Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21847 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 28/10/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 28/10/2016), n.21847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27815-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGRICOLA TENUTA MATTIONI SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TEMBIEN 15, presso lo

studio dell’avvocato MUSTO FLAVIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato VINCENZO CARRESE giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 193/2011 della COMM.TRIB.REG. di PERUGIA,

depositata l’11/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CARRESE che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

L’agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 193/1/11 dell’11 ottobre 2011 con la quale la commissione tributaria regionale di Perugia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato alla Società Agricola Tenuta Mattioni a r.l. a titolo di decadenza dalle agevolazioni ex L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, comma 1, introdotto dalla L. n. 448 del 2001, art. 51, comma 21, (esenzione dall’imposta di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e di ogni altro genere) da quest’ultima fruite in relazione all’atto di acquisto (ottobre 2005) di un compendio agricolo in territorio montano.

Ha ritenuto la commissione tributaria regionale, in particolare, che il diritto alle agevolazioni non venisse meno per l’intervenuto affitto (2007-08) di una parte modesta della superficie del compendio (circa il 20 %) ad aziende terze di allevamento; anche considerato che tale affitto non escludeva la permanenza, in capo alla società contribuente, della qualità soggettiva di imprenditore agricolo a titolo principale o professionale (IAP), posto che il concetto di professionalità andrebbe inteso non come esclusività, ma come non occasionalità dell’attività agricola esercitata.

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – falsa applicazione della L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, come introdotto dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 21, e della L.R. Umbria n. 4 del 2003, art. 1 (in relazione all’art. 14 preleggi). Ciò perchè, nell’escludere la decadenza dalle agevolazioni, la commissione tributaria regionale non avrebbe considerato che gli atti di affitto a terzi di una non irrilevante porzione del compendio acquistato determinavano la violazione da parte della società agricola acquirente dell’impegno, assunto al momento dell’acquisto, di costituire un compendio unico oggetto di coltivazione o conduzione diretta ed unitaria ininterrotta per almeno 10 anni dall’acquisto; a nulla rilevando che tali atti avessero preservato l’estensione della superficie minima indivisibile così come stabilita (in 4 ha) dalla richiamata L.R. Umbria n. 4 del 2003.

L’interpretazione fornita dalla commissione tributaria regionale si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 14 preleggi, in quanto estensiva di norme di natura eccezionale, perchè agevolative.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto infondato l’avviso di liquidazione per una ragione (la permanenza in capo alla società agricola acquirente della qualità di coltivatore diretto ovvero di imprenditore agricolo a titolo principale) in realtà mai posta dall’amministrazione finanziaria a fondamento di esso, nè dedotta in giudizio.

Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta violazione della L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, come introdotto dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 21, e della L.R. Umbria n. 4 del 2003, art. 1 (in relazione all’art. 14 preleggi); per non avere la commissione tributaria regionale considerato che, mediante la concessione in affitto a terzi della porzione di fondo, era venuto meno il presupposto oggettivo della “conduzione” del compendio unico da parte della società agricola acquirente, con conseguente cessazione del presupposto agevolativo.

p. 2. Prendendo dapprima in esame il secondo motivo di ricorso, se ne rileva l’inaccoglibilità.

Nell’affermare che l’affitto o la locazione di parte minima dei terreni non sarebbe in grado di far perdere all’azienda la “qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale e farle assumere quella di impresa preordinata alla locazione o all’affitto di fondi rustici” (sent. p.p. 8.2 e 8.3), la commissione tributaria regionale non ha indebitamente ampliato il tema decisionale, restando invece nell’ambito degli stretti limiti dell’interpretazione della normativa di riferimento.

Con l’affermazione in esame, in particolare, la commissione di merito ha inteso completare il proprio ragionamento sull’interpretazione della L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, introducendo l’argomento – in puro diritto – secondo cui l’affitto o la locazione di parte dei terreni non comporterebbe di per sè il venir meno della qualifica soggettiva richiesta per l’agevolazione (imprenditore agricolo a titolo principale).

Non si verte però di un’autonoma ratio decidendi estranea ai fatti di causa ed al dibattito processuale, bensì di una pura argomentazione dimostrativa di natura giuridica resa dal giudice di merito ad abundantiam, ovvero quale mero obiter dictum destinato ad ulteriormente rafforzare, nella logica dell’estensore, il convincimento di fondo di spettanza delle agevolazioni contestate; convincimento in realtà basato, come ben emerge dal complesso della motivazione in esame, da diverse e bastevoli considerazioni in ordine alla nozione obiettiva di “compendio unico” ai fini della normativa di riferimento, ed alla sua ravvisabilità pur in presenza di affitto di talune porzioni di esso.

