Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21865 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/09/2017, (ud. 28/04/2017, dep.20/09/2017),  n. 21865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28512/2011 proposto da:

T.M. (già M.) C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA DI VILLA CARPEGNA 58, presso lo studio dell’avvocato

MARCO PETRINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

RAFFAELE MISSERE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1276/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 25/05/2011 R.G.N. 222/2010.

Fatto

RILEVATO

Che con sentenza in data 135,2011 la Corte di appello Lecce ha respinto l’appello avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda di T.M. – poi T., diretta a far accertare la nullità dei termini finali apposti ai contratti intercorsi tra il lavoratore e Poste Italiane e stipulati rispettivamente il 16.1.2003, il 1.5.2004 ed il 4.10.2004, attraverso la società fornitrice Obiettivo Lavoro, con utilizzatrice Poste Italiane spa, la sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato con la società utilizzatrice, con condanna al ripristino del rapporto ed al risarcimento del danno.

Che la corte territoriale aveva ritenuto infondato l’appello per essere i contratti di fornitura, stipulati ai sensi della legge n. 196/97 dal Poste con La società Obiettivo lavoro, esenti da vizi, rispondendo ai requisiti di forma di cui all’art. 1, comma 5 della citata legge ed essendo stati prorogati tempestivamente, che egualmente i contratti di lavoro stipulati dalla società fornitrice erano legittimi, essendo stati prorogati, secondo la Corte, dalla datrice di lavoro e non da Poste, che si era soltanto limitata, attraverso un proprio dipendente direttore e referente, ad apporre un “visto” sulla dichiarazione del T. in cui il lavoratore accettava la proroga dei contratti interinali. Che inoltre la ripetizione dei contratti a termine in esame non potevano integrare in sè una ipotesi di nullità ex art. 1344 c.c., con le conseguenze di cui alla L. n. 1269 del 1960, in difetto di una specifica allegazione e relativa domanda da parte del ricorrente nel ricorso introduttivo. La corte di merito ha poi escluso che dall’istruttoria fosse emerso che l’attività di recapito non era comunque stata espletata quotidianamente, in maniera del tutto prevalente rispetto ad un’attività di smistamento, come invece dedotto dal lavoratore.

Che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione T.M. svolgendo quattro motivi. Resiste con controricorso Poste Italiane spa, depositando anche memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che con il gravame il ricorrente lamenta: 1) La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2967 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la sentenza impugnata valutato e preso in considerazione le prove testimoniali dalle quali emergeva con chiarezza l’insussistenza della causale contrattuale per tutto il periodo di lavoro presso Poste, con i contratti di fornitura prorogati, avendo i testi confermato che egli aveva lavorato in posti carenti di organico, oltre che con mansioni diverse da quelle indicate nei contratti, ossia non di portalettere, ma di smistamento di lettere e spostamento di pacchi voluminosi all’interno dell’ufficio. 2) la violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, artt. 1,3 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione della genericità della causale dei contratti di lavoro tra l’impresa fornitrice ed il lavoratore, dovendosi verificare e valutare l’effettiva attuazione, nel corso del rapporto, delle causali indicate nel contratto di fornitura. Poste avrebbe dovuto fornire la prova della sussunzione del rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva, previsti dalla L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2, prove che non sarebbero state fornite. Nel caso in esame a dire del ricorrente l’utilizzatrice Poste spa non avrebbe fornito alcuna prova di un uso coerente con le causali, ma anzi esisterebbe la prova contraria di un uso anomalo. 3) La violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d’appello erroneamente escluso l’applicabilità di tale normativa compiendo un errore di valutazione. 4) l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo della controversia, per avere sia il Tribunale con la sentenza di primo grado sia poi la corte d’Appello errato nel non disporre la chiamata in causa della società fornitrice Obiettivo Lavoro, così come richiesto da Poste italiane spa che aveva eccepito il difetto di legittimazione passiva. Secondo il ricorrente il giudice di primo grado avrebbe dovuto autorizzare tale chiamata del terzo indicato come reale legittimato, estendendosi automaticamente anche nei suoi confronti la domanda inizialmente svolta nei confronti del soggetto non legittimato.

Che deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4.

Che infatti preliminarmente deve rilevarsi che già la parte espositiva dei fatti non risulta particolarmente chiara perchè, lungi da essere una sommaria esposizione dei fatti di causa, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ricostruisce tutta la vicenda processuale attraverso una commistione di argomentazioni, alternando ricostruzione delle fasi di giudizio a commento della sentenza di primo grado, con ampi stralci del ricorso di appello, senza un’ indicazione precisa delle causali dei tre contratti, non trascritte in ricorso, e senza indicare e distinguere esattamente neanche le causali delle varie proroghe di tali distinti contratti, pure impugnate. Lo scopo della disposizione di cui al n. 3 del citato art. 366 è quello di agevolare la comprensione della pretesa, oltre che del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (cfr. Cass. n. 21750/2016); nel caso di specie il ricorso difetta proprio di questa funzionalità della parte espositiva che consiste nel fornire quel supporto cognitivo necessario sull’oggetto del giudizio, che consente poi di esaminare le censure contenute nei motivi di gravame.

Che il primo motivo di ricorso è inammissibile. Il ricorrente non lamenta in realtà una violazione o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ma un’ errata valutazione delle risultanze probatorie testimoniali, dalle quali si sarebbe evinta a suo dire insussistenza della causale dei contratti che peraltro neanche viene trascritta in ricorso, a fronte della effettiva finalità della sua assunzione, riconducibile alla copertura di organico mancante. Egli peraltro richiede un’inammissibile valutazione di merito, preclusa in questa sede, censurando il percorso argomentativo della Corte di cui denuncia una non corretta valutazione delle risultanze istruttorie e non un vizio motivazionale di insufficienza o di contraddittorietà.

Che gli altri motivi di ricorso sono egualmente inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il secondo ed il terzo in particolare per essere del tutto privi di censure specifiche dell’iter motivazionale della sentenza impugnata, essendosi il ricorrente limitato a richiamare la normativa di cui alla L. n. 196 del 1997 e le ipotesi di violazione dell’art. 1, comma 2 della stessa da parte dell’impresa utilizzatrice, o la violazione dell’art. 10, comma 2 Legge cit., senza alcun collegamento con quanto argomentato dalla corte di merito nella gravata sentenza. Come precisato da questa corte (cfr. fra le tante Cass. n. 19959/2014). “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.”.

Che egualmente inammissibile è il quarto motivo di ricorso in cui si lamenta un insufficiente e contraddittoria motivazione e si individua nella mancata ” estensione del contraddittorio con la società fornitrice Obiettivo lavoro” il punto decisivo della controversia non preso in considerazione dalla Corte territoriale. La censura non è chiara e comunque il motivo viola il principio di autosufficienza. Il ricorrente non ha trascritto le richieste svolte in sede di appello in primo grado, così da poterle collegare alla motivazione della sentenza impugnata. Ma altresì il ricorrente non ha precisato in che termini sia censurabile la motivazione della corte territoriale, che ha invece spiegato sufficientemente e coerentemente le ragioni della infondatezza della richiesta integrazione del contraddittorio con la società fornitrice, tenuto conto delle domande svolte in primo grado dal T., dirette soltanto ad ottenere la declaratoria di accertamento della sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato con la società Poste italiane spa, impresa utilizzatrice.

Che va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Eureo 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%a ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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