Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21864 del 30/08/2019

Cassazione civile sez. III, 30/08/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 30/08/2019), n.21864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13571-2017 proposto da:

TOURING SPORT CLUB DI V.M. & C SNC, in persona del

suo amministratore e legale rappresentante p.t. V.M.,

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GERMANA VILLIRILLO;

– ricorrente-

contro

C.D., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI

99, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO, rappresentata

e difesa dall’avvocato GIUSEPPE NAPOLI;

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI già AURORA ASSICURAZIONI SPA in persona del

suo procuratore speciale Dott.ssa C.A.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. MONTANELLI 11, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO ANDRIOLA, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1788/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 08/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato l’8 maggio 2017 per via telematica Touring Sportclub snc di V.M. e C. ricorre per la cassazione della sentenza numero 17882016 resa dalla Corte d’appello di Catanzaro, pubblicata l’8 novembre 2016. Le parti intimate C.D. e Aurora assicurazioni S.p.A. hanno notificato controricorso per resistere. Il giudizio è stato instaurato dalla resistente C. con atto di citazione notificato in in data 2- 13 luglio 2007 per ottenere il risarcimento del danno alla propria persona subito in Crotone in data 31 luglio 2005, allorchè si trovava nello stabilimento balneare “(OMISSIS)”, gestito dalla società ricorrente, la quale aveva chiamato in manleva la propria compagnia assicuratrice. Le parti intimate hanno notificato separati controricorsi nei termini indicati in epigrafe.

2. Il ricorso è affidato a tre motivi e riguarda una sentenza con cui è stata accertata, a conferma della pronuncia di primo grado, i) la prescrizione del diritto della società ricorrente ad ottenere manleva nei confronti della propria compagnia assicuratrice, essendo stata giudicata tardiva la richiesta di attivare la copertura assicurativa rispetto alla denuncia di sinistro inviata con raccomandata del 1 settembre 2005 dalla vittima del sinistro; ii) la sussistenza della responsabilità ex art. 2050 c.c. dell’esercente del parco giochi per le lesioni subite dalla resistente battendo la regione sacrale contro una giunzione posta tra due pannelli nella parte terminale dello scivolo acquatico; iii) l’ininfluenza, nel caso concreto, della conformità dell’impianto alle norme di sicurezza, essendo mancata la prova dello stato di manutenzione in cui versava lo scivolo e di adeguata sorveglianza a tutela dei fruitori della struttura.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il 1 motivo la società ricorrente deduce falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1335 c.c., laddove dai giudici di merito è stato erroneamente ritenuto che la consegna di una raccomandata presso lo stabilimento, all’epoca sottoposto a sequestro preventivo penale e sede di un’ attività stagionale della società, integri prova dell’avvenuta conoscenza del sinistro da denunciare alla compagnia assicuratrice, quando invece solo dalla seconda raccomandata del 30 aprile 2007, inviata alla sede legale della società, avrebbe dovuto intendersi decorrente il termine di cui all’art. 2952 c.c. per attivare l’intervento della compagnia assicurativa.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. La dichiarazione recettizia, ai sensi dell’art. 1335 c.c., si presume conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, nel luogo che, per collegamento ordinario (dimora o domicilio) o per normale frequentazione per l’esplicazione della propria attività lavorativa, o per una preventiva indicazione o pattuizione, risulti in concreto pervenuta nella sfera di dominio e controllo del destinatario stesso, inteso come luogo idoneo a consentirgli la ricezione dell’atto e la possibilità di conoscenza del relativo contenuto: perchè la sede di lavoro possa ritenersi “indirizzo” del destinatario ai fini della presunzione di conoscenza di cui al citato art. 1335 c.c. non è necessario che sul posto di lavoro sia prevista una struttura organizzativa aziendale per lo smistamento della corrispondenza, essendo sufficiente che da parte del datore di lavoro e della sua organizzazione non vi sia un rifiuto della corrispondenza diretta ai propri dipendenti (Sez. 3, Sentenza n. 6284 del 10/03/2008; Sez. L, Sentenza n. 773 del 20/01/2003).

1.3. La Corte di merito ha ritenuto che la raccomandata del 6 settembre 2005 di denuncia del sinistro, indirizzata dalla vittima alla società che gestiva il parco giochi, è stata regolarmente ricevuta nella sede dell’attività lavorativa da personale addetto alla ricezione, e che fosse pertanto del tutto generica l’affermazione della “indimostrata autorizzazione” al ritiro della persona che ne ha sottoscritto la ricezione, posto che la denuncia di sinistro era stata recapitata all’indirizzo del destinatario – tale dovendo intendersi anche quello ove si esplichi l’attività lavorativa e non solo quello della sede sociale -, e ciò sulla base dell’indirizzo giurisprudenziale, sopra richiamato, che pone a carico di chi riceve la missiva l’onere di provare di averne senza colpa ignorato il contenuto. La Corte di merito ha considerato oltretutto sfornita di supporto probatorio l’affermazione secondo cui la società non avrebbe avuto la disponibilità del bene perchè all’epoca soggetto a sequestro preventivo, mentre dagli atti del giudizio di appello emergeva piuttosto che nell’intera stagione estiva del 2005 essa aveva avuto la disponibilità dei beni fino al sequestro penale intervenuto nel 25 settembre 2005, e dunque ben oltre la data nella quale la missiva è stata ricevuta.

1.4. Le valutazioni della Corte di merito si fondano quindi su presupposti giuridici corretti e su valutazioni di merito insindacabili in questa sede processuale, non in grado di essere smentite dal documento riprodotto a p. 10 del ricorso che conferma, piuttosto, il dato registrato dalla Corte di merito in ordine alla disponibilità del bene sociale in questione pur nella vigenza di un sequestro penale preventivo, disposto prima dell’inizio della stagione estiva in ragione di violazioni delle norme edilizie.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione o falsa applicazione dell’art. 2050 c.c. e art. 1227 c.c., comma 10, in quanto la Corte d’appello non avrebbe fatto buon governo dei principi giurisprudenziali in base ai quali il comportamento del danneggiato non solo sarebbe idoneo, ricorrendone le condizioni, a interrompere il nesso eziologico, ma potrebbe integrare un fatto colposo concorrente, valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c.: a ciò conseguendo il diritto della ricorrente di essere ritenuta esente da responsabilità per aver dimostrato di aver adottato ogni misura atta ad evitare e a prevenire il danno.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. La nozione di attività pericolosa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2050 c.c., riguarda tutte quelle attività che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, dovendosi, di conseguenza accertare in concreto il requisito della pericolosità con valutazione svolta caso per caso, tenendo presente che anche un’attività per natura non pericolosa può diventarlo in ragione delle modalità con cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per espletarla. L’indagine sul carattere pericoloso dell’attività, di ordine fattuale, deve essere svolta seguendo il criterio della “prognosi postuma”, tenendo conto delle circostanze esistenti al momento dell’esercizio dell’attività (v. da ultimo Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 19180 del 19/07/2018). Di conseguenza, in tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, l’esercente risponde dei danni derivanti dal suo svolgimento, a nulla valendo che il danneggiato sia un terzo piuttosto che un proprio incaricato e che i mezzi o le opere fonte di danno siano di proprietà di terzi; per vincere la presunzione di colpa, posta a suo carico dall’art. 2050 c.c., non rileva, altresì, la semplice prova dell’imprevedibilità del danno, dovendosi, invece, dimostrare che esso non si sarebbe potuto evitare mediante l’adozione delle misure di prevenzione che le leggi dell’arte o la comune diligenza imponevano (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16637 del 05/07/2017). In particolare, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone la sussistenza del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, la cui prova è a carico del danneggiato, sicchè va esclusa ove sia ignota o incerta la causa dell’evento dannoso (Sez. 3, Sentenza n. 19872 del 22/09/2014).

2.3. La Corte di merito ha rilevato che i) nessuno dei testi è stato in grado di affermare la modalità anomala con cui la vittima ha affrontato la discesa sullo scivolo; ii) nessuna parte ha messo in discussione che il sinistro si è verificato mentre la vittima utilizzava l’acquascivolo, ritenendola attività pericolosa per la quale grava una presunzione di responsabilità in capo al gestore dell’impianto, ex art. 2050 c.c.; iii) sebbene non possa negarsi che la descrizione del sinistro fatta dalla vittima nell’atto di citazione generi perplessità, tuttavia la sussistenza del nesso causale tra uso dello scivolo ed evento lesivo impone l’applicazione dei principi sopra riferiti anche in presenza della impossibilità di ricostruire appieno la dinamica dell’incidente, con conseguente affermazione della responsabilità dell’esercente dell’impianto in un contesto di pericolosità già conosciuta, rispetto alla quale il gestore non risulta aver adottato tutte le cautele atte evitare che gli utenti potessero procurarsi danni nella fase di suo utilizzo, posto che è rimasta dubbia la presenza di personale alla partenza dello scivolo e la bagnante è stata soccorsa da altri bagnanti e non dagli addetti all’impianto, in quel momento assenti; iv) le conclusioni di cui sopra, infine, non sono scalfite dalla relazione del CTU che per quanto non abbia riscontrato alcuna presenza di giunti o disconnessioni nella pista percorsa, comunque non ha potuto verificare lo stato di manutenzione dell’acquascivolo all’epoca del sinistro.

2.4. Con tali argomenti la Corte territoriale ha dimostrato di avere applicato i principi sulla cd “prognosi postuma” in tema di responsabilità per l’esercizio di un’attività pericolosa, con considerazioni in fatto e in diritto del tutto logiche, che dimostrano la sussistenza del nesso causale tra uso dello scivolo in una situazione di mancanza di sorveglianza dell’attività pericolosa da parte del personale addetto, costituente pertanto fonte di responsabilità oggettiva per l’esercente in relazione all’evento lesivo occorso, ove per le condizioni di uso accertate non assume rilievo la eventuale condotta imprevedibile della vittima, rimasta nella fattispecie oltretutto ignota.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5, violazione dell’art. 116 c.p.c. per non avere la Corte di merito utilizzato l’esito della CTU in relazione alla positiva valutazione degli impianti sotto il profilo del rispetto delle norme di sicurezza.

3.1. I motivi sono inammissibili e, vertendo sulla medesima questione vista sotto diversi profili di nullità della sentenza, vengono trattati congiuntamente.

3.2. Le censure, invero, non si confrontano con la ratio decidendi sottesa nella sentenza che, pur convenendo sul fatto, accertato dal CTU, che lo scivolo all’epoca del sopralluogo peritale era a norma, ha ritenuto comunque sussistere la responsabilità dell’esercente in relazione alle modalità, rimaste ignote, circa l’uso dello scivolo consentito alla vittima. Pertanto la CTU è stata considerata per il giudizio tecnico che doveva rendere sulla conformità alle norme di sicurezza dell’impianto all’epoca dell’accesso delle parti del giudizio, conformità che non è de resto sola idonea a scagionare l’esercente dal carico delle sue responsabilità inerenti all’uso in concreto fatto dell’impianto, alla sua manutenzione e alla sorveglianza e cautele predisposte a tutela dei fruitori dell’acquascivolo, non essendo all’uopo sufficiente la presenza di cartelloni indicanti le posizioni da assumere sullo scivolo, occorrendo invece la prova dell’assunzione di una condotta idonea a contrastare condotte pericolose da parte degli utenti, nel caso specifico mancata.

3.3. Le censure pertanto si pongono in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. SU n. 7074 del 2017), poichè l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo quando si considerano in concreto le ragioni che la sorreggono.

4. Conclusivamente il ricorso viene dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore delle parti separatamente resistenti.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 1800,0 in favore di C.D. e in Euro 1500,00 in favore della Aurora ass.ni s.p.a., oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2019

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