Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2185 del 01/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/02/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 01/02/2021), n.2185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6383-2018 proposto da:

IREN AMBIENTE SPA, in persona del procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCA GIUFFRE’, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANCARLO CANTELLI;

– ricorrente –

contro

S.L., BA.RI., BE.MA.,

C.G., P.P., B.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

MANCUSO, rappresentati e difesi dall’avvocato CARMELO CALI’;

– controricorrente –

e contro

G.P., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1135/2017 del TRIBUNALE di PARMA, depositata

il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO

PORRECA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

G.P. e altri convenivano in giudizio la Iren Emilia s.p.a. per ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di IVA sulla tariffa di igiene ambientale, del Comune di Parma, di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 c.d. TIA1, e sulla tariffa integrata ambientale, dello stesso Comune, di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238 c.d. TIA2, da considerare non corrispettivi di servizi ma tributi e come tali non assoggettabili alla suddetta imposta indiretta;

il Giudice di pace accoglieva la domanda con pronuncia confermata dal Tribunale che, per quanto qui rileva: in primo luogo, disattendeva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dall’appellante per le fatture emesse tra il 2003 e il 2009, osservando che la successione nei rapporti alle precedenti società che avevano gestito il servizio era in parte incontestata e in altra parte oggetto di confessione stragiudiziale; in secondo luogo, affermava la natura tributaria di entrambe le tariffe, la prima, pacificamente applicata dal Comune dal 2000 fino al 2009, in quanto confermata anche dalla giurisprudenza costituzionale, la seconda perchè, a prescindere dalla differenza nominalistica, in realtà portatrice delle medesime caratteristiche strutturali;

avverso questa decisione ricorre per cassazione la Iren Ambiente s.p.a. formulando tre motivi;

parte ricorrente depositava memoria.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 c.c., e degli art. 2054 e 2054 bis c.c., poichè il tribunale avrebbe errato nel ritener valutare quale confessione della successione nei rapporti inerenti alla TIA una comunicazione di servizio inviata a una generalità indistinta di clienti in cui non erano riscontrabili nè la consapevole volontà confessoria nè l’obiettiva ammissione di un fatto da cui derivasse un proprio pregiudizio con corrispondente vantaggio dei destinatari, elementi infatti neppure spiegati nella sentenza gravata;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, del D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2 quater, convertito dalla L. n. 13 del 2009, della L. n. 133 del 1999, art. 6 e del D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, in uno all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poichè il tribunale avrebbe errato nell’ignorare la pacifica circostanza per cui il Comune di Parma, con provvedimenti del 30 giugno 2010, aveva adottato la TIA2, qualificata espressamente come tariffa civilistica e non tributo dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, convertito dalla L. 30 luglio 2010 n. 122, laddove, al contempo, anche la TIA1 avrebbe dovuto qualificarsi nei medesimi termini posto che, con la soppressione della TARSU, si era determinata una privatizzazione del rapporto in termini complessivamente sinallagmatici, desumibile dalla stessa denominazione tariffaria che la riconduceva a un corrispettivo diverso dai diritti, canoni o contributi che la direttiva n. 2006/112/CE esclude dall’assoggettamento all’imposta armonizzata sul valore aggiunto perchè percepiti da soggetti pubblici, o equiparati, in relazione ad attività o comunque operazioni poste in essere quali pubbliche autorità;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, citato, e dell’art. 113 c.p.c., poichè il tribunale avrebbe errato omettendo di applicare la norma d’interpretazione autentica peraltro senza alcuna motivazione;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Rilevato che:

il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;

il tribunale ha accertato la successione nei rapporti giuridici in parola osservando che:

a) la circostanza per cui Amps Energia s.p.a., fondendosi con altre società, avrebbe costituito Enia s.p.a., non era stata contestata da Iren Emilia s.p.a., poi divenuta Iren Ambiente s.p.a.;

b) la successione di Iren a Enia era stata confessata, nel 2014, stragiudizialmente in una lettera prodotta dagli allora appellati;

il profilo sub a) non è oggetto di censura;

il profilo sub b) inerisce, in primo luogo, a un accertamento in fatto del giudice di merito, insindacabile se non con la diversa censura motivazionale qui non sollevata (Cass., 24/01/2019, n. 2048);

