Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21840 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2021, (ud. 28/05/2021, dep. 30/07/2021), n.21840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8190/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Autoluna s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9/2/13 della Commissione tributaria regionale

della Campania, sezione staccata di Salerno, pronunciata il 22

novembre 2012, depositata il 12 febbraio 2013 e non notificata.

Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale

Tommaso Basile, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei primi

due di ricorso, assorbito il terzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito del P.v.c. della G.d.F. di Salerno, l’Agenzia delle entrate di Salerno emetteva avviso di accertamento, con il quale contestava alla Società Autoluna s.r.l., esercente attività di commercio di autovetture, una serie di violazioni in materia di imposte dirette ed Iva per l’anno 2006 concernenti: 1) sottovalutazione delle rimanenze finali per omesso computo degli optionals degli autoveicoli per un importo di Euro 62084,12; 2) indebita deduzione di costi per spese di pubblicità non di competenza dell’anno 2006 per Euro 75.000,00; 3) omessa fatturazione e dichiarazione ai fini Iva di operazioni imponibili attive relative ai cosiddetti bonus qualitativi riconosciuti dalla casa madre Nissan in seguito al raggiungimento di determinati standard minimi convenuti nel contratto di concessione, ritenuti prestazioni di fare rese per un’imponibile di Euro 149.347,00 con Iva corrispondente ad Euro 29.869,00.

In conclusione con l’accertamento predetto venivano richieste maggiori imposte per Ires (Euro 45.238,00), Irap (Euro 7.197,00), Iva (Euro29.869,00), oltre interessi e sanzioni.

2. Con ricorso alla C.t.p. di Salerno la società impugnava l’accertamento, eccependo l’illegittimità e l’infondatezza delle singole riprese a tassazione per maggiori componenti di reddito e costi non di competenza, la violazione delle norme in materia di Irap, il difetto di competenza funzionale, chiedendo, in subordine, l’applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 e concludendo per l’annullamento dell’avviso di accertamento.

L’Ufficio si costituiva in giudizio ribadendo le sue ragioni e la C.t.p. di Salerno, con sentenza 42/10 del 3/11/2009, accoglieva parzialmente il ricorso, dichiarando non dovute le sanzioni applicate e confermando, per il resto, l’accertamento, con compensazione delle spese del giudizio.

Avverso tale sentenza proponeva appello principale la Società Autoluna s.r.l. ed appello incidentale l’ufficio, limitatamente all’annullamento delle sanzioni.

La C.t.r. della Campania, sezione staccata di Salerno, con la sentenza na/2/13 pronunciata il 22 novembre 2012, depositata il 12 febbraio 2013 e non notificata, ha accolto parzialmente l’appello della contribuente, rigettando l’appello incidentale dell’ufficio.

In particolare, con la sentenza impugnata, la C.t.r. annullava il recupero a tassazione dei costi di pubblicità non di competenza, dell’ammontare di Euro. 75.000,00 (oltre ai recuperi Iva già annullati in autotutela dall’ufficio), confermando nel resto la sentenza di primo grado, specie in ordine all’annullamento delle sanzioni.

L’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi avverso la società Autoluna s.r.l. per la cassazione della sentenza di appello.

La società è rimasta intimata.

Il Procuratore generale, Tommaso Basile, ha chiesto l’accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108 e art. 109, commi 1 e 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Deduce la ricorrente che i giudici della C.t.r. hanno ritenuto ammissibile la deduzione anticipata del costo relativo a prestazioni di sponsorizzazione ancora da ultimare e, pertanto, hanno annullato il rilievo poiché “per quanto concerne poi la ripresa a tassazione dell’importo di Euro 75.000,00 relativo a spese di pubblicità per contratto di sponsorizzazione dell’AS scuola volley di Salerno, ritiene questa Commissione che questa spesa non può considerarsi, come ha fatto l’ufficio, indebita deduzione perché non di competenza dell’anno 2006. Ed invero la Società contribuente Autoluna S.r.l. è una società di capitali; ne deriva che la detrazione del costo di pubblicità sia che sia stata effettuata nell’anno 2006, sia che venga effettuata in relazione agli anni successivi, sconta sempre lo stesso risparmio di aliquota. In altri termini l’avere riferito al 2006 Euro 75.000,00 per la sponsorizzazione della società di Pallavolo invece che ad altro anno non determina alcuna differenza ai fini fiscali in quanto non produce alcun danno erariale. Tale comportamento non ha recato alcun danno erariale perché la deduzione viene comunque effettuata per una volta sola e non per ogni anno”.

Secondo la ricorrente, la pronuncia sul punto è in contrasto con il D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 108 e 109 i quali dispongono che i componenti negativi, come quelli positivi, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.

Il motivo è fondato e va accolto.

Secondo la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, “in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (attuale art. 109) sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23521 del 27/10/2020; conf. Sez. 5, Sentenza n. 16349 del 17/07/2014; Sez. 5, Sentenza n. 1107 del 18/01/2017 in tema di corrispettivi conseguiti per prestazioni di servizi; Sez. 5, Ordinanza n. 13048 del 24/05/2017).

Dunque, confermando il proprio orientamento consolidato (sentenze n. 1648/2013, n. 3418/2010, n. 6331/2008, n. 3809/2007), la Corte di Cassazione ha anche da ultimo ribadito che il contribuente non può assolutamente essere lasciato libero di scegliere il periodo di competenza in cui dedurre i costi, dovendosi attenere rigorosamente alle regole stabilite dal T.u.i.r.; ciò indipendentemente dalla mancata dimostrazione del verificarsi di un danno per l’erario, circostanza quest’ultima ritenuta dalla S.C. del tutto irrilevante.

