Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21851 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 20/10/2011), n.21851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17613-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e Legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la rappresenta e difende

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5268/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

24/06/08, depositata il 25/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis.

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da Emilia F. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta alla declaratoria di illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 16.11.1999 al 31.1.2000 con riferimento alla causale “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi in attesa della progressivo completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

A seguito di appello della lavoratrice, la Corte d’Appello di Roma accoglieva “per quanto di ragione” l’impugnazione, dichiarando la nullità del sopra indicato contratto a termine e quindi la sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato dal 16.11.1999, ancora in atto, e riconoscendo il diritto della lavoratrice a un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni relative al periodo dal 23.10.2002 fino alla sentenza.

La Corte di merito in primo luogo riteneva, in sostanza, che anche nel quadro del potere riconosciuto dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 alle parti contraenti collettive di introdurre nuove causali di assunzioni a termine, non poteva ritenersi ammissibile una deroga ai principi di fondo relativi alla contrattazione a termine nel lavoro subordinato, relativi all’esigenza di individuazione delle specifiche ragioni giustificative di ogni singola assunzione. Nella specie, “le ragioni addotte dalla società, meramente riproduttive della clausola contrattuale, seppure in ipotesi provate, non dimostravano la necessaria correlazione, ai fini della legittimità del termine, tra le ragioni medesime e quelle specifiche all’assunzione proprio di quel lavoratore, in quel luogo, in quel tempo, con quelle specifiche mansioni”.

La Corte riteneva illegittimo il ricorso al contratto a termine anche perchè il contratto era stato stipulato quando era stato ormai superato il termine massimo previsto di vigenza dell’accordo aziendale del 25.9.1997, fissato per il 31.1.1998 e poi prorogato al 30.4.1998.

La società ha proposto ricorso con tre motivi. La lavoratrice resiste con controricorso seguito da memoria.

Il ricorso è inammissibile in quanto i motivi di ricorso non si riferiscono alla prima e sufficiente delle esposte rationes decidendi, della sentenza impugnata.

Infatti il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 lamenta che la sentenza impugnata abbia erroneamente affermato che il potere riconosciuto dal cit. art. 23 di introdurre nuove ipotesi di assunzione a termine sarebbe soggetta a pretesi limiti temporali.

Il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, nonchè, in connessione con l’art. 1362 e segg. c.c., degli accordi sindacali 16.1.1998, 27.4.1998, 2.7.1998, 24.5.1999 e 18.1.2001, censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittimamente apposto il termine ai contratti di lavoro e in particolare nella parte in cui ha ritenuto di individuare nella data del 30.4.1998 il preteso termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25.9.1997, sostenendo con vari argomenti che, in sostanza, se si analizza tanto l’accordo del 25.9.1997 quanto la disciplina collettiva posteriore alla sua stipula, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg., è evidente che tali accordi hanno sempre avuto mera natura ricognitiva di una situazione contingente e non fissano alcun termine temporale.

E il terzo motivo integra la medesima censura sotto il profilo del vizio di motivazione.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese, di cui è stata chiesta la distrazione, sono regolate in base al criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del giudizio, liquidate in Euro trenta per esborsi ed Euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge, distratte all’avv. Roberto Rizzo.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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