Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21842 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 20/09/2017, (ud. 21/06/2017, dep.20/09/2017),  n. 21842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. di VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30448/2011 r.g. proposto da:

INVITALIA – AGENZIA NAZIONALE PER L’ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI E

LO SVILUPPO D’IMPRESA s.p.a., cod. fisc. (OMISSIS), in persona

dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore,

dott. A.D., con sede in Roma, alla via Calabria n. 46,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine

del ricorso, dall’Avvocato Pietro Andrea Guiso, unitamente al quale

elettivamente domicilia in Roma, alla piazza della Libertà n. 10,

presso lo studio dell’Avvocato Marco Andrea Morielli.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in Liquidazione, in persona curatore,

P.G.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CATANIA, depositato in data

08/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La Società per l’Imprenditoria Giovanile s.p.a. (poi incorporata in Sviluppo Italia s.p.a., oggi divenuta Invitalia – Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa s.p.a., e, d’ora in avanti, indicata, per brevità, esclusivamente come Invitalia) aveva concesso alla Wire Net International Technology s.r.l., poi incorporata in (OMISSIS) s.r.l., successivamente fallita, i seguenti benefici economici, giusta delibera del C.d.A. in data 30.6.1999: 1) mutuo agevolato per L. 2.145.124.000, da restituire in dieci anni con rate annuali posticipate; 2) contributo in conto capitale per L. 2.494.331.000; 3) contributo di gestione complessivamente pari a L. 1.670.000.000.

Atteso, però, il mancato pagamento di n. 3 rate del mutuo, con delibera del 12.3.2008, tutte le suddette agevolazioni erano state revocate (con conseguente obbligo di restituzione della somma mutuata e dei contributi in conto capitale e di gestione con i relativi interessi).

Invitalia aveva chiesto, quindi, ai sensi dell’art. 101 L. Fall., di essere ammessa al passivo del fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, con il privilegio speciale di cui al D.L.C.P.S. n. 1075 del 1947, art. 3, per il credito: a) di complessivi Euro 1.235.837,03, relativo alle somme dovute a titolo di mutuo agevolato, comprensive di interessi calcolati al tasso convenzionale del 4,70%; b) di complessivi Euro 1.817.020,74, per contributi in conto capitale, comprensivi di interessi calcolati al tasso convenzionale del 4,70%; c) di complessivi Euro 1.149.809,33, per contributi in conto gestione comprensivi di interessi calcolati al tasso convenzionale del 4,70%; d) Euro 2.057,00, oltre spese generali, IVA e CPA, liquidate con il decreto ingiuntivo n. 2740/08, oltre Euro 408,00 per spese non imponibili.

Il 15 febbraio 2011, il giudice delegato dichiarava esecutivo lo stato passivo ed ammetteva al privilegio speciale il solo credito relativo al mutuo agevolato mentre, con riferimento ai residui crediti, ammetteva al chirografo per la sorte capitale del contributo in conto capitale (Euro 1.288.214,45) e del contributo di gestione (Euro 862.483,02). Non ammetteva, invece, il credito per interessi, “perchè non si rinviene in contratto la clausola che prevede il tasso dichiarato in domanda”, nè quello per spese processuali liquidate nel menzionato decreto ingiuntivo, atteso che lo stesso era stato opposto dalla società in bonis e non era divenuto definitivamente esecutivo prima del fallimento.

2. L’opposizione ex art. 98 L. Fall., che Invitalia aveva proposto onde ottenere il riconoscimento del rango privilegiato anche per i crediti derivanti dalla restituzione dei contributi in conto capitale e di gestione, – assumendo che: 1) nell’atto di consenso alla iscrizione del privilegio speciale 21.6.2001, era indicato che “l’iscrizione del privilegio ex D.L.C.P.S. n. 1075 del 1947, art. 3…. viene data a garanzia del finanziamento, capitale ed interessi, anche di mora, nonchè spese ed accessori a favore di Sviluppo Italia s.p.a.”, e nella premessa dell’atto in questione è riportato che la società poi fallita si era obbligata a prestare garanzia reale mediante iscrizione sui beni realizzati con i finanziamenti ottenuti in forza del contratto di finanziamento autenticato dal notaio P.V. in data 30.6.1999, “al fine di garantire il puntuale adempimento delle obbligazioni tutte derivanti dall’indicato atto”, da ciò derivandone che il privilegio sarebbe stato concesso anche a garanzia dei crediti derivanti dalla revoca delle agevolazioni, non soltanto per la restituzione delle somme oggetto del mutuo agevolato; 2) comunque, il D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, attribuiva anche ai crediti relativi alla restituzione dei contributi in conto capitale e di gestione il rango di crediti privilegiati – e degli interessi su tali somme al 4,70% o, in subordine, nella misura legale, era stata accolta dall’adito Tribunale di Catania, con decreto depositato l’8.11.2011, limitatamente a quest’ultima, gradata richiesta.

