Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21862 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 20/10/2011), n.21862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.P.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 58, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO CARUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato

SIRACUSA ANTONINO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS) in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso

lo studio dell’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 476/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

7.4.09, depositata il 09/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“Con ricorso notificato in data 13 maggio 2010, M.P. C. chiede, con cinque motivi, la cassazione della sentenza depositata il 9 giugno 2009, con la quale la Corte d’appello di Milano, riformando la decisione del primo giudice, ha respinto la sua domanda di accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato, nel quadro della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, con Poste Italiane s.p.a. dal 5 agosto al 30 settembre 2005, poi prorogato fino al 31 dicembre successivo “per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’area operativa e addetto al servizio di smistamento e trasporto presso il Polo corrispondenza Lombardia assente” nel medesimo periodo; con le pronunce conseguenti.

I motivi di ricorso sono i seguenti:

1 – insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, laddove la Corte, pur ritenendo l’indicazione della causale giustificativa del termine contenuta nel contratto individuale di lavoro “piuttosto generica”, di fatto avrebbe poi deciso la causa senza tener conto di tale determinante vizio formale della clausola, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1;

2 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per non avere applicato il comma 2 di tale articolo in relazione alla pur ritenuta genericità della indicazione della causale del termine nel contratto tra le parti, evidentemente travisando il significato del termine “specificazione” usato dal D.Lgs.;

3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la Corte territoriale, nell’affermare che comunque le concrete specifiche esigenze sostitutive erano state indicate ed erano risultate in giudizio, avrebbe omesso di considerare che tali esigenze vanno evidenziate ex ante, nel contratto e non verificate a posteriori; inoltre, quanto alla prova, la Corte d’appello si sarebbe basata unicamente su mere asserzioni della società, mai confermate da testimoni (la cui audizione sarebbe stata comunque inutile, data la genericità dei capitoli di prova dedotti dalla società) nè desumibili in maniera incontrovertibile dalla documentazione prodotta;

4 – erroneità, alla luce degli artt. 1418, 1419, 1457 e 2126, della tesi difensiva sviluppata dalla società fin dal suo primo atto difensivo, secondo la quale la nullità della clausola appositiva del termine determinerebbe la nullità dell’intero contratto di lavoro in cui essa è inserita;

5 – diritto al risarcimento del danno ex artt. 1337, 1344 e 2043 c.c., dalla data di messa in mora alla riammissione in servizio, salva la prova da parte della datrice di lavoro dell’aliunde perceptum nel medesimo periodo.

Nelle conclusioni del ricorso è altresì inserita in via preliminare la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 o alla Corte di giustizia CE. La società intimata resiste alle domande con rituale controricorso.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg. con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è manifestamente fondato quanto al secondo motivo, assorbiti il primo e il terzo, mentre è inammissibile quanto agli altri e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere parzialmente accolto.

Non può peraltro tenersi alcun conto della istanza formulata in via preliminare, in quanto la stessa non risulta specificatamente sviluppata nel ricorso e in ogni caso non è corredata dalla formulazione del quesito di diritto prescritto dall’art. 366-bis c.p.c. (cfr. Cass. 21 febbraio 2007 n. 4072).

Non costituiscono inoltre censure alla sentenza impugnata i motivi quarto e quinto, concernenti profili della controversia sui quali la Corte territoriale non si è, logicamente, pronunciata, avendo respinto la domanda – di nullità del termine – cui erano conseguenti la richiesta di conversione del rapporto a tempo indeterminato e quella di risarcimento danni.

Vanno poi respinte le deduzioni della società di inammissibilità del ricorso in ragione della molteplicità dei quesiti formulati a conclusione di motivi, in quanto nel caso in esame tale molteplicità non impedisce, con riguardo alle censure rilevanti nel presente giudizio, la comprensione del principio di diritto che si vuole applicato alla fattispecie concreta rappresentata, in luogo di quello affermato dalla Corte territoriale.

In sostanza le censure del ricorrente riguardano l’erronea applicazione al caso in esame, del D.Lgs. n. 368 de 2001, art. 1, comma 2 quanto al requisito della necessaria specificazione nel contratto di lavoro della causale giustificativa del termine apposto alla relativa durata, in ciò restando assorbito il profilo del difetto di motivazione al riguardo (nel caso di specie sviluppato col primo motivo nel senso che implicitamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che la legge consenta la specificazione successiva della causale), dato il potere di diretta interpretazione della legge da parte di questa Corte e quindi l’irrilevanza della motivazione eventualmente insufficiente, carente o contraddittoria in ordine a tale interpretazione (arg. art. 384 c.p.c., u.c.).

In proposito, il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 relativo alla “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES” stabilisce ai primi due commi:

“1 – E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

2 – L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1”.

Questa Corte ha avuto modo recentemente di specificare (cfr. Cass. 1 febbraio 2010 n. 32279) che con l’espressione sopra riprodotta, di chiaro significato già alla stregua delle parole usate, il legislatore ha inteso stabilire un vero e proprio onere formale di specificazione nel contratto di lavoro delle ragioni oggettive del termine finale, perseguendo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (così Corte Costituzionale sent. 14 luglio 2009 n. 214).

“Il D.Lgs. n. 368 del 2001, abbandonando il precedente sistema di rigida tipicizzazione delle causali che consentono l’apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro (in parte già oggetto di ripensamento da parte del legislatore precedente), in favore di un sistema ancorato alla indicazione di clausole generali (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), cui ricondurre le singole situazioni legittimanti come individuate nel contratto, si è infatti posto il problema, nel quadro disciplinare tuttora caratterizzato dal principio di origine comunitaria del contratto di lavoro a tempo determinato (cfr., in proposito, Cass. 21 maggio 2008 n. 12985) del possibile abuso insito nell’adozione di una tale tecnica.

Per evitare siffatto rischio di un uso indiscriminato dell’istituto, il legislatore ha imposto la trasparenza, la riconoscibilità e la verificabilità della causale assunta a giustificazione del termine, già a partire dal momento della stipulazione del contratto di lavoro, attraverso la previsione dell’onere di specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contento che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale.

In altri termini, per le finalità indicate, tali ragioni giustificatrici… devono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e quindi il controllo di effettività delle stesse.” Con specifico riguardo alle ragioni di carattere sostitutivo, questa Corte ha quindi ripetutamente affermato (cfr. Cass. nn. 21901/10, 1577/10 e 1576/10) che “nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quale l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni del lavoratore da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità”.

In ogni caso, tutte le sentenze citate danno esplicitamente atto che, nel quadro della disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato introdotta dal D.Lgs. n. 368 del 2001, è imposta l’adozione dell’atto scritto quanto alla clausola contrattuale relativa al termine, con l’onere della specificazione in esso delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

Nel caso in esame, la Corte territoriale non si è attenuta a tale chiara regola di legge, ritenendo sufficiente che l’onere di specificazione della causale relativa alla clausola appositiva del termine venga assolto successivamente alla stipula e all’esecuzione del relativo contratto di lavoro, in particolare in sede di difese nel giudizio concernente la legittimità del termine.

Concludendo, si chiede che il Presidente della sezione voglia fissare la data dell’adunanza in camera di consiglio”.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

Il ricorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Il Collegio condivide il contenuto della relazione, rilevando che comunque nessun contributo ulteriore ai fini della decisione è apportato dalla memoria ex art. 378 c.p.c. Il ricorso va pertanto accolto nel secondo motivo, assorbiti il primo e il terzo, inammissibili il quarto e il quinto; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il terzo; dichiara inammissibili il quarto e il quinto; cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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