Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21840 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 28/10/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 28/10/2016), n.21840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17468/2011 proposto da:

SOCIETA’ AGRICOLA R. SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL PLEBISCITO

107, presso lo studio dell’avvocato ANDREA NECCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MIMMO MANFREDI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

EQUITALIA ETR SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA TARVISIO 2, presso lo studio

dell’avvocato MARCO FIERTLER, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 130/2010 della COMM. TRIB. REG. di CATANZARO,

depositata il 23/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato MANFREDI che si riporta al

ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al

controricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

La Società Agricola R. srl propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 130/1/10 del 23 giugno 2010, con la quale la commissione tributaria regionale di Catanzaro, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittima la cartella di pagamento notificata nel (OMISSIS) dalla concessionaria Equitalia ETR spa in base a ruolo conseguente alla sentenza della commissione tributaria provinciale di Cosenza n. 159/13/05 del 16 settembre 2005; reiettiva del ricorso dalla società contribuente proposto avverso avviso di accertamento di maggior valore, per imposta di registro ed Invim, su trasferimento immobiliare.

In particolare, la commissione tributaria regionale ha ritenuto legittima la cartella in questione, in quanto non necessitante, a pena di nullità, nè dell’indicazione del responsabile del procedimento, nè della sottoscrizione dell’esattore; rilevava inoltre che la notificazione era stata correttamente eseguita alla odierna ricorrente Società Agricola R. srl, in quanto subentrata senza soluzione di continuità alla Società Agricola R. di D. L. & c. snc, nei cui confronti era stata emessa la suddetta sentenza della commissione tributaria provinciale di Cosenza.

Resistono con controricorso tanto l’agenzia delle entrate quanto Equitalia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso la Società Agricola R. srl lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – carenza motivazionale e violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a) e art. 3 Cost.. Posto che la commissione tributaria regionale – omettendo di interpretare il D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, conv. in L. n. 31 del 2008, alla luce della suddetta normativa – avrebbe erroneamente escluso la nullità della cartella opposta per mancata indicazione del responsabile del procedimento.

Il motivo è destituito di fondamento.

La commissione tributaria regionale ha escluso che la cartella opposta fosse nulla per mancata indicazione del responsabile del procedimento, facendo con ciò corretta applicazione (e dandone anche congruamente conto sul piano motivazionale) del disposto di cui alla D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter conv. in L. n. 31 del 2008, secondo cui: “La cartella di pagamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse”.

Atteso che la cartella in oggetto era stata notificata ((OMISSIS)) prima del discrimine temporale indicato nella norma, la mancata indicazione in essa del responsabile del procedimento non poteva integrare, diversamente da quanto voluto dalla società contribuente, causa di nullità; e ciò all’esito di un’applicazione del tutto piana del disposto normativo (in claris non fit interpretatio).

Quanto, poi, ai palesati dubbi di costituzionalità – segnatamente sotto il profilo dell’esclusione della invalidità della cartella di pagamento priva dell’indicazione in oggetto, ove emessa su ruoli consegnati prima della data indicata dalla legge soccorre quanto già osservato dal giudice delle leggi, anche nel rapporto con lo statuto del contribuente di cui alla L. n. 212 del 2000, con la sentenza di infondatezza n. 58 del 2009.

In definitiva, la decisione qui impugnata deve ritenersi del tutto corretta, oltre che conforme ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità: (v. Cass. 13747/13; ord. 332/16; 8138/16).

p. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – carenza motivazionale e violazione o falsa applicazione di legge. Per avere la commissione tributaria regionale: – erroneamente affermato la validità della cartella opposta (equiparabile ad atto di precetto) pur in difetto di sottoscrizione da parte dell’esattore; – omesso di motivare, se non mediante insufficiente richiamo per relationem alla sentenza di primo grado, sulla carenza di motivazione della cartella opposta, dalla quale non era dato evincere gli elementi essenziali della pretesa i mpositiva.

Nemmeno questa censura può trovare accoglimento.