Pertanto, la sentenza impugnata, nel ritenere la deducibilità del costo indipendentemente dal periodo di competenza, non ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti e va cassata, con rinvio alla C.t.r. della Campania, sezione staccata di Salerno.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Ulteriore motivo di censura della sentenza si ravvisa nella conferma dell’annullamento delle sanzioni disposto dalla C.t.p., che aveva costituito l’unico motivo dell’appello proposto dall’Ufficio, laddove il giudice d’appello “conferma la decisione dei primi giudici in ordine alla non applicabilità delle sanzioni sussistendo errore giustificabile del contribuente”.

Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata riteneva erroneamente, senza una specifica motivazione, che anche per le sanzioni conseguenti alle violazioni in materia di imposte dirette, relative all’omessa dichiarazione di componenti positive di reddito o alla deduzione di costi non di competenza, sussistesse quella equivocità delle disposizioni normative che, ove specificamente allegata dal contribuente, avrebbe potuto dare luogo alla disapplicazione delle sanzioni comminate.

Il motivo è fondato e va accolto.

Come è stato detto “in tema di sanzioni amministrative tributarie, il giudice ha il potere di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate in conseguenza della violazione di una norma dovuta ad un errore di interpretazione – che il contribuente ha l’onere di allegare e provare, senza che la circostanza sia rilevabile d’ufficio dall’autorità giudiziaria – maturato in condizioni di obiettiva incertezza sulla sua portata, situazione che si realizza anche nell’ipotesi nella quale la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, contenga una pluralità di prescrizioni, il coordinamento delle quali appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione” (da ultimo Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17195 del 26/06/2019; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 18718 del 13/07/2018).

La C.t.r., nella sentenza impugnata, non chiarisce specificamente in ordine alle sanzioni comminate per le violazioni in materia di imposte dirette quale sarebbe la situazione di incertezza normativa, dedotta dal contribuente e ritenuta sussistente dal giudice, alla quale potrebbe essere ricondotta la disapplicazione delle sanzioni.

Pertanto, anche tale motivo è fondato e va accolto, con conseguente rinvio al giudice del merito.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il giudice di appello ritenuto la non applicabilità delle sanzioni, senza distinguere tra quelle comminate in materia di Iva e quelle relative alle violazioni in tema di imposte dirette, nonostante la contribuente, con il ricorso introduttivo, avesse chiesto la disapplicazione delle sanzioni solo in materia di Iva.

Il motivo è inammissibile, in quanto difetta della necessaria specificità.

Se è vero, infatti, che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un vizio per “errores in procedendo” è anche giudice del fatto ed ha il “potere-dovere” di esaminare direttamente gli atti di causa, è anche vero che, per il sorgere di tale “potere-dovere” è necessario che la parte ricorrente indichi puntualmente gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, è indispensabile che la censura presenti tutti i requisiti di ammissibilità e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (ex plurimis, Cass., sez. un., n. 8077 del 2012; Cass. n. 896 del 2014).

Più di recente, è stato ribadito che “la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in “error in procedendo”, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, né potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; vedi anche Sez. 1, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017).

In particolare, la citata sentenza delle Sezioni Unite, nella motivazione, facendo riferimento a precedenti di legittimità (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 978 del 2007), ha affermato che, allorquando sia denunciato un “error in procedendo”, il corrispondente motivo di ricorso è ammissibile ove contenga, per il principio di autosufficienza, tutti gli elementi necessari ad individuare la dedotta violazione processuale, spettando alla parte di indicarli ed allegarli.

Nel caso di specie, la ricorrente deduce il vizio di ultrapetizione, in quanto asserisce che la richiesta di disapplicazione delle sanzioni era stata formulata nel ricorso introduttivo della contribuente con inequivocabile riferimento alle sole sanzioni conseguenti alle infrazioni in tema di Iva, relative al trattamento fiscale da riservare ai bonus qualitativi (rilievo poi annullato in sede di autotutela).

Sul punto deve rilevarsi che la C.t.r., con la sentenza impugnata, ha dato atto che, con separato atto notificato alla controparte, l’Agenzia delle Entrate aveva prestato parziale acquiescenza alla sentenza di primo grado, limitatamente alla pronuncia di annullamento della sanzione correlata al rilevo Iva; ciò perché la stessa Agenzia delle Entrate aveva assunto una diversa posizione in merito ai bonus riconosciuti dalla case madre ai venditori di autoveicoli in seguito al raggiungimento di determinati standard minimi convenuti nel contratto di concessione.

In conclusione la C.t.r. rilevava che la controversia in appello doveva intendersi circoscritta ai rilievi ai fini dell’Iva e dell’Ires con relative sanzioni, essendo venuta meno la materia del contendere in merito alla pretesa Iva aventi ad oggetto i cd. bonus qualitativi.

A fronte di tale rilievo, la ricorrente avrebbe dovuto indicare, sia pure riassuntivamente, i motivi del ricorso di primo grado per consentire di verificare se l’istanza di disapplicazione riguardasse, come dedotto, solo le sanzioni per le violazioni in materia di Iva o anche quelle irrogate per le violazioni relative alle imposte dirette.

Pertanto il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente provveduto a tanto.

In conclusione, il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno accolti, dichiarato inammissibile il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla C.t.r. della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

 

 

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