Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21847 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 20/10/2011), n.21847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15249-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS) in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale ad litem a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che

la rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3211/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

22.4.08, depositata il 04/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis.

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da M. S. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta alla declaratoria di illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti, stipulati il primo per il periodo dal 11.3.2000 al 30.6.2000 con riferimento alla causale “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi in attesa della progressivo completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”; il secondo per il periodo dall’11.3.2002 al 30.4.2002 e il terzo dal 2.1.2002 al 31.3.2003.

A seguito di appello della lavoratrice, la Corte d’Appello di Roma accoglieva l’impugnazione, dichiarando la nullità dei termini e quindi la sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato dal 1.3.2000 e riconoscendo il diritto della lavoratrice a un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni relative al periodo dal 15.6,2003 fino alla sentenza.

La Corte di merito riteneva determinante la nullità del termine apposto al primo contratto. Perveniva a tale conclusione sulla base di un’interpretazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 difforme da quella affermatasi sulla base degli orientamenti in materia di questa Corte. Precisamente, ha fatto applicazione del principio secondo cui “non è possibile ricavare dalla mancata esplicitazione di criteri e direttive da parte della L. n. 56 del 1987, art. 23 una delega in favore delle OO.SS. tanto ampia (in bianco) da lasciare le OO.SS. libere di individuare ipotesi nuove di casi in cui è legittima l’apposizione del termine fuori da ogni riferibilità oggettiva, concreta ed effettiva e perciò verificabile, alle esigenze organizzative del datore di lavoro”. E in punto di fatto ha ritenuto che nel caso in esame la clausola appositiva del termine era priva della necessaria specifica indicazione delle ragioni che ne giustificassero l’apposizione.

La società ha proposto ricorso con tre motivi. La lavoratrice resiste con controricorso e ha poi depositato memoria.

Il ricorso appare inammissibile per la mancanza di correlazione dei motivi di ricorso con l’effettiva ratio deciderteli della sentenza impugnata.

Infatti, il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 lamenta che la sentenza impugnata abbia erroneamente affermato che il potere riconosciuto dal cit. art. 23 di introdurre nuove ipotesi di assunzione a termine sarebbe soggetta a pretesi limiti temporali.

Il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, nonchè, in connessione con l’art. 1362 e segg. c.c., degli accordi sindacali 16.1.1998, 27.4.1998, 2.7.1998, 24.5.1999 e 18.1.2001, censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittimamente apposto il termine ai contratti di lavoro e in particolare nella parte in cui ha ritenuto di individuare nella data del 30.4.1998 il preteso termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25.9.1997, sostenendo con vari argomenti che, in sostanza, se si analizza tanto l’accordo del 25.9.1997 quanto la disciplina collettiva posteriore alla sua stipula, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., è evidente che tali accordi hanno sempre avuto mera natura ricognitiva di una situazione contingente e non fissano alcun termine temporale.

Il terzo motivo integra la medesima censura sotto il profilo del vizio di motivazione.

Si tratta quindi motivi incentrati sulla questione, non trattata dalla sentenza impugnata, dei limiti temporali di applicabilità dell’accordo collettivo prevedente la causale di ricorso al contratto a termine a cui si è fatto riferimento nella specie.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese, di cui è stata chiesta la distrazione, sono regolate in base al criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del giudizio, liquidate in Euro trenta per esborsi ed Euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge, distratte all’avv. Roberto Rizzo.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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