Per quanto concerne la mancata sottoscrizione della cartella da parte del funzionario emittente, rileva – stante la specialità del rapporto tributario e delle regole che presiedono alla realizzazione della pretesa impositiva – la non totale coincidenza con le prescrizioni generali dettate per l’atto di precetto; di cui, pure, la cartella mutua la sostanza.

Ciò in ragione proprio della ricomprensione della cartella di pagamento nell’ambito di un processo di natura amministrativa dotato di una disciplina sua propria.

Questa conclusione si desume da quanto già stabilito da C. Cost., ord. 117/00, la quale ha avuto modo di affermare la manifesta infondatezza, “per palese erroneità del presupposto su cui essa si fonda, circa l’essenzialità della sottoscrizione autografa per ogni atto amministrativo, della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, denunziato in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost., nella parte in cui omette di indicare la sottoscrizione autografa tra gli elementi costitutivi della cartella di pagamento. Costituisce infatti diritto vivente, il principio secondo cui l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene”.

Il diritto vivente richiamato dalla corte costituzionale ha trovato, del resto, anche recenti ripetute conferme nel senso che, in tema di riscossione delle imposte, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana. Ciò perchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui essa sia prevista dalla legge mentre, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (da ultimo, Cass. 26053/15; 25773/14).

Nel caso di specie è pacifico che non si controvertesse di identificazione o attribuzione della cartella ad una determinata pretesa tributaria facente capo ad un determinato ufficio dell’amministrazione finanziaria, quanto soltanto di mancata identificazione della persona fisica del funzionario emittente. Sì che – sulla base dei principi poc’anzi evidenziati – correttamente è stata esclusa la dedotta causa di nullità.

Per quanto concerne l’omessa motivazione da parte della commissione tributaria regionale sulla carente motivazione della cartella, va intanto osservato come diversamente da quanto vorrebbe la società ricorrente – la sentenza qui impugnata non si è limitata a recepire tout court quanto stabilito sul punto dal primo giudice, supportando ulteriormente quest’ultimo elemento con un’argomentazione sua propria; volta ad evidenziare come la cartella in questione, stampata secondo il tipo legale, contenesse in concreto “tutti gli elementi essenziali per far comprendere esaurientemente la pretesa tributaria e la sua origine; ed i tassi di interesse stabiliti dalla legge e, perciò, conosciuti e non stabiliti arbitrariamente dal concessionario della riscossione”.

Si tratta dunque, all’evidenza, non già della passiva ricezione della sentenza di primo grado, bensì di una valutazione critica (di natura fattuale e tipicamente di merito) autonomamente attribuibile al giudice di appello; proprio sulla base del motivo di gravame devolutogli dalla società ricorrente. E’ dunque da escludere che la motivazione così resa dal giudice di appello sia passibile delle censure altrimenti ascrivibili alla motivazione per relationem che mostri di non farsi carico delle critiche addotte dall’appellante nè di adattare il proprio decisum alla concretezza di una fattispecie autonomamente valutata (sui limiti di validità della motivazione per relationem: Cass. n. 7347/12; Cass. n. 3367/11 ed altre in termini).

Nel caso di specie tali requisiti risultano soddisfatti, dal momento che la commissione tributaria regionale, dopo aver ricostruito puntualmente le censure ed aver ripreso la motivazione del primo giudice, ha poi ribadito la validità di quest’ultima, criticamente disattendendo il motivo di gravame sul punto perchè ritenuto inidoneo a sovvertire l’affermazione del primo giudice.

Va infine ancora osservato che, nella parte in cui intende direttamente censurare la carenza di motivazione della cartella di pagamento e non della sentenza qui impugnata, il presente profilo di doglianza risulta finanche inammissibile per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6). Là dove esso omette di riprodurre il tenore della cartella contestata, così da porre questa corte in condizione di evidenziarne – con le dovute caratteristiche legali di concentrazione ed immediatezza – le asserite lacune esplicative e ricostruttive della pretesa fiscale; ciò anche in rapporto al titolo, individuabile nella citata sentenza passata in giudicato della CTP Cosenza, posto a suo fondamento.

