Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21837 del 30/08/2019

Cassazione civile sez. III, 30/08/2019, (ud. 05/10/2018, dep. 30/08/2019), n.21837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.F., B.F., AL.FE.,

A.P., A.L., A.C., nella qualità di

eredi legittimi del de cuius A.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 109, presso lo studio

dell’avvocato DONATELLA VICARI, rappresentati e difesi dagli

avvocati SALVATORE GAROFALO, CATIA PULIAFITO giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso

per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1699/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 01/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/10/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20/7/2016 la Corte d’Appello di Catania, in parziale accoglimento del gravame interposto dal Ministero della salute e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Catania n. 2524/2009, ha ridotto l’ammontare liquidato dal giudice di prime cure a carico del medesimo e in favore dei sigg. A.F. e B.F., rigettando viceversa la domanda proposta dai sigg. Al.Fe., C., P. e L. di risarcimento dei danni rispettivamente subiti in conseguenza di “epatite C” contratta dal congiunto dal sig. A.G. all’esito di “una serie di emotrasfusioni cui si era sottoposto in quanto affetto da talassemia major”, decedendo nel luglio 2004.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. A.F. ed altri propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della salute.

Con requisitoria scritta dell’8/11/2017 il P.G. presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va pregiudizialmente dichiarata la tardività del controricorso del Ministero della salute.

Come correttamente eccepito dai ricorrenti, a fronte della notifica del ricorso per cassazione avvenuta il 12/7/2016 il controricorso risulta infatti notificato il 30/9/2016, e pertanto oltre il termine fissato all’art. 370 c.p.c., comma 1, che nella specie, tenuto conto del periodo di sospensione feriale di 31 giorni (dal 1 al 31 agosto: cfr. Cass., 19/9/2017, n. 21674), scadeva il 21/9/2016.

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 2,29,30 e 32 Cost., artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che, con “ragionamento… contraddittorio”, la corte di merito abbia negato il risarcimento del “danno da perdita del rapporto parentale”.

Lamentano che l'”unica distinzione che si registra negli orientamenti giurisprudenziali riguarda la qualificazione, ai fini della liquidazione, del danno da risarcire che, da un orientamento… è indicato come “danno biologico terminale”… e, da altro orientamento, è classificato come danno catastrofale”, che “per alcune decisioni ha natura di danno morale soggettivo… e per altre di danno biologico psichico”.

Con il 3 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia “provveduto a decurtare dall’importo risarcitorio la somma complessiva di Euro 20.093,36, tratta dal decreto di concessione dell’indennizzo del de cuius A.G.”, laddove “non è sufficiente l’eccezione di parte convenuta in merito alla spettanza a favore del danneggiato di una somma a titolo di indennizzo, poichè non fornisce elementi per individuare l’esatto ammontare del credito opposto in compensazione, ossia non assolve all’onere probatorio sulla stessa gravante ex art. 2697 c.c. di indicare l’esatto ammontare dell’indennizzo percepito”. A fortiori in considerazione della circostanza che “le tabelle riguardanti l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992 hanno un carattere predeterminato, che non consente di individuare, in mancanza di dati specifici di cui è onerato colui che eccepisce la compensazione, il preciso importo della somma da portare in decurtazione del risarcimento”.

Lamentano che le somme scomputabili ex L. n. 210 del 1992 sono solo quelle “già percepite” dal danneggiato.

I motivi sono p.q.r. fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.

Come questa Corte ha avuto già modo di sottolineare (v. Cass., 19/10/2016, n. 21060), all’esito della pronunzia Cass., Sez. Un., n. 15350 del 2015 per la configurabilità del c.d. danno tanatologico subito dalla vittima per la sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine (danno morale terminale o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico: v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26772; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26773), assume rilievo il criterio dell’intensità della sofferenza provata (v. Cass., 20/8/2015, n. 16993; Cass., 8/4/2010, n. 8360; Cass., 23/2/2005, n. 3766; Cass., 1/12/2003, n. 18305; Cass., 19/10/2007, n. 21976; Cass., 24/5/2001, n. 7075; Cass., 6/10/1994, n. 8177; Cass., 14/6/1965, n. 1203. In tema di c.d. danno catastrofico v. Cass., 2/4/2001, n. 4783), a prescindere dall’apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima.

Allorquando tra le lesioni colpose e la morte intercorra un “apprezzabile lasso di tempo” è viceversa risarcibile, e “per il tempo di permanenza in vita” (v. Cass., 16/5/2003, n. 7632), il danno biologico terminale (v. Cass., 28/8/2007, n. 18163).

Diversamente dal danno morale terminale, il danno biologico terminale, quale pregiudizio della salute che anche se temporaneo è massimo nella sua entità ed intensità (v. Cass., 23/2/2004, n. 3549) in quanto conduce a morte un soggetto in un sia pure limitato ma apprezzabile lasso di tempo (v. Cass., 23/2/2005, n. 3766), è invero “sempre esistente”, per effetto della “percezione, anche non cosciente”, della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita (v. Cass., 28/8/2007, n. 18163).

Il c.d. danno tanatologico costituisce danno subito da colui che la vita perde, il diritto di credito al relativo risarcimento venendo dal medesimo acquisito in vita e trasmesso iure hereditatis (v. Cass., 23/2/2004, n. 3549; Cass., 1/2/2003, n. 18305; Cass., 16/6/2003, in 9620; Cass., 14/3/2003, n. 3728; Cass., 2/4/2001, n. 4783; Cass., 10/2/1999, n. 1131; Cass., 29/9/1995, n. 10271).

