Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21839 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 28/10/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 28/10/2016), n.21839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15356/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

BRUNO BUOZZI 102, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PASQUALE RUSSO

giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 25/2010 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 13/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al

ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PADOVANI per delega

dell’Avvocato RUSSO che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

L’agenzia delle entrate propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 25 del 13 maggio 2010 con la quale la commissione tributaria regionale di Genova, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione per Invim straordinaria 1991, ed irrogazione di sanzioni, notificato nel settembre 2003 alla Banca Monte dei Paschi di Siena spa in relazione ad una tenuta agricola di sua proprietà; rapporto tributario originato da un precedente avviso di liquidazione notificato, per lo stesso titolo, nel (OMISSIS), e già fatto oggetto di una lite giudiziaria che, in quanto ancora pendente in cassazione alla data del 29 settembre 2002, era stata qui interamente definita per condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8 (come da decreto di estinzione del giudizio emesso il 15.11.06 dalla S.C.).

Secondo la sentenza qui impugnata, in particolare, stante la natura unitaria dell’accertamento Invim e del rapporto di imposta, la definizione concordata aveva riguardato la pretesa nella sua interezza, posto che lo stato di pendenza della lite non era escluso, ai fini della condonabilità, dal fatto che il ricorso per cassazione fosse stato proposto dall’agenzia delle entrate solo avverso talune statuizioni della sentenza CTR Genova (n. 111/01/99). Là dove, secondo l’opposta tesi ancora qui sostenuta dall’agenzia delle entrate, lo stato di pendenza della lite, e quindi di condonabilità, non potrebbe riguardare altresì i capi quest’ultima sentenza sfavorevoli alla banca che, non essendo stati da questa impugnati per cassazione, costituivano già, al momento dell’estinzione, cosa giudicata; con conseguente legittimità del nuovo avviso di liquidazione che, come nella specie, trovasse proprio in tali capi ormai inoppugnabili il proprio fondamento.

Resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 327, 329, 336, 370 e 371 c.p.c., nonchè art. 2909 c.c. e L. n. 289 del 2002, art. 16; per avere la CTR omesso di considerare che, al momento della definizione per condono, la lite doveva ritenersi pendente in cassazione solo sui capi della sentenza CTR 111/01/99 cit. fatti oggetto della propria impugnazione, non anche su quelli che, sfavorevoli alla banca, erano passati in giudicato (in data 14.1.02) perchè da quest’ultima non impugnati.

Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – motivazione omessa o insufficiente su un fatto decisivo di causa, costituito dalla circostanza che l’agenzia delle entrate avesse investito, con il proprio ricorso per cassazione, l’intera sentenza della CTR 111/01/99; al contrario, tale impugnazione aveva riguardato solo alcuni capi di quantificazione del valore di talune porzioni del compendio immobiliare imponibile, non anche quei capi che, avendo confermato la correttezza dell’accertamento di maggior valore operato dall’ufficio, potevano essere impugnati solo dalla banca che, tuttavia, non l’aveva fatto.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 370 e 371 c.p.c. e art. 2909 c.c.; per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’impugnazione da parte della banca dei capi a sè sfavorevoli fosse evincibile da quanto dalla stessa dichiarato nel proprio controricorso in cassazione, circa la conformità dei valori Invim da essa in origine dichiarati.

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta motivazione insufficiente sul medesimo aspetto; per non avere la CTR congruamente motivato sul perchè l’affermazione così contenuta nel controricorso della banca fosse equivalente ad un ricorso incidentale per cassazione.

p. 2. Il ricorso non può trovare accoglimento.

Va rilevato che, come già osservato dalla CTP La Spezia nella sentenza 215/6/07 riportata in ricorso, la presente lite – scaturita dall’impugnazione da parte della banca dell’originario avviso di accertamento per Invim straordinaria del (OMISSIS) – è stata dichiarata estinta da questa corte di legittimità in data 15 novembre 2006; e ciò “vista l’istanza depositata dall’avvocatura generale dello Stato attestante la regolarità della domanda di definizione della controversia ed il pagamento integrale di quanto dovuto”.

La pronuncia di estinzione ha avuto ad oggetto – L. n. 289 del 2002, ex art. 16 – la lite pendente al 29 settembre 2002; quest’ultima individuata nella sua interezza ed unitarietà.

La tesi dell’amministrazione finanziaria, secondo cui la pronuncia di estinzione in oggetto non avrebbe riguardato i capi della sentenza di secondo grado (CTR Genova 111/01/99) che, non essendo stati fatti oggetto di ricorso per cassazione da parte della banca, costituivano, a quella data, cosa giudicata parziale, non può trovare accoglimento.

In primo luogo, essa conduce al risultato di indebitamente scomporre e frazionare un rapporto impositivo pacificamente unitario nei suoi elementi costitutivi, perchè: relativo ad un unico compendio immobiliare (una medesima e circoscritta tenuta fondiaria in proprietà della banca, l’azienda agricola M.); – dedotto in un’unica dichiarazione della contribuente, facente riferimento ad una valutazione unitaria e complessiva dell’intero cespite; – concernente un medesimo tributo (Invim straordinaria) attinto nel medesimo periodo di imposta (1991). Di ciò vi è riscontro anche nello stesso criterio di calcolo del dovuto inizialmente operato dall’amministrazione finanziaria ai fini del condono, e rapportato al valore del cespite inteso quale entità imponibile unitaria, e non come sommatoria di porzioni immobiliari destinatarie di singole ed autonome pretese impositive.