Infatti, in relazione all’invocato privilegiato per il credito da restituzione delle somme concesse in conto capitale e di gestione, era stato osservato come nell’Atto di consenso alla iscrizione di privilegio speciale in data 21.6.2001, il consenso all’iscrizione del privilegio fosse espressamente riferito (e limitato) al credito derivante dal mutuo.

Con riferimento, invece, al disposto del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, evidenziatasi la differenza terminologica che si registrava tra i suoi primi quattro commi (riferiti, genericamente, alla revoca degli “interventi”, per tali dovendosi considerare tutti quelli attribuiti nelle forme elencate nell’art. 7 del medesimo decreto, comprensivi, quindi, sia dei contributi che dei finanziamenti, ed alle relative conseguenze) ed il quinto (che limita testualmente il privilegio dallo stesso accordato solo ai “crediti nascenti dai finanziamenti erogati dal presente D.Lgs.”), riteneva quel tribunale che “…il chiaro ed inequivocabile tenore letterale della norma, valutato in uno al principio di tassatività dei privilegi (i quali, come è noto, possono essere accordati solo nei casi riconosciuti dalla legge e non estesi analogicamente), importano, obbligatoriamente, la limitazione del privilegio disciplinato dal D.Lgs. citato, art. 9, comma 5 solo ai crediti nascenti da finanziamento (mutuo) e l’esclusione dello stesso per i diversi crediti nascenti da contributi (sia in conto capitale che in conto gestione), nonchè per ogni diversa forma di intervento di sostegno pubblico alle imprese…”, e che “…all’interpretazione letterale della norma si aggiunge, ad opinione del collegio, anche quella logico-sistematica che può ulteriormente contribuire a giustificare la scelta del legislatore e confermare la correttezza del provvedimento adottato dal g.d. in sede di verifica. Va, invero, evidenziato come, nella fase fisiologica ed ordinaria dell’intervento di sostegno pubblico alle imprese disciplinato dal D.Lgs. n. 123 del 1998, al contributo in conto capitale ed a quello di gestione non si associa, a differenza di quanto avviene per il “finanziamento” (id est, per il mutuo), alcun obbligo restitutorio, trattandosi di intervento “a fondo perduto” erogato per le finalità previste dalla normativa di riferimento. Ne deriva che, nel primo caso, non sussiste, proprio in dipendenza della mancanza di obbligo restitutorio, l’esigenza di accordare e riconoscere all’ente erogatore alcuna forma di privilegio..”.

3. Avverso tale decisione la Invitalia ha proposto tempestivo ricorso, affidato a due motivi, mentre la curatela fallimentare della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione non ha svolto difese.

4. Con il primo motivo, rubricato “Ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5,….”, si assume, in estrema sintesi, che, come già sostenutosi innanzi al Tribunale di Catania, la locuzione “finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo”, contenuta nel D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, ha inteso riferire il termine “finanziamenti” a tutte le somme erogate, nessuna esclusa, in favore del soggetto ammesso ai benefici di legge, ivi compresi, quindi, i contributi in conto capitale ed in conto gestione, oltrechè, ovviamente i mutui, e che a tale logica conclusione si arriva considerando e rileggendo il tenore letterale delle norme in questione, rapportandole alle finalità proprie della legge in materia di finanziamenti pubblici, anche in considerazione della disciplina contrattuale intervenuta tra le parti.

