Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21842 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 09/10/2020), n.21842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32201-2018 proposto da:

AMSA – AZIENDA MILANESE SERVIZI AMBIENTALI SPA, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

HERNANDEZ, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

TOMMASO MASSIMO GOFFREDO;

– ricorrente –

contro

Q.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO

II, 4, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA DAMIZIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SILVIA PAOLANTONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 948/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 948 pubblicata il 30.7.2018 la Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello di Q.G. e in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la AMSA Azienda Milanese Servizi Ambientali spa al risarcimento del danno biologico liquidato in Euro 19.963,00, oltre accessori di legge, ed al rimborso delle spese mediche pari ad Euro 498,40; ha inoltre accertato il diritto del Quintini ad essere inquadrato nel V livello del CCNL applicato a far data da aprile 2005 e nel VI livello da febbraio 2006 ed ha condannato la società datoriale al pagamento delle differenze retributive;

2. la Corte territoriale ha dato atto di come in un precedente giudizio, conclusosi con sentenza della Corte d’appello di Milano n. 179/2008, passata in giudicato, fosse stato accertato il demansionamento del Q. per il periodo dal luglio 2003 fino al marzo 2005; che in tale procedimento non era stata proposta domanda di risarcimento del danno biologico in quanto le conseguenze patologiche si erano manifestate nel 2004, quando il giudizio era già in corso; la Corte d’appello, accertata tramite consulenza medico legale l’esistenza di un nesso causale tra il demansionamento oggetto di giudicato e la patologia successivamente sofferta dal lavoratore, ha liquidato il danno biologico in relazione ad una menomazione dell’integrità psicofisica pari al 9-10% ed ha disposto il rimborso delle spese mediche;

3. la sentenza impugnata ha riconosciuto il diritto del Q. all’inquadramento nel V livello del CCNL a far data dall’aprile 2005 (anzichè dall’1.9.06 come disposto da AMSA) in relazione allo svolgimento delle mansioni di controllore di produzione in virtù di una prassi aziendale in vigore fino all’accordo del (OMISSIS) (che ha introdotto la figura dell’ispettore ambientale di produzione inquadrato nel V livello del CCNL del 2003, rispetto al controllore di produzione collocato nel IV livello), non contestata dalla società datoriale; ha poi riconosciuto il diritto del lavoratore all’inquadramento nel VI livello in relazione alla nomina del Q. quale agente accertatore con decreto del Sindaco di (OMISSIS) dell’8.2.2006; ha escluso il carattere dequalificante delle mansioni di controllore di produzione;

4. avverso tale sentenza la AMSA Azienda Milanese Servizi Ambientali spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso Q.G.;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. col primo motivo di ricorso la AMSA Azienda Milanese Servizi Ambientali spa ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio;

7. ha affermato come nel ricorso introduttivo di primo grado il Q. avesse proposto domanda di risarcimento del danno per il periodo successivo e non antecedente al marzo 2005; che in riferimento al periodo successivo al marzo 2005, il predetto aveva svolto le mansioni di controllore di produzione riconosciute dal Tribunale equivalenti a quelle di gruista; che la Corte d’appello non aveva accertato alcuna condotta datoriale inadempiente causativa del danno liquidato ed aveva erroneamente disposto una consulenza medico legale d’ufficio svolta su certificazione riferita ad un decennio anteriore; ha rilevato la contraddittorietà delle stesse allegazioni del Q. che per il periodo successivo al marzo 2005 aveva dedotto il carattere dequalificante delle mansioni di controllore di produzione e nel contempo richiesto, per lo svolgimento di tali mansioni, l’inquadramento superiore;

8. col secondo motivo di ricorso la società datoriale ha dedotto omesso ed inesistente esame delle concrete mansioni svolte dal lavoratore in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

9. ha censurato la statuizione d’appello nella parte in cui ha riconosciuto l’inquadramento superiore in nome di una prassi aziendale valida nel periodo dell’emergenza rifiuti presso il Comune di (OMISSIS) che, tuttavia, presupponeva il compito dell’operatore di elevare contravvenzioni, riservato in base al CCNL del 2003 solo a chi avesse ottenuto il patentino di agente accertatore; ha sostenuto come il Q. avesse effettivamente conseguito il suddetto patentino nel 2005 ma che comunque non aveva mai espletato le mansioni di agente accertatore bensì unicamente quelle di controllore di produzione; aveva pertanto errato la Corte d’appello nel riconoscere il superiore inquadramento in base al dato formale del possesso del patentino pur in assenza del requisito del concreto svolgimento delle mansioni di agente accertatore, risolvendosi la relativa statuizione in una motivazione apparente;

10. il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha espressamente considerato il danno biologico liquidato quale conseguenza del demansionamento subito dal Q. nel periodo 2002-2005 ed accertato, con efficacia di giudicato, nel separato procedimento definito con la sentenza della medesima Corte d’appello n. 179/2008; la sentenza impugnata ha, peraltro, espressamente escluso il carattere dequalificante delle mansioni di controllore di produzione svolte dal lavoratore dall’aprile 2005 e quindi l’esistenza di un demansionamento in relazione a tale periodo, così superando ogni profilo di contraddittorietà rinvenibile nelle allegazioni del lavoratore;

11. anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

12. la censura, formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ove intesa come denuncia di omesso esame del fatto storico consistente nel mancato svolgimento da parte del Q. delle concrete mansioni di agente accertatore, è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza d’appello che ha valutato questo dato giudicandolo irrilevante; la sentenza ha infatti collegato l’inquadramento superiore alla “nomina del Q. quale agente accertatore, al termine del percorso professionale rappresentato dalla frequenza del relativo corso con esito positivo, con il citato decreto del Sindaco 8.2.2006”, ciò in adesione all’orientamento di legittimità “che ricollega all’acquisizione delle funzioni di cui si discute, a prescindere dalla continuità del loro svolgimento, la qualifica rivendicata” (cfr. Cass. n. 3194 del 2012);

13. ove riqualificata quale violazione di legge o di contratto collettivo (per errata valutazione come irrilevante del dato consistente nel mancato effettivo svolgimento delle mansioni di agente accertatore), la censura risulta priva dei necessari requisiti di specificità non essendo indicata alcuna disposizione di legge o di CCNL di cui si assuma la violazione;

14. per le ragioni esposte il ricorso risulta inammissibile;

15. le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

16. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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