In ciò, pertanto, va individuata la vera ratio decidendi della sentenza impugnata (come, in effetti, l’agenzia delle entrate mostra di aver perfettamente colto nella formulazione del primo e del terzo motivo di ricorso per cassazione).

Il motivo qui in esame risulta dunque finanche inammissibile, là dove mostra di censurare – nella prospettiva dell’error in procedendo, quanto a violazione dell’art. 112 c.p.c. – un argomento prettamente dissertativo ed ausiliario nella completa ricostruzione, da parte del giudice di merito, di tutti indistintamente gli elementi costitutivi della fattispecie giuridica di agevolazione dedotta in giudizio; senza con ciò assumere effetto decisorio di domande o eccezioni non proposte dalle parti.

p. 3.1 Il primo ed il terzo motivo di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria, sono invece parzialmente accoglibili; nei termini che seguono.

In base alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis (Disposizioni per favorire le aziende agricole montane), come introdotto dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 21: “1. Nei territori delle comunità montane, il trasferimento a qualsiasi titolo di terreni agricoli a coltivatori diretti e ad imprenditori agricoli a titolo principale che si impegnano a costituire un compendio unico e a coltivarlo o a condurlo per un periodo di almeno dieci anni dal trasferimento è esente da imposta di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e di ogni altro genere. I terreni e le relative pertinenze, compresi i fabbricati, costituiti in compendio unico ed entro i limiti della superficie minima indivisibile di cui al comma 6, sono considerati unità indivisibili per quindici anni dal momento dell’acquisto e per questi anni non possono essere frazionati per effetto di trasferimenti a causa di morte o per atti tra vivi. In caso di successione i compendi devono essere compresi per intero nella porzione di uno dei coeredi o nelle porzioni di più coeredi che ne richiedano congiuntamente l’attribuzione. (…)”.

Il comma 6 dell’articolo in oggetto stabilisce che: “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano regolano con proprie leggi l’istituzione e la conservazione delle aziende montane, determinando, in particolare, l’estensione della superficie minima indivisibile”.

In ottemperanza a quest’ultimo disposto, la Regione Umbria è intervenuta a fornire la definizione di “superficie minima indivisibile” con l’articolo unico della L.R. n. 4 del 2003, secondo cui: “Al fine di fruire dei benefici e delle agevolazioni previsti dalla L. 31 gennaio 1994, n. 97, art. 5 bis, come aggiunto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 52, comma 21, le aziende agricole devono essere costituite in un compendio unico della superficie minima indivisibile di quattro ettari”.

Sul piano interpretativo soccorre anche l’art. 7 (Conservazione dell’integrità fondiaria) del D.Lgs. n. 99 del 2004, che statuisce: “1. Dopo il D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 5, è inserito il seguente: “Art. 5-bis (Conservazione dell’integrità aziendale).

1. Ove non diversamente disposto dalle leggi regionali, per compendio unico si intende l’estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività determinato dai piani regionali di sviluppo rurale per l’erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti (CE) nn. 1257 e 1260/1999, e successive modificazioni. 2. Al trasferimento a qualsiasi titolo di terreni agricoli a coloro che si impegnino a costituire un compendio unico e a coltivarlo o a condurlo in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale per un periodo di almeno dieci anni dal trasferimento si applicano le disposizioni di cui alla L. 31 gennaio 1994, n. 97, art. 5-bis, commi 1 e 2. Gli onorari notarili per gli atti suddetti sono ridotti ad un sesto”.

Sulla nozione generale di “compendio unico” di cui al testè riportato D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 7, è intervenuta anche questa corte di legittimità (Cass. 15562/14) che, nell’evidenziarne l’autonomia rispetto a quella di “minima unità culturale” di cui all’art. 846 c.c. (contestualmente abrogato) ha osservato come quest’ultima facesse riferimento alle necessità della famiglia coltivatrice diretta, ed alla conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria, “mentre il “compendio unico” ha inteso dare rilievo all’aspetto produttivo dell’azienda agricola, stabilendo condizioni per il conseguimento di agevolazioni fiscali allo scopo di garantire un minimo di redditività”.

Per quanto concerne il compendio unico in ambito montano, soccorre parimenti una nozione di superficie minima tutelata dal legislatore per la sua ritenuta idoneità a garantire, da un lato, la razionalizzazione ed ottimizzazione dello sfruttamento agricolo del territorio (art. 44 Cost., u.c.) e, dall’altro, l’obiettivo di una apprezzabile concorrenzialità e redditività aziendale: quel “livello minimo di redditività” che, ex D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 7 cit., definisce il compendio unico.

Ed è per conseguire questi obiettivi che il legislatore ha poi introdotto un vincolo di natura temporale al compendio unico così costituito, imponendone l’indivisibilità ed infrazionabilità – mortis causa o per atto tra vivi – per 15 anni dall’acquisto.

Va però osservato che, in base alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, il vincolo di indivisibilità non riguarda il “compendio unico” considerato nella sua interezza, cioè così come risultante dall’atto di acquisto, bensì il compendio unico “entro i limiti della superficie minima indivisibile di cui al comma 6”; dunque, nei limiti della superficie stabilita dal legislatore regionale.

Poichè il vincolo di indivisibilità è, come detto, funzionale alla conservazione di una superficie minima di sfruttamento territoriale e di produttività aziendale, consegue che la sua violazione, in tanto può determinare la decadenza dalla agevolazione fiscale, in quanto produca la formazione di superfici agricole inferiori a quelle – minime – volute dal legislatore (statale e regionale).

Va in altri termini ritenuto che l’interpretazione della prima parte dell’art. 5 bis in esame (impegno del contribuente alla coltivazione per almeno 10 anni del compendio unico) non possa non porsi in relazione con quanto disposto nella seconda parte della medesima disposizione (indivisibilità oltre il limite della superficie minima stabilita per legge regionale), stante la natura e lo scopo dell’agevolazione.

Anche l’impegno di coltivazione-conduzione va dunque rapportato all’esigenza (coincidente con la ratio agevolatrice) di preservare una superficie minima di sfruttamento, così come anche evincibile dalla normativa regionale di riferimento su riportata, secondo cui condizione necessaria e sufficiente per fruire dei benefici delle agevolazioni previste dall’art. 5 bis in questione è che le aziende agricole siano costituite “in un compendio unico della superficie minima indivisibile di quattro ettari”.

Va in definitiva affermato che la decadenza dall’agevolazione di cui alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis per violazione dell’impegno assunto dall’acquirente al momento dell’acquisto, non discende sempre ed in ogni caso dalla cessione a terzi, nel decennio, di una porzione del compendio unico acquistato in regime agevolato. Occorre infatti distinguere l’ipotesi in cui la dismissione a terzi di parte del compendio unico abbia determinato la formazione, in capo all’acquirente, di porzione agricola inferiore alla superficie minima indivisibile stabilita con legge regionale, nel qual caso l’agevolazione è esclusa in toto; da quella in cui tale dismissione non abbia determinato la formazione di porzione inferiore alla superficie minima indivisibile, nel qual caso l’agevolazione continua a spettare in rapporto alla sola porzione non concessa dall’acquirente a terzi, ed oggetto di coltivazione diretta da parte del medesimo.

p. 3.2 Quanto fin qua osservato vale a fornire un’interpretazione complessiva ed unitaria, in chiave funzionale e finalistica, della norma agevolativa di cui alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis; così da effettivamente escludere – in via di interpretazione diretta, e non analogica nè estensiva della norma agevolativa – la fondatezza dell’avviso di liquidazione opposto là dove ha inteso revocare del tutto le agevolazioni fruite.

Il giudice di merito – con affermazioni non censurate – ha appurato che l’acquisto ha avuto ad oggetto un compendio (800 ha) di molto superiore alla superficie minima indivisibile (4 ha) stabilita dalla legge regionale Umbria 4/03; e, inoltre, che l’affitto ad aziende terze di allevamento ha riguardato una porzione pari a circa il 15-20% della superficie totale. Parimenti incontestato è, su tale presupposto, che la concessione in affitto a terzi di una porzione del compendio acquistato con l’agevolazione non abbia originato la creazione di superfici coltivate inferiori a quelle minime di legge. Di ciò si ha riprova nel fatto che la stessa revoca delle agevolazioni non è dipesa da questo aspetto, bensì – come più volte esplicitato dall’agenzia delle entrate – dal fatto che “l’affitto a terzi di una porzione (…) del compendio unico, implicando la cessazione, anche solo parziale, della conduzione di esso, integra una violazione all’impegno assunto con riferimento all’intero compendio nella dichiarazione resa al momento della stipula dell’atto di acquisto” (ric.pag.17).

Ne segue la cassazione, in relazione ai motivi accolti, della sentenza impugnata; con rinvio ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Perugia la quale, in applicazione del suddetto principio di diritto, rideterminerà l’importo dovuto dalla società contribuente sulla base dell’avviso di liquidazione opposto, nella considerazione del rapporto tra porzione ceduta a terzi, e porzione oggetto di coltivazione diretta da parte della medesima.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

Cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della commissione tributaria regionale Umbria, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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