Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21837 del 28/10/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. trib., 28/10/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 28/10/2016), n.21837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 266-2011 proposto da:

IMMOBILIARE VANVITELLI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI AVIGNONESI 5,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO SOPRANO, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI NAPOLI

UFFICIO TERRITORIALE DI NAPOLI (OMISSIS), EQUITALIA POLIS SPA,

EQUITALIA SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 210/2009 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 10/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al

controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

La Immobiliare Vanvitelli spa propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 210/52/09 del 10 novembre 2009 con la quale la commissione tributaria regionale di Napoli, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di mora notificatole nel febbraio 2005 dal concessionario Gest Line spa, per Invim decennale complementare (OMISSIS), pur in assenza di previa notifica della cartella esattoriale.

Ha osservato, in particolare, la commissione tributaria regionale, che l’avviso di mora in oggetto si basava sulla sentenza – definitiva – della commissione tributaria provinciale di Napoli n. 382/38/00, di rigetto del ricorso dalla contribuente proposto contro l’avviso di liquidazione originariamente notificato. La contestazione dell’avviso di mora, non concernendo vizi propri di quest’ultimo, concretava pertanto violazione del principio del ne bis in idem; a nulla rilevando, se non per un’eventuale riduzione frazionata del tributo D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 56 nè che la somma dovuta fosse stata dall’amministrazione finanziaria iscritta a ruolo ((OMISSIS)) prima della suddetta sentenza della commissione tributaria provinciale, nè che l’avviso di mora non fosse stato preceduto dalla cartella esattoriale.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta da Equitalia spa (già Gest Line spa). La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1.1 Con il primo motivo di ricorso la società deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 21, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 56, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 nonchè erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione. Ciò, