Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21864 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. II, 09/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 09/10/2020), n.21864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis. 1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4621/16) proposto da:

A.F.A., (C.F.: (OMISSIS)), A.M.F.,

(C.F.: (OMISSIS)) e G.M.G. ((OMISSIS)), tutte

rappresentate e difese, in virtù di procura speciale apposta a

margine del ricorso, dall’Avv. Marco Pilia, ed elettivamente

domiciliate presso il suo studio, in Roma, v. Marianna Dionigi, n.

43;

– ricorrenti –

contro

P.D.G.P., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale apposta a margine del

controricorso, dall’Avv. Alberto Carlo Filippo Secchi, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Serapio Deroma,

in Roma, v. G. Avezzana, n. 2;

– controricorrente –

nonchè

P.M., (C.F.: (OMISSIS));

– intimata –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari – sez. dist.

Di Sassari n. 538/2015 (depositata il 21 dicembre 2015 e notificata

il 23 dicembre 2015);

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 7

luglio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 5 maggio 2003 i sigg. P.D.G.P. e P.M. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania – sez. dist. di Olbia, le signore A.F.A., G.M.G. e A.M.F. per sentir accertare la sussistenza del loro diritto di proprietà sul terreno della grandezza di mq 2000, sito nel Comune di (OMISSIS), distinto in catasto al foglio (OMISSIS), mappale (OMISSIS), con la conseguente condanna delle predette convenute – previo accertamento negativo dei loro diritti – al rilascio della porzione illegittimamente occupata ed al ripristino della recinzione nel rispetto degli originari confini.

Si costituivano in giudizio le convenute, le quali instavano per il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, chiedevano accertarsi l’intervenuta usucapione del fondo dedotto in giudizio in loro favore.

Con sentenza n. 230/2009 l’adito Tribunale accoglieva integralmente la domanda attorea.

2. Interposto appello da parte delle convenute soccombenti e nella costituzione degli appellati, la Corte di appello di Cagliari – sez. dist. di Sassari, con sentenza n. 538/2015 (depositata il 21 dicembre 2015), rigettava il gravame e condannava le appellanti alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte sassarese rilevava che le originarie parti attrici (poi appellate) avevano fornito la prova del conseguimento del diritto di proprietà sul fondo controverso ai sensi dell’art. 1159 c.c., sussistendo, nel caso di specie, tutti i requisiti per l’accertamento dell’acquisto di detto diritto per usucapione decennale (ovvero acquisto “a non domino”, buona fede, valido titolo, debitamente trascritto, e possesso decennale). In senso contrario il giudice di secondo grado confermava che le appellanti non avevano fornito idonei riscontri per dimostrare l’avvenuto acquisto per usucapione ventennale del diritto di proprietà in questione.

3. Avverso la citata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, A.F.A., A.M.F. e G.M.G., resistito con controricorso dal solo P.D.G.P..

L’altra intimata P.M. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1159 c.c., con riguardo all’usucapione decennale siccome asseritamente dedotta per prima volta in comparsa conclusionale, poichè i P. si erano limitati ad allegare, con la domanda introduttiva, l’esistenza del titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà (scrittura privata del 17 novembre 1983), ma non anche le circostanze relative all’esercizio del possesso decennale e all’elemento del possesso in buona fede, che, perciò, non avevano costituito oggetto di dibattito tra le parti.

2. Con la seconda censura le ricorrenti hanno prospettato la violazione o falsa applicazione dell’art. 1159 c.c., deducendo l’assenza dei requisiti per l’usucapione decennale, con particolare riferimento all’acquisto “a non domino”, al possesso decennale e alla buona fede.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno prospettato la violazione o falsa applicazione dell’art. 1167 c.c., nella parte in cui con l’impugnata sentenza non era stata accolta la domanda riconvenzionale, proposta in primo grado, di intervenuta usucapione ventennale a favore delle stesse e non era stata ritenuta sussistente l’intervenuta interruzione del possesso ai sensi del citato art. 1167 c.c..

4. Con la quarta ed ultima censura le ricorrenti hanno dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, avuto riguardo all’accertamento dell’esistenza del passaggio sul terreno oggetto di controversia.

5. Rileva il collegio che la prima doglianza è infondata e deve, perciò, essere respinta.

Occorre, infatti, osservare che – per come riportato nelle richieste dell’atto introduttivo (idoneamente trascritte nel anche controricorso) proposto dagli attori in primo grado – il “petitum” dedotto consisteva in una domanda di accertamento dell’acquisto della proprietà del fondo controverso nel concorso di tutte le condizioni, oggettive e soggettive, previste dall’art. 1159 c.c., avuto riguardo al possesso ultradecennale protrattosi dal 1983 al 1995 sulla base di un titolo astrattamente idoneo (consistente in una scrittura privata autenticata del 17 novembre 1983) al trasferimento della proprietà, debitamente trascritto.

Quindi non sussiste la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., essendosi la Corte di appello limitata a qualificare la domanda sulla base delle circostanze concretamente dedotte in giudizio riconducibili alla proposizione dell’accertamento della loro proprietà (anche) per effetto del maturato possesso decennale ai sensi dell’art. 1159 c.c., fino alla condotta di spoglio realizzata dalle odierne ricorrenti nel 1995 (tutelata positivamente dagli attori anche con ricorso ex art. 1168 c.c., formulato in corso di causa, come riportato nella sentenza qui impugnata, con riferimento allo spoglio consumato dalle odierne ricorrenti mediante l’apposizione di un cancello idoneo ad impedire l’esercizio del passaggio, da parte dei medesimi attori, per accedere al fondo dedotto in controversia).

Non può, quindi, ritenersi che la domanda ricondotta all’applicazione dell’art. 1159 c.c., sia stata tardivamente proposta solo in sede di comparsa conclusionale.

In ogni caso, va rilevato che – secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. n. 18370/2002 e Cass. n. 22598/2010) – la proprietà appartiene alla categoria dei diritti “autodeterminati”, individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l’oggetto, sicchè nelle azioni ad essi relative, a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito, la “causa petendi” si identifica con i diritti stessi, mentre il titolo, necessario alla prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda. Ne consegue che l’allegazione, nel corso del giudizio di rivendicazione, di un titolo diverso (come quello relativo all’acquisto per usucapione) rispetto a quello posto inizialmente a fondamento della domanda costituisce soltanto un’integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione non configurabile come domanda nuova, nè come rinuncia alla valutazione del diverso titolo dedotto in precedenza.

E’ stato vieppiù ritenuto (v. Cass. n. 3192/2003 e, da ultimo, Cass. n. 23565/2019) che la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cd. diritti “autodeterminati”, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto sì come rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, con la conseguenza che la “causa petendi” delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo – contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc. – che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessario ai soli fini della prova. Non viola, pertanto, il divieto dello “ius novorum” in appello la deduzione da parte dell’attore – ovvero il rilievo “ex officio iudicis” – di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio.

6. Il secondo motivo è da dichiarare inammissibile.

Esso, invero, investe squisite valutazioni di merito, poichè con lo stesso si sollecita, nella presente sede di legittimità, una rivalutazione delle condizioni già adeguatamente e motivatamente apprezzate dalla Corte territoriale con riferimento all’applicabilità in concreto dell’art. 1159 c.c. (e, specificamente, ai requisiti dell'”acquisto a non domino” con atto debitamente trascritto e quindi opponibile ai terzi, alla buona fede e al possesso ultradecennale).

In particolare, deve darsi atto che la Corte sassarese, dopo aver verificato la corrispondenza catastale del fondo con quello indicato nella domanda, ha appurato che l’oggetto della scrittura privata autenticata del 17 novembre 1983 (subito dopo trascritta, per come ricavabile dalla prodotta nota di trascrizione del 29 novembre 1983) – quale titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà – era precisamente indicato in detta scrittura (nel senso corrispondente all’immobile controverso), nella quale risultava espressa univocamente la volontà delle parti di alienare il fondo.

Allo stesso modo la medesima Corte ha desunto il requisito della buona fede in capo agli originari attori sulla base di appositi univoci indizi ricondotti all’eseguito frazionamento del bene e alla circostanza che, dalla citata scrittura privata, era emerso che il venditore aveva dichiarato di essere proprietario del fondo dedotto in giudizio e del terreno confinante.

In ultimo, la Corte di merito, con valutazione insindacabile siccome sufficientemente motivata, ha constatato che, effettivamente, gli appellati avevano univocamente posseduto per un periodo ultradecennale (dal 1983 al 1995), il fondo oggetto di causa, provvedendo anche a recintarlo e ad utilizzarlo in via esclusiva, per come evincibile dalle risultanze delle prove orali ritenute maggiormente attendibili.

E’ appena il caso di sottolineare come sia pacifico il principio secondo cui la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili.

7. Il terzo motivo è privo di fondamento e va rigettato, avendo – come già rilevato in risposta alla seconda censura – la Corte di merito idoneamente accertato la sussistenza, ai fini di cui all’art. 1159 c.c., del possesso ultradecennale (senza alcuna interruzione) in capo agli appellati fino all’atto di spoglio compiuto dalle ricorrenti nel 1995 (donde, in senso contrario, ha escluso che si fossero potuti configurare i presupposti per l’usucapione ultraventennale a favore delle medesime ricorrenti).

8. Pure l’ultimo motivo non coglie nel segno e va disatteso.

Infatti, non risulta affatto omesso l’esame della circostanza relativa all’asserita esistenza del passaggio sul fondo controverso in favore delle ricorrenti, costituendo, invero, l’esclusione di tale circostanza il presupposto (la cui sussistenza era stata richiesta con l’atto di citazione) per l’accoglimento della domanda attorea di accertamento della proprietà anche ai sensi dell’art. 1159 c.c., tanto è vero che risulta essere stata accolta anche il ricorso per reintegrazione nel possesso (del passaggio di accesso al terreno oggetto di causa) avanzato in corso di causa dagli stessi attori.

9. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna delle ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente P.D.G.P., che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Nulla sulle spese con riferimento al rapporto processuale instauratosi tra le ricorrenti e l’intimata P.M., non avendo quest’ultima svolto attività difensiva in questa sede.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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