In secondo luogo, la tesi dell’amministrazione finanziaria poggia su una nozione non corretta di capo di sentenza; da essa riferita alle singole affermazioni e valutazioni estimative operate dal giudice di merito, e non alla definizione di ciascuna singola ed autonoma domanda oggetto di contenzioso (nel senso della necessaria autonomia ed indipendenza dei capi decisori suscettibili di giudicato parziale: Cass. 431/99; 14634/01; 20143/05; 10043/06; 4732/12 ed altre).

Dagli atti di causa risulta che la sentenza CTR 111/01/99 abbia così disposto: “la commissione accoglie parzialmente il ricorso determinando il valore finale delle porzioni immobiliari site in zona agricola per metri quadrati 1.500.000 nella stessa misura denunciata dalla ricorrente; determina il valore finale della porzione di metri quadrati 105.500 (rectius 100.500) ricadente in zona di pubblica utilità nella stessa misura accertata dall’ufficio; determina il valore finale della porzione fabbricabile di metri quadrati 7.000 circa nella stessa misura accertata dall’ufficio; determina il valore finale della porzione di metri quadri 26.000 ricompresa in zona destinata all’attività balneare in Lire 75.000 al mq.; determina il valore finale della porzione di metri quadrati 45.000 circa nella stessa misura accertata dall’ufficio. Compensa interamente le spese di lite”.

A parte l’autonomo capo concernente le spese di lite, la statuizione di merito appena riportata non consta, diversamente da quanto vorrebbe l’amministrazione finanziaria, di più capi a sè stanti (uno per ogni porzione immobiliare, interna all’azienda agricola, suscettibile di diversa stima), dotati in quanto tale di autonoma precettività ed eseguibilità; bensì di un capo unitario, con il quale la CTR ha definito, mediante parziale accoglimento del ricorso della contribuente, il rapporto di imposta scaturito dall’accertamento iniziale.

La circostanza che tale statuizione sia stata impugnata per cassazione soltanto dall’agenzia delle entrate (ovviamente, per le sole decisioni riduttive del valore accertato dall’ufficio), non anche dalla banca contribuente, non escludeva la permanente pendenza – ai fini del condono – della lite nella sua unitarietà; appunto riferibile alla fondatezza dell’iniziale avviso di accertamento e, segnatamente, del maggior valore accertato dall’agenzia delle entrate con riguardo all’azienda agricola nel suo complesso, non già alle sue singole componenti (di per sè irrilevanti ai fini impositivi, se non in quanto addendi formanti per sommatoria il valore unico finale imponibile del compendio).

Va d’altra parte considerato che l’intangibilità delle stime così operate dalla CTR nella sentenza in questione, in quanto non censurate dalla banca mediante ricorso per cassazione, non consentiva di per sè di definire, nemmeno parzialmente, la pretesa dell’amministrazione finanziaria fino a quando non fosse stato definitivamente accertato il valore dell’intero compendio immobiliare, e non soltanto di talune sue singole componenti; e ciò per quanto concerneva sia la base imponibile propriamente detta, sia l’entità accessoria degli interessi e delle sanzioni, naturalmente implicanti l’accertamento totale dell’imponibile. Posto che su tale accertamento totale il contenzioso era ancora aperto, corretta deve ritenersi l’affermazione contenuta nella sentenza qui impugnata, in base alla quale gli effetti del condono debbono qui riferirsi all’intero rapporto di imposta, e non ad alcune componenti soltanto di esso.

La fattispecie in considerazione risulta, in definitiva, diversa da quella esaminata da Cass. 11560/06, secondo cui: “in tema di condono fiscale, e con riferimento alla chiusura delle liti fiscali pendenti prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, il valore della lite, da assumere come base per il calcolo dell’importo da versare per ottenere la definizione agevolata, dev’essere determinato tenendo conto del concetto di “lite pendente”, risultante dal comma 3, lettera a), della disposizione in esame; quest’ultima, escludendo la pendenza della lite in presenza di un giudicato, anche se riferito a singoli capi della sentenza, comporta che, in caso di accoglimento parziale del ricorso, il predetto valore non corrisponde a quello dell’imposta inizialmente pretesa, ma alla parte della stessa che risulta ancora in contestazione all’esito del precedente grado di giudizio; pertanto, nell’ipotesi in cui la sentenza non sia stata oggetto d’impugnazione relativamente ai capi sfavorevoli all’Amministrazione, a quest’ultima non compete alcuna somma percentuale sulla parte d’imposta dichiarata non dovuta”.

Atteso che tale principio presuppone appunto, da un lato, la formazione di un giudicato parziale su autonomi capi decisori e, dall’altro, l’ininfluenza di questi ultimi sull’assetto definitivo della controversia ancora pendente; mentre, nella specie, la controversia non poteva reputarsi definita fin vista la determinazione ultima e complessiva di valore del bene immobile fatto oggetto dell’accertamento iniziale.

Tanto che lo stesso ammontare dovuto a titolo di definizione per condono non poteva prescindere da una percentuale sul “valore della lite”, ex art. 16 cit., riferito alla stima unitaria del singolo compendio immobiliare oggetto di imposizione, e non dei singoli componenti di cui quest’ultimo eventualmente constasse.

Quanto fin qua ritenuto esclude tanto la violazione di legge quanto la carenza motivazionale dedotte nei primi due motivi di ricorso. Esplica inoltre effetto assorbente della terza e quarta censura, dal momento che la perdurante pendenza della lite non deriva qui dall’avvenuta proposizione di ricorso incidentale per cassazione da parte della banca (il che rende ultronea ogni questione sull’interpretazione della volontà processuale da essa palesata nel controricorso), bensì dalla unitarietà strutturale della pretesa tributaria.

Ne segue il rigetto del ricorso nei termini indicati, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti il terzo ed il quarto;

– condanna parte ricorrente agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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