Sulla correlazione tra il requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione e la doglianza sulla idoneità contenutistica e di motivazione dell’atto tributario impugnato: Cass. nn. 16010/15; 9536/13.

p. 3. Con il terzo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – carenza motivazionale e violazione degli artt. 474, 475, 476, 479 e 480 c.p.c., posto che la cartella si basava su una iscrizione a ruolo conseguente ad una sentenza (CTP Cosenza 159/13/05, cit.), mai notificata nè ad essa ricorrente nè alla Società Agricola R. di D. & c. snc; comunque soggetto diverso.

Nemmeno questa censura risulta accoglibile.

La commissione tributaria regionale ha rilevato la peculiarità di una fattispecie nella quale il titolo della pretesa impositiva era costituito da una sentenza di primo grado passata in giudicato; con conseguente conoscenza da parte della società contribuente – che aveva dato origine al contenzioso mediante opposizione all’avviso di accertamento di maggior valore, e che aveva partecipato all’intero giudizio – di tutti gli elementi costitutivi della pretesa medesima. Su tale presupposto, ha dunque ravvisato il giudice di merito, nella cartella di pagamento in questione, natura puramente consequenziale e derivata dal titolo giudiziale interamente confermativo dell’iniziale avviso di accertamento; con conseguente insussistenza di qualsivoglia pregiudizio di conoscenza, a carico della società odierna ricorrente, per effetto della mancata notificazione di tale sentenza in una con la cartella di pagamento opposta.

Ricorre, in materia, il principio secondo cui: “la cartella esattoriale di pagamento, quando faccia seguito ad un avviso di accertamento divenuto definitivo, si esaurisce in un’intimazione di pagamento della somma dovuta in base all’avviso, e non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo; con la conseguenza che, in base al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, essa resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto di accertamento da cui è sorto il debito. Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l’impugnazione della cartella, una volta che sia definito con sentenza irrevocabile il giudizio tributario, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione della cartella predetta” (Cass. n. 16641/11). In termini si è pronunciata Cass., ord. n. 4818/15, secondo cui “nel processo tributario, la cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi suoi propri e non per quelli che attengono all’accertamento fiscale, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione della cartella predetta”.

Sostiene la ricorrente che, nella specie, si verterebbe proprio in quest’ultima ipotesi; dal momento che essa – Società Agricola R. srl – avrebbe avuto prima notizia della pretesa impositiva proprio con la notificazione della cartella di pagamento, non essendole mai stata notificata la sentenza fondativa.

Va però osservato come la sentenza qui impugnata si faccia carico anche di questo profilo, osservando come tra l’odierna ricorrente e la Società Agricola R. di D. L. & c. snc sussistesse continuità soggettiva; costituendo, la prima, l’esito del mutamento di “ragione sociale” della seconda pochi mesi prima (maggio 2005) della pubblicazione della sentenza in questione. Nè, osserva la commissione tributaria regionale, la società opponente aveva fornito prova della effettiva diversità delle due entità societarie; da ritenersi, tra esse, in rapporto di continuità e subentro sulla base di quanto desumibile “dalla stampa dell’anagrafe tributaria allegata dall’agenzia nelle controdeduzioni” e dal fatto che “identico è il responsabile, sig. D.L., ed uguale la sede legale delle due società (…)”.

Ora, il ragionamento della commissione di merito è univocamente riferibile al fenomeno della trasformazione del tipo sociale (nella specie, da “snc” a “srl”), con correlato mutamento della denominazione sociale. Senonchè, l’avvenuta trasformazione – non contraddetta dalla contribuente – attesta in effetti la continuità soggettiva, nei rapporti pregressi, della società risultante all’esito della trasformazione, come evincibile dall’art. 2498 c.c. (Cass. 10332/16; 13467/11 ed altre).

Da ciò consegue la correttezza giuridica della decisione qui impugnata, la quale ha imputato alla odierna ricorrente (destinataria della notificazione della cartella di pagamento) il medesimo rapporto di imposta già instaurato, ed esplicitato in tutti i suoi elementi costitutivi, nei confronti della Società Agricola R. di D. & c. snc.

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida, a favore di ogni controricorrente, in Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito (per l’agenzia delle entrate), rimborso forfettario ed accessori di legge (per Equitalia).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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