Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21839 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 20/04/2018, dep. 07/09/2018), n.21839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO A. M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 14608 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto Da:

L.D.R., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine del ricorso, dall’avv.to Antonino Minacapilli, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’avv.to Giovanni Vaccaro in Roma

Via Tacito n. 90;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, n.

196/21/10 depositata in data 12 aprile 2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20 aprile 2018 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 196/21/10 depositata in data 12 aprile 2010, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di L.D.R. avverso la sentenza n. 207/02/07 della Commissione tributaria provinciale di Enna, dichiarando, in riforma di quest’ultima, la legittimità dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di finanza, aveva contestato al contribuente, ai fini Iva, per l’anno 1997, maggior reddito di impresa, determinato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 per omessa contabilizzazione di ricavi a fronte di assunte prestazioni di servizio effettuate nei confronti del Comune di Aidone;

– il giudice di appello, in punto di fatto, premetteva che: 1) a seguito di accertamenti bancari confluiti nel p.v.c. della G.d.F., con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) l’Ufficio aveva contestato al L.D.R., esercente attività di trasporto di merci su strada, per l’anno 1997, ai fini Iva, maggior reddito d’impresa per omessa contabilizzazione di corrispettivi di assunte prestazioni di servizio espletate nei confronti del Comune di Aidone, risultati accreditati sul conto corrente del contribuente da tal C., a seguito di mandati di pagamento emessi dall’ente comunale; 2) avverso l’avviso di accertamento, il contribuente aveva proposto ricorso alla CTP di Enna che l’aveva parzialmente accolto limitatamente alle riprese fiscali afferenti le operazioni bancarie, ritenendo tassabili, ai fini dell’imposizione diretta e dell’Iva, i ricavi “insussistenti e pagati”; 3) avverso la sentenza della CTP aveva proposto appello l’Ufficio rilevando, tra l’altro, che le somme accreditate dal C. sul conto del L.D.R. costituivano ricavi e andavano sottoposte a tassazione ancorchè – come asserito dal contribuente – fossero riconducibili ad attività illecita e fraudolenta; 4) aveva spiegato appello incidentale il contribuente rilevando che i mandati di pagamento emessi dal Comune di Aidone si riferivano a prestazioni d’opera fittizie per cui le relative movimentazioni bancarie non potevano essere considerate ricavi;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, osservava che: 1) tutte le somme transitate sui conti bancari del L.D., indipendentemente dalle motivazioni dallo stesso fornite circa la fittizietà delle operazioni di riferimento concluse con tal C., ancorchè frutto di illecito penale e/o civile, dovevano considerarsi, L. n. 537 del 1993, ex art. 14, comma 4 e 4bis quali proventi da sottoporre a tassazione; 2) le dichiarazioni rese dal contribuente circa il tipo di rapporto (fittizio e di favore) intrattenuto con il C. era la riprova di un pactum sceleris i cui proventi illeciti erano comunque confluiti sul conto corrente del L.D.; 3) le suddette circostanze unitamente ai riscontri documentali (fatture, assegni incassati, accrediti etc.) non potevano essere inficiate dalle mere dichiarazioni del contribuente, inidonee a svilire l’accertamento analitico fondato su riscontri gravi, precisi e concordanti; 4) le motivazioni di accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio erano da considerarsi assorbenti dei contrapposti motivi dedotti dall’appellato nonchè del suo appello incidentale che andava rigettato;

– avverso la sentenza della CTR, L.D.R. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui, resiste l’Agenzia delle entrate unitamente al Ministero dell’economia e delle finanze – con “atto di costituzione”;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata su fatti controversi e decisivi per non avere il giudice di appello argomentato alcunchè in ordine agli articolati motivi di appello con i quali il contribuente aveva dedotto l’illegittimità della ripresa a tassazione non essendo le movimentazioni bancarie configurabili come ricavi in quanto non riferibili ad operazioni imponibili;

– la censura è priva di pregio in quanto la CTR, avendo accolto l’appello proposto dall’Ufficio, ha ritenuto espressamente assorbiti i contrapposti motivi dedotti nell’ atto di appello del contribuente;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 per avere la sentenza impugnata accolto “le domande e le eccezioni nuove” dell’Ufficio, proposte solo con l’atto di appello, “secondo cui le movimentazioni bancarie dovevano essere tassate quale frutto di illecito penale ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14”;

– il motivo è inammissibile, in quanto, in difetto dell’autosufficienza e della specificità del motivo, non risulta riportato in ricorso, nelle parti rilevanti, l’atto di appello dell’Ufficio (essendo stato trascritto esclusivamente uno stralcio dell’ “atto di costituzione” dell’Agenzia delle entrate del 9 gennaio 2008) con conseguente impedimento a questo Collegio di verificare l’esatta portata delle doglianze mosse in sede di gravame;

– tale specificazione era tanto più necessaria in considerazione del principio per cui ad essere inammissibili in appello, ex art. 57, comma 2, cit., sono soltanto le nuove eccezioni in senso proprio, o stretto; non anche le eccezioni in senso lato e le mere difese ed argomentazioni giuridiche, per contro sempre proponibili: “nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili” (Cass. n.11223 del 2016; in termini, da ultimo, Cass. n. 8275 del 2018; n. 21889 del 2017);

– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6 per avere il giudice di appello, nel ritenere tassabili le movimentazioni bancarie frutto di illecito penale, omesso di accertare la sussistenza, nella specie, di un illecito penale a carico del contribuente nonchè se, in ogni caso, ricorressero i presupposti di legge per la esclusione dalla tassazione dei proventi illeciti;

– il motivo è inammissibile;

– peraltro, la censura non coglie il decisum della sentenza impugnata, essendo quest’ultima basata sul riscontro della confluenza dei corrispettivi sui conti bancari del contribuente e, dunque, in sostanza, sulla applicazione della presunzione legale D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 51, comma 2, n. 2 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, salva analitica prova contraria da parte del contribuente della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente irrilevanza fiscale; invero, la ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda sulla presunzione legale (relativa) di imputabilità a ricavi degli accrediti effettuati sui conti correnti del contribuente, “indipendentemente dalle motivazioni dallo stesso fornite circa la fittizietà delle operazioni di riferimento concluse con tal C., e ancorchè frutto di illecito penale e/o civile”;

– in conclusione, il ricorso va rigettato; nulla sulle spese, essendo rimasta intimata l’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso;

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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