5. Con il secondo motivo, rubricato “Ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare la mancata determinazione del tasso di interesse di mora al 4,70% (determinato con decreto del 10 maggio 1999 (pubblicato nella G.U.R.I. del 14.05.1999, n. 111) ex D.P.R. n. 306 del 1998, art. 9, D.P.R. n. 218 del 1978, art. 64 ed D.P.R. n. 902 del 1976, art. 20, “Disciplina del credito agevolato al settore industriale”)”, si censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha respinto la domanda di ammissione al passivo del fallimento del credito per gli interessi di mora, al tasso del 4,70%, anche per i contributi in conto gestione ed in conto capitale (come, invece, riconosciuto per la restituzione della somma di cui al contratto di mutuo agevolato).

Si assume che, sulla base della previsione dell’art. 5 del contratto di finanziamento del 30.06.1999 (“in tutti i casi di decadenza delle agevolazioni concesse, la società si obbliga a restituire alla s.p.a. tutte, le somme da essa erogate, con i relativi interessi, da calcolarsi in misura pari al prime rate praticato dai maggiori istituti di credito”), il giudice a quo, sul corretto presupposto che il prime rate non fosse più determinato al momento della revoca, ha ritenuto che “non sussista alcuna base negoziale o normativa che consenta di applicare il saggio di interesse del 4,70% indicato dall’opponente (riferibile piuttosto, fondatamente, al credito derivante dalla revoca del mutuo agevolato): ne consegue, secondo il collegio, che certamente gli interessi non possono essere riconosciuti nella misura richiesta e vanno piuttosto ammessi al tasso legale”. Una siffatta conclusione sarebbe, secondo la ricorrente, illogica e carente anche sotto il profilo della motivazione, e comunque omette la valutazione circa un fatto decisivo della controversia, in particolare l’esistenza di risultanze istruttorie – documentali – da cui si ricaverebbe la base negoziale del tasso di interesse applicato ed oggetto di contestazione.

Invero, il suddetto contratto di finanziamento, proprio per le sue peculiari caratteristiche, date da una disciplina generale e sommaria in cui vengono indicati solo gli elementi caratterizzanti le agevolazioni erogate alla società beneficiata e gli estremi essenziali del rapporto obbligatorio, era stato integrato con un regolamento contrattuale, specifico e dettagliato, attraverso cui erano state prescritte tutte le condizioni, gli impegni ed obblighi contrattuali cui le parti avrebbero dovuto attenersi per l’esecuzione del contratto medesimo. Tale atto integrativo era costituito dal “CAPITOLATO” dei patti e delle condizioni, che formavano parte integrante e sostanziale dei contratti di concessione delle agevolazioni, ai sensi del D.L. n. 26 del 1995, convertito dalla L. n. 95 del 1995, in cui era stato previsto e disciplinato, tra le altre cose, non solo il tasso degli interessi moratori di cui all’art. 8.4 – Morosità in materia di “mutuo agevolato” (calcolati al tasso di riferimento preso a base per il mutuo, al lordo della riduzione agevolata) – ma anche – e coerentemente – all’art. 3, Imputazione dei pagamenti, si era previsto che “nell’ipotesi di ritardato pagamento di quanto dovuto alla s.p.a., a qualsiasi titolo, saranno dovuti alla s.p.a. medesima gli interessi di mora, nella misura del tasso di riferimento preso a base per le operazioni di mutuo”, e cioè il 4,70%: con tale specifica clausola contrattuale le parti avevano, dunque, volontariamente convenuto la disciplina degli interessi di mora, nell’ipotesi di ritardato pagamento di per quanto dovuto e ciò a qualsiasi titolo. Il tribunale etneo, quindi, aveva omesso di esaminare e valutare l’integrale contenuto di un documento prodotto in giudizio, non considerando, appunto, l’art. 3 del Capitolato (allegato “B”) al contratto di finanziamento del 30.06.1999, e tale omissione riguardava, senza alcun dubbio, un fatto decisivo acquisito alla causa attraverso il citato documento ed oggetto del presente motivo di ricorso, e ciò in quanto l’esame di tale fatto rappresentato dalla clausola in questione avrebbe fatto ritenere certamente applicabile, anche per il contributi in conto capitale ed in conto gestione. gli interessi moratori allo stesso tasso di riferimento preso a base per il contratto di mutuo.

6. Il primo motivo appare meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

Giova premettere, che il D.Lgs. n. 123 del 1998 individua i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive effettuati dalle amministrazioni pubbliche, interventi che, secondo l’art. 7, possono consistere “in una delle seguenti forme: credito d’imposta, bonus fiscale, secondo i criteri e le procedure previsti dal D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1995, n. 341, concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato”.

Il successivo art. 9 disciplina la revoca dei suddetti benefici, la misura delle restituzioni in conseguenza della revoca e prevede le ipotesi in cui opera il privilegio. In particolare, la revoca dei benefici è prevista: a) in caso di “assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili” (comma 1); b) nel caso in cui “i beni acquistati con l’intervento siano alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all’intervento” (comma 3); c) nel caso di “azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria” (comma 4).

Gli interventi pubblici di sostegno all’economia si realizzano, dunque, attraverso un procedimento complesso, in cui la fase di natura amministrativa di selezione dei beneficiari in vista della realizzazione di interessi pubblici è seguita da un negozio privatistico di finanziamento o di garanzia, nella cui struttura causale si inserisce la destinazione delle somme ad uno specifico scopo. La deviazione dallo scopo determina la violazione della causa del contratto di finanziamento o di garanzia e costituisce presupposto alla revoca del beneficio.

E’ in tale contesto che si colloca il privilegio di cui all’art. 9, comma 5, secondo il quale “per le restituzioni di cui al comma 4, i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’art. 2751-bis c.c. e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi. Al recupero dei crediti si provvede con l’iscrizione al ruolo, ai sensi del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 67, comma 2, delle somme oggetto di restituzione, nonchè delle somme a titolo di rivalutazione e interessi e delle relative sanzioni”.

6.1. Il Tribunale di Catania, nel decreto oggi impugnato, evidenziata la differenza terminologica che si registrava, nel riportato art. 9, tra i suoi primi quattro commi (riferiti, genericamente, alla revoca degli “interventi”, per tali dovendosi considerare tutti quelli attribuiti nelle forme elencate nell’art. 7 del medesimo decreto, comprensivi, quindi, sia dei contributi che dei finanziamenti, ed alle relative conseguenze) ed il quinto (che limita testualmente il privilegio dallo stesso accordato solo ai “crediti nascenti dai finanziamenti erogati dal presente decreto legislativo”), ha ritenuto che “…il chiaro ed inequivocabile tenore letterale della norma, valutato in uno al principio di tassatività dei privilegi (i quali, come è noto, possono essere accordati solo nei casi riconosciuti dalla legge e non estesi analogicamente), importano, obbligatoriamente, la limitazione del privilegio disciplinato dal D.Lgs., art. 9, comma 5 solo ai crediti nascenti da finanziamento (mutuo) e l’esclusione dello stesso per i diversi crediti nascenti da contributi (sia in conto capitale che in conto gestione), nonchè per ogni diversa forma di intervento di sostegno pubblico alle imprese…”.

Ha poi sostenuto che “…all’interpretazione letterale della norma, si aggiunge,…, anche quella logico-sistematica che può ulteriormente contribuire a giustificare la scelta del legislatore…

Va, invero, evidenziato come, nella fase fisiologica ed ordinaria dell’intervento di sostegno pubblico alle imprese disciplinato dal D.Lgs. n. 123 del 1998, al contributo in conto capitale ed a quello di gestione non si associa, a differenza di quanto avviene per il “finanziamento” (id est, per il mutuo), alcun obbligo restitutorio, trattandosi di intervento “a fondo perduto” erogato per le finalità previste dalla normativa di riferimento. Ne deriva che, nel primo caso, non sussiste, proprio in dipendenza della mancanza di obbligo restitutorio, l’esigenza di accordare e riconoscere all’ente erogatore alcuna forma di privilegio..”.

6.2. Tali conclusioni, però, non appaiono condivisibili.

Deve immediatamente evidenziarsi che non risulta esserci stata contestazione tra le parti circa il fatto che tutte le erogazioni di cui, tramite la invocata ammissione al passivo della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, l’odierna ricorrente ha sollecitato la restituzione siano state effettuate ai sensi del D.Lgs. n. 123 del 1998, condizione, questa, necessaria per l’applicabilità del privilegio de quo (cfr. Cass. n. 3335 del 2012), dovendo, piuttosto, stabilirsi se quest’ultimo sia riferibile – come ritenuto nel provvedimento impugnato – solo ai crediti nascenti da finanziamento (mutuo), ovvero, come preteso da Invitalia s.p.a., anche ai diversi crediti nascenti da contributi (sia in conto capitale che in conto gestione), nonchè per ogni diversa forma di intervento di sostegno pubblico alle imprese.

A tale proposito, va ricordato che l’art. 9, comma 5, del suddetto decreto stabilisce che “per le restituzioni di cui al comma 4 – vale a dire quelle conseguenti alla revoca degli interventi di sostegno ai sensi dei commi 1 e 3 dello stesso articolo – i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente D.Lgs. sono preferiti ad ogni altro titolo di prelazione”.

La norma, quindi, rimanda, ai fini dell’applicazione del privilegio generale, ai “crediti nascenti dai finanziamenti” di cui al comma 4 (che disciplina, come si è detto, la revoca di tutte le somme erogate), facendo, pertanto, inevitabilmente riferimento, con l’utilizzo del sostantivo “finanziamento” al plurale, a più forme o tipologie appunto di finanziamenti, cioè quelle descritte all’appena citato comma 4, così includendo, genericamente, tutti i finanziamenti erogati, e poi revocati, alla società.

Del resto, come condivisibilmente osservato dalla ricorrente, una siffatta conclusione sembra maggiormente coerente con una valutazione di carattere meno formale, ancorata, cioè, soprattutto alle finalità proprie dei finanziamenti ed alle necessarie garanzie che lo Stato introduce per la tutela delle proprie ragioni di credito, anche al fine di consentire alle risorse pubbliche di trovare adeguata protezione per poter garantire una continuità ai finanziamenti pubblici e, quindi, una più sicura e certa soddisfazione.

Se, invero, in una prospettiva di definizione fisiologica del rapporto contrattuale con l’impresa beneficiata dagli interventi pubblici, l’interesse dello Stato viene raggiunto con il mutuo agevolato che garantisce, proprio in una tale condizione, anche la restituzione di somme concesse (con relativi interessi agevolati) per il loro successivo e quindi dinamico reimpiego per lo stimolo ed il sostentamento del tessuto economico e produttivo, va detto che anche attraverso la contribuzione a fondo perduto – attraverso i contributi in conto capitale ed in conto gestione – lo Stato, con l’impiego di risorse pubbliche, raggiunge la medesima finalità e cioè l’aiuto finanziario alle nuove imprese in funzione del loro sviluppo e del tessuto economico-produttivo.

Diversamente, ove gli interventi pubblici erogati con le forme del “finanziamento agevolato” o “mutuo agevolato” ed a fondo perduto (“contributi in conto capitale” ed in “conto gestione”) subiscano una frustrazione per l’epilogo patologico (come accaduto nella specie) del rapporto contrattuale, che spesso trascina dietro di sè l’esistenza stessa della società beneficiata, la tutela delle ragioni di credito dello Stato diventano ancor più globali, essenziali e pressanti proprio per l’assenza di quel minimo risultato sperato con l’erogazione delle risorse pubbliche e cioè la nascita e lo sviluppo dell’impresa sovvenzionata: in altri termini, anche alle somme erogate come contributo a fondo perduto, che in una situazione normale avrebbero trovato – benchè con natura di elargizioni a titolo gratuito – una loro satisfattiva finalità pubblica, nella differente ed opposta situazione di perdita di questa medesima finalità, non potrebbe negarsi una anche maggiore – tutela, non riscontrandosi alcuna ragione logica per cui, in questa prospettiva di dissoluzione del rapporto obbligatorio (con la richiesta di revoca delle agevolazione e di restituzione delle somme elargite) e della conseguente – ed infruttuosa – perdita finanziaria da parte dello Stato, senza appunto il raggiungimento delle suddette finalità proprie degli interventi di sostegno, gli importi erogati a fondo perduto non debbano trovare – per il perseguimento dell’interesse pubblico al reimpiego delle risorse a disposizione adeguata protezione.

