le coltivazioni biologiche sin da 2001 (requisito, quest’ultimo, necessario per l’erogazione del contributo);

-) le prove raccolte dimostravano che la Cooperativa aveva chiesto alla società appellante l’assistenza per la presentazione di due diverse domande (quella volta alla erogazione dei contributi comunitari per determinate coltivazioni, e quella regionale per l’incentivazione delle coltivazioni biologiche); e che effettivamente la società appellante non aveva presentato la seconda di tali domande.

3. La sentenza è stata impugnata per cassazione dalla CAA con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito la Cooperativa con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari:

1.1. La Cooperativa ha eccepito la tardività del ricorso.

Ha dedotto che la presente controversia verterebbe su “materia agraria”, e che pertanto sarebbe soggetta alla sospensione feriale dei termini.

L’eccezione è infondata.

La controversia ha infatti ad oggetto l’inadempimento di un contratto atipico misto (di prestazione d’opera e mandato), e come tale non rientra tra le controversie agrarie.

Infatti la L. 2 marzo 1963, n. 320, art. 1, nell’istituire le sezioni specializzate agrarie dei Tribunali e delle Corti d’appello, stabilì che fossero ad esse trasferite le competenze delle preesistenti “sezioni specializzate per la risoluzione delle controversie in materia di contratti agrari”, costituite presso i Tribunali e le Corti d’appello.

Le competenze di tali disciolte sezioni specializzate consistevano nella risoluzione delle controversie in materia di contratti agrari: ovvero le controversie aventi ad oggetto tutte “le controversie relative ai contratti agrari di colonia parziaria, di piccolo affitto e si salariato fisso”, che in precedenza spettavano ai preesistenti “Comitati di conciliazione e commissioni arbitrali”, previsti dal R.D.L. 12 novembre 1921, n. 1659, art. 16 e mutuate dalle ancor più risalenti “Commissioni Mandamentali Arbitrali”, di cui al D.Lgt. 6 maggio 1917, n. 871, art. 16.

Per principio ormai secolare, dunque, “controversie agrarie” sono soltanto le controversie contrattuali: ovvero quelle in cui venga dedotta l’esistenza di un contratto agrario come fatto costitutivo della pretesa o dell’eccezione (tale principio è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte: in tal senso la sentenza capostipite è Sez. 2, Sentenza n. 168 del 25/01/1971, in seguito sempre conforme).

2. Il primo motivo di ricorso.

2.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1218,2697 c.c.; artt. 115,116,167 e 345 c.p.c..

Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto tardiva l’eccezione con cui essa aveva dedotto che, anche in caso di tempestiva presentazione della domanda, la Cooperativa non avrebbe avuto diritto ai benefici previsti per le coltivazioni biologiche.

Deduce che la possibilità di accedere a tali benefici rappresentava fatto costitutivo della pretesa; che come tale doveva essere dimostrato dalla cooperativa attrice; che la CAA, pertanto, anche in grado di appello poteva eccepirne l’insussistenza.

2.2. Il motivo è infondato.

La sentenza d’appello ha rilevato (nè la circostanza è mai stata contestata dalla società odierna ricorrente) che in primo grado nessuna delle parti aveva mai sollevato la questione della legittimazione della cooperativa a domandare l’erogazione del contributo regionale.

Tale questione era una questione mista di fatto-diritto, dal momento che, per quanto dedotto dalla stessa società oggi ricorrente, l’accertamento della suddetta legittimazione esigeva la prova della concreta attività svolta dalla cooperativa San Cassiano; del suo inserimento in un determinato elenco; della sua qualità di successore a titolo particolare nelle coltivazioni precedentemente svolte da altro agricoltore.

Tutte queste circostanze di fatto, però, non sono mai entrate a far parte del thema decidendum nel giudizio di primo grado, e di conseguenza non potevano essere introdotti per la prima volta in grado di appello.

E’, pertanto, irrilevante stabilire se il possesso delle suddette qualità fosse fatto costitutivo della pretesa o fatto costitutivo dell’eccezione.

Nell’uno, come nell’altro caso, la sussistenza di quel fatto non aveva formato oggetto di contestazione in primo grado, e doveva quindi darsi per ammessa.

Ad abundantiam, reputa tuttavia questa Corte opportuno precisare che colui il quale lamenta di avere perduto un vantaggio economico in conseguenza dell’altrui inadempimento di obbligazioni contrattuali viene, in tal modo, a dedurre in giudizio un lucro cessante; che tanto in materia contrattuale, quanto aquiliana, è onere del danneggiato dimostrare l’esistenza del danno; che la prova del lucro cessante va fornita attraverso la dimostrazione che, se non vi fosse stato l’inadempimento, il danneggiato avrebbe con ragionevole probabilità conseguito il vantaggio economico; che per conseguire tale vantaggio avrebbe avuto le necessarie qualità di fatto ed i richiesti requisiti di diritto.

La conclusione è che spettava, nel caso di specie, alla Cooperativa dimostrare il possesso dei requisiti legali per l’accesso ai benefici economici che assumeva di avere perduto in conseguenza dell’inadempimento della CAA.

Peraltro, non essendo stato tale possesso contestato come innanzi detto, esso è stato correttamente ritenuto esistente.

Va, pertanto, in tal senso emendata la motivazione della sentenza impugnata, sebbene il dispositivo di essa sia conforme a diritto.

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte d’appello avrebbe violato innumerevoli Regolamenti comunitari, nella parte in cui ha trascurato di accertare se la Cooperativa possedesse o non possedesse i requisiti richiesti dalla normativa comunitaria per accedere al contributo asseritamente perduto.

3.2. Il motivo è infondato per la medesima ragione per la quale è infondato il primo: ovvero perchè introduce nel dibattito processuale un tema che in primo grado non ne aveva mai fatto parte.

Nè la CAA, in violazione dell’onere richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6, indica nel proprio ricorso in quale atto ed in quali termini abbia mai sollevato la relativa questione nel giudizio di primo grado.

4. Il terzo motivo di ricorso.

4.1. Col terzo motivo la ricorrente lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Il “fatto decisivo” che la ricorrente assume trascurato dalla Corte d’appello viene indicato nella documentazione da essa prodotta in grado di appello, dimostrativa della circostanza che la Cooperativa non possedeva i requisiti per accedere al contributo previsto dalla legislazione regionale in favore delle coltivazioni biologiche.

4.2. Il motivo è infondato.

Anche a prescindere dal dibattuto problema di stabilire se, ed a quali condizioni, l’omesso esame d’un documento possa integrare il vizio di omesso esame del fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, i documenti che la ricorrente sostiene non essere stati esaminati erano irrilevanti, in quanto per le ragioni già esposte riguardavano circostanze di fatto mai dedotte in primo grado.

5. Il quarto motivo di ricorso.

5.1. Col quarto motivo il ricorrente lamenta (formalmente) l’error in procedendo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4. Tale errore sarebbe consistito nell’avere la Corte d’appello omesso di esaminare il materiale probatorio, in violazione degli artt. 115e 116 c.p.c..

Deduce, in particolare, che erroneamente la corte d’appello avrebbe prestato fede a due dei testimoni, e che “logica e buon senso” avrebbero dovuto indurla a ritenere non plausibili le dichiarazioni da essi fornite.

5.2. Il motivo è inammissibile perchè investe la valutazione delle prove.

Una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

6. Le spese.

6.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

6.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna CAA Marche – Centro di Assistenza Agricola s.r.l. alla rifusione in favore di Cooperativa Agricola San Cassiano a r.l. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di CAA Marche – Centro di Assistenza Agricola s.r.l. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2019

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