in secondo luogo, l’accertamento in parola non sintetizza un vizio, in diritto, di corretta sussunzione nella fattispecie legale, posto che la natura confessoria deve desumersi dal contenuto della dichiarazione indipendentemente dalla sua finalità (in questo caso indicata come di mera comunicazione di servizio) (Cass., 25/03/2002, n. 4204), così come, parimenti, gli svantaggi e speculari vantaggi determinati dalla stessa non possono essere esclusi solo perchè non esplicitati o non ancora, rispettivamente, determinati ed esercitati, ovvero non integranti l’unica conseguenza della stessa dichiarazione, sicchè, nell’ipotesi, essi ben potevano essere individuati nel riconoscimento del fatto rappresentato dal subentro in parola, cui conseguiva (anche) il diritto dei destinatari di far valere, nei confronti del dichiarante, le pretese a quel subingresso correlate;

quanto al residuo merito cassatorio, il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati parzialmente, e cioè con limitato riferimento alla TIA2;

questa Corte, a Sezioni Unite, ha recentemente ribadito che la tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 come interpretata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, quale convertito, ha natura privatistica, ed è pertanto soggetta ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 3 e art. 4, commi 2 e 3, (Cass., Sez. U., 07/05/2020, n. 8631 e n. 8632);

è stato sottolineato che il legislatore ha legittimamente interpretato la disciplina della c.d. TIA 2, dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 per impedire che tra le possibili varianti di senso si potesse propendere per la natura tributaria della tariffa, come, invece, era avvenuto, in epoca appena precedente, per la c.d. TIA 1;

in questa cornice, è stata rimarcato come un rilievo significativo vada assegnato al “diritto vivente” formatosi a cominciare da Cass. 21/06/2018, n. 16332, coeso nel ribadirne i principi, tutti convergenti nel senso della natura di corrispettivo della c.d. TIA 2 e, dunque, della qualificazione in termini di prelievo non tributario: nomofilachia consolidatasi con numerosissime pronunce quali quelle di Cass. n. 32250 del 2018, Cass., n. 4275 del 2019, Cass., n. 4876 del 2019, Cass., n. 14195 del 2019, Cass., n. 14753 del 2019, Cass., n. 15520 del 2019, Cass., n. 15529 del 2019, Cass., n. 16379 del 2019, Cass., n. 19296 del 2019, Cass., n. 19299 del 2019, Cass., n. 19329 del 201,9, Cass., n. 19545 del 2019, Cass., n. 19544 del 2019, Cass., n. 23669 del 2019;

il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 dunque, a differenza del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 individua il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della c.d. TIA 2 nella produzione di rifiuti, ancorando il debito all’effettiva fruizione del servizio, e, al tempo stesso, diversamente dal passato, assegna natura di “corrispettivo” alla tariffa, parametrando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti;

la natura privatistica della tariffa consente di ritenere il prelievo assoggettabile ad IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3 ciò non trovando ostacolo nella circostanza che il pagamento della c.d. TIA2 (come quello della c.d. TIA 1) sia obbligatorio per legge, atteso che del D.P.R. n. 633 del 1972, il citato art. 3 prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità a IVA ex art. 1 del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte”;

nella prospettiva dell’opzione legislativa è chiaro, dunque, che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile, trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto, altresì, di indici reddituali;

l’approdo del “diritto vivente”, nei termini così delineati – che rendono armonica la configurazione privatistica della tariffa con l’inerenza di essa a un rapporto giuridico che registra la coincidenza tra soggetto tenuto al pagamento e soggetto beneficiario dell’attività di chi eroga il servizio (quale elemento che concorre a configurare quei reciproci obblighi come esplicativi di un rapporto sinallagmatico: cfr. sentenza n. 269 del 2017 del Giudice delle leggi) – ha trovato rispondenza nella più recente giurisprudenza costituzionale, richiamata dalle citate Sezioni Unite;

è stato così rammentato che con la sentenza n. 188 del 2018, la Consulta, nello scrutinare la legittimità di una legge regionale calabra (L.R. n. 11 del 2003) in tema di contributi di bonifica, e affrontando il problema della natura tributaria, o meno, del prelievo stesso, ha rammentato quale sia il perimetro entro il quale il legislatore statale può esercitare la sua discrezionalità in materia di politica fiscale rispetto, segnatamente, alla provvista di un servizio pubblico, essendo consentito prevedere o escludere che la prestazione patrimoniale imposta – “indipendentemente dalla qualificazione” della stessa – sia in “una relazione sinallagmatica con il servizio, seppur non in termini di stretta corrispettività”, così da conformare detta prestazione, rispettivamente, come canone o tariffa ovvero come tributo;