A tale stregua, esso si differenzia radicalmente dal danno da perdita del rapporto parentale, che è il danno subito iure proprio dai parenti per la venuta meno della relazione parentale che li legava rispettivamente al defunto.

Questa Corte ha avuto più volte modo di affermare che ai medesimi spetta, oltre al danno patrimoniale (cfr. Cass., 2/2/2007, n. 2318; Cass., 8/3/2006, n. 4980), anche il risarcimento del danno non patrimoniale – e di quello morale in particolare – iure proprio sofferto per la perdita del congiunto, dovendo essere dai richiedenti provata l’effettività e la consistenza della relazione parentale, ma non anche il rapporto di convivenza, non assurgendo quest’ultimo a connotato minimo di relativa esistenza (v. Cass., 19/11/2018, n. 29784; Cass., 15/2/2018, n. 3767; Cass., 7/12/2017, n. 29332; Cass., 20/10/2016, n. 21230. Cfr. altresì Cass., 1/12/2010, n. 24362. Contra, ma isolatamente, con particolare riferimento ai nonni, v. Cass., 16/3/2012, n. 4253).

Avuto riguardo all’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, va per altro verso osservato come questa Corte abbia già avuto più volte modo di porre in rilievo che esso può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno) solo se sia stato effettivamente versato o, comunque, sia determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il lucrum, in quanto l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare, nè il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso importo da portare in decurtazione del risarcimento (v. Cass., 14/6/2013, n. 14932; e, conformemente, Cass., 10/5/2016, n. 9434, nonchè, da ultimo, Cass., 22/8/2018, n. 20909).

Orbene, i suindicati principi sono stati dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.

In particolare là dove (dopo aver rigettato le “doglianze concernenti la commisurazione dei danni”, e in particolare di quello biologico “patito da A.G. commisurato dal Tribunale al 30% sulla base delle corrispondenti valutazioni del consulente… rispetto alle quali non vengono offerti contrari elementi di valutazione suscettibili di infirmarne l’attendibilità medico-legale”, con relativa liquidazione effettuata sulla base dei “noti criteri tabellari per punto di invalidità utilizzati dal Tribunale di Milano”), risulta da tale giudice apoditticamente e non ben comprensibilmente affermato che “per le medesime ragioni va disattesa la corrispondente doglianza concernente la commisurazione del danno morale riconosciuto iure hereditatis”, e non potendo reputarsi “sussistente alcun danno morale in capo ad Al.Fe., A.C., A.P. e A.L.”, rispettivamente fratello e sorelle del defunto, “in assenza di qualsivoglia elemento valutativo circa la concreta incidenza…a partire dal dato della convivenza familiare dei medesimi nel periodo compreso tra il manifestarsi della patologia ed il decesso dell’ A.G.”.

Ancora, nella parte in cui si è, con riferimento all'”indennizzo ricevuto dal dante causa ai sensi della L. n. 210 del 1992″, dalla corte di merito affermato che “alla luce della documentazione versata in atti (cfr. decreto del Ministero della Sanità in data 30.7.1997…) e delle stesse allegazioni contenute nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (ove si cita l’esistenza del medesimo decreto di concessione dell’indennizzo in questione) appare senza dubbio provato che l’ A.G. abbia ricevuto la somma complessiva di vecchie Lire 38.906.175, oggi pari ad Euro 20.093,36”, anche se “il relativo mandato di pagamento è stato prodotto senza quietanza”.

A tale stregua, da un canto, non risulta invero chiaro quale tipo di danno la corte di merito abbia nella specie considerato e valutato, se il danno morale terminale o c.d. tanatologico spettante ai parenti del defunto iure hereditatis ovvero il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale dai medesimi iure proprio sofferto.

Per altro verso, come dagli odierni ricorrenti lamentato, non è invero dato evincersi l’esatto ammontare nella specie dal Ministero opposto in compensazione a titolo di indennizzo ex L. n. 210 del 1992, giacchè la riconosciuta spettanza a favore del danneggiato di una somma a tale titolo non fornisce invero elementi per individuare l’esatto ammontare del credito opposto in compensazione, non potendo pertanto di per sè far ritenere assolto l’onere probatorio di indicare l’esatto ammontare dell’indennizzo percepito, gravante sul Ministero tenuto alla relativa effettiva corresponsione. A fortiori in considerazione della circostanza che, come dagli odierni ricorrenti correttamente lamentato, “le tabelle riguardanti l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992 hanno un carattere predeterminato, che non consente di individuare, in mancanza di dati specifici di cui è onerato colui che eccepisce la compensazione, il preciso importo della somma da portare in decurtazione del risarcimento”.

Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito fa riferimento al mero “decreto di concessione dell’indennizzo”, invero illogicamente e contraddittoriamente ritenendo “senza dubbio provato che l’ A.G. abbia ricevuto la somma complessiva di vecchie Lire 38.906.175, oggi pari ad Euro 20.093,36”, a fronte della circostanza che “il relativo mandato di pagamento è stato prodotto senza quietanza”.

Dell’impugnata sentenza, assorbiti gli altri motivi (il 2 motivo con il quale i ricorrenti denunziano “violazione e/o falsa applicazione delle Tabelle di Milano”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi che, con motivazione del tutto insufficiente, la corte di Milano non abbia tenuto conto delle Tabelle di Milano; e il 4 motivo con il quale denunziano violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi che la corte di merito abbia immotivatamente operato la compensazione parziale delle spese di lite) nonchè ogni altra questione e diverso profilo, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2019

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