La descritta conclusione, peraltro, risulta in piena armonia con il comma 6 dell’articolo in esame, laddove sancisce che “le somme restituite ai sensi del comma 4 (tutte) sono versate all’entrata dello Stato per incrementare la disponibilità di cui all’art. 10, comma 2”, dovendosi, altresì osservare che, sebbene con riferimento ai contributi in conto interessi, essa ha già ricevuto conforto da parte della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. n. 17111/2015, così massimata: “Il D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, in materia razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, riconosce il privilegio solo ai crediti dello Stato per la restituzione delle erogazioni pubbliche, sicchè, ove il contributo sia stato erogato in conto interessi sul finanziamento agevolato, il privilegio non si estende al mutuo concesso dalla banca all’impresa”).

Da ultimo, va evidenziato che non sembra essere decisivo, in contrario, l’assunto, contenuto nel decreto impugnato, per cui “…nell’Atto di consenso alla iscrizione di privilegio speciale in data 21.06.2001, il consenso all’iscrizione del privilegio sia espressamente riferito (e limitato) al credito derivante dal mutuo…” atteso che la fonte del privilegio generale sui crediti erogati, di cui qui si discute, ha natura normativa e non contrattuale.

7. Quanto al secondo motivo, poi, che, come si ricorderà, censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha respinto la domanda di ammissione al passivo del fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione del credito per gli interessi di mora, al tasso del 4,70%, anche per i contributi in conto gestione ed in conto capitale (come, invece, riconosciuto per la restituzione della somma di cui al contratto di mutuo agevolato), lo stesso va dichiarato inammissibile.

La ricorrente lamenta che, erroneamente, il giudice a quo abbia ritenuto insussistente “…alcuna base negoziale o normativa che consenta di applicare il saggio di interesse del 4,70% indicato dall’opponente (riferibile piuttosto, fondatamente, al credito derivante dalla revoca del mutuo agevolato)…”, facendone conseguire il riconoscimento di quegli interessi al tasso legale, ed assume che tale conclusione non abbia tenuto conto del fatto che il già menzionato mutuo agevolato concesso alla società poi fallita era stato integrato con un regolamento contrattuale, specifico e dettagliato, attraverso cui erano state prescritte tutte le condizioni, gli impegni ed obblighi contrattuali cui le parti avrebbero dovuto attenersi per l’esecuzione del contratto medesimo.

Tale atto integrativo era costituito dal “CAPITOLATO” dei patti e delle condizioni, che formavano parte integrante e sostanziale dei contratti di concessione delle agevolazioni, ai sensi del D.L. n. 26 del 1995, convertito dalla L. n. 95 del 1995, in cui era stato previsto e disciplinato, tra le altre cose, non solo il tasso degli interessi moratori di cui all’art. 8.4 – Morosità in materia di “mutuo agevolato” (calcolati al tasso di riferimento preso a base per il mutuo, al lordo della riduzione agevolata) – ma anche – e coerentemente – all’art. 3, Imputazione dei pagamenti, si era previsto che “nell’ipotesi di ritardato pagamento di quanto dovuto alla s.p.a., a qualsiasi titolo, saranno dovuti alla s.p.a. medesima gli interessi di mora, nella misura del tasso di riferimento preso a base per le operazioni di mutuo”, e cioè il 4,70%: con tale specifica clausola contrattuale le parti avevano, dunque, volontariamente convenuto la disciplina degli interessi di mora, nell’ipotesi di ritardato pagamento di per quanto dovuto e ciò a qualsiasi titolo.

Il motivo è inammissibile perchè affetto dal vizio della novità, non riscontrandosi nel decreto impugnato alcun riferimento alla circostanza che l’odierna ricorrente avesse posto a base della propria richiesta degli interessi de quibus il menzionato “CAPITOLATO”.

Secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella decisione impugnata, la parte ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex artis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr., ex aliis, Cass. 13798 del 2017; Cass., S.U., n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004).

Nella specie, invece, il ricorso della Invitalia non reca alcunchè in ordine all’essere stata dedotta la questione dell’applicabilità del tasso di interessi come specificamente desumibili dal citato “CAPITOLATO” prima innanzi al giudice delegato (cfr. pag. 3-5) e poi in sede di opposizione ex art. 98 L. Fall. (cfr. pag. 9-10).

8. In conclusione, il ricorso va accolto, ed il decreto impugnato deve essere cassato in relazione al suddetto primo motivo, con rinvio al Tribunale di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche per le spese di questa fase.

PQM

 

Accoglie il primo motivo del ricorso, dichiarandone inammissibile il secondo. Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto, e rinvia al Tribunale di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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