la Corte costituzionale, quindi, ha messo in rilievo come il legislatore “può anche passare da un sistema basato sulla fiscalità di un contributo ad uno fondato sulla corrispettività di una tariffa o di un canone, come è avvenuto nell’ipotesi della tariffa di igiene ambientale, istituita con il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 (attuazione delle direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), inizialmente di natura tributaria (sentenza n. 238 del 2009 e, da ultimo, Corte di cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 10 aprile 2018, n. 8822), poi sostituita dalla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 238 (norme in materia ambientale), prestazione patrimoniale ritenuta di natura non tributaria (Corte di cassazione, Sezione terza civile, ordinanza 21 giugno 2018, n. 16332), al pari della tariffa per il servizio di fognatura e depurazione (sentenza n. 335 del 2008)”;

la menzione, sul punto, della sentenza della Consulta n. 188 del 2018, era stata già colta dalla sentenza n. 1839 del 27 gennaio 2020 delle medesime Sezioni Unite, che, nel riconoscere, in base al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, quale convertito, la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi per oggetto la debenza della tariffa integrata ambientale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 ha inteso evidenziare proprio alla luce della richiamata pronuncia del Giudice costituzionale – come le “scarne ed essenziali indicazioni” dell’art. 14, comma 33, “sottolineano la risolutezza delle formule utilizzate dal legislatore per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema, disegnato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238”, in tale prospettiva venendo in rilievo, quali elementi di riconoscimento della natura propria della tariffa, la produzione dei rifiuti, la qualificazione del prelievo in termini di “corrispettivo” di un servizio (quello della “raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”) e, quindi, la soppressione del tributo disciplinato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49;

queste considerazioni hanno indotto, quindi, a ritenere che la qualificazione della c.d. TIA 2 recata dal D.L. n. 78, art. 14, comma 3, non si sia esaurita in una “operazione meramente nominalistica”;

sono stati quindi esclusi margini per poter apprezzare l’intervento legislativo d’interpretazione autentica come arbitrario e manifestamente lesivo del principio di ragionevolezza, tale da dare consistenza a un dubbio di legittimità costituzionale sulla disposizione anzidetta;

così come è stata riaffermata l’infondatezza di dubbi sulla conformità di un tale approdo alla disciplina Eurounitaria (direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto);

quanto appena osservato e ciò che si sta per aggiungere, induce a escludere una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE;

per un verso, infatti, non esiste un vincolo, per gli Stati membri, a finanziare con una specifica modalità, anche in tesi tributaria, la gestione della raccolta dei rifiuti (Corte giust., 15/07/2009, causa 254/08); per altro verso, la Corte di giustizia ha ribadito (sentenza del 22 febbraio 2018, in causa C182/17) che costituisce una prestazione di servizi fornita a titolo oneroso, soggetta all’imposta sul valore aggiunto, un’attività economica consistente nello svolgimento da parte di una società di determinati compiti pubblici in esecuzione di un contratto concluso tra tale società e, tipicamente, un comune, rimarcando, in questa prospettiva, come la determinazione forfettaria del compenso non spezza di per sè il nesso tra prestazione e corrispettivo (punto n. 37), così come l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40) (cfr. Cass. n. 32250/2018 e Cass. n. 19299/2019, citate);

nella fattispecie in scrutinio risulta accertato dalla sentenza gravata che dal 2000 al 2009 il Comune di Parma ha applicato la TIA1, e, parimenti, è stato per implicito indicato che, successivamente, lo stesso ente locale ha provveduto ad adottare la TIA2;

ciò emerge dal confronto tra pag. 5, terzo capoverso, pag. 7, secondo capoverso, e pag. 8, primo capoverso, in cui il tribunale indica che il Comune dopo dal 2010 aveva mutato regime pur prendendo ancora e legittimamente a riferimento il D.P.R. n. 158 del 1999 valevole anche per la TIA1;

ne deriva che non risulta vero che il Tribunale non abbia rilevato la soluzione di continuità appena ricostruita (diversamente non avendo senso le singole affermazioni evidenziate), mentre la sentenza impugnata risulta errata laddove non distingue tra TIA1 e TIA2 escludendo l’assoggettamento a IVA anche della seconda;

in conclusione, la sentenza va cassata per quanto di ragione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e terzo per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia al tribunale di Parma perchè, in diversa composizione, provveda anche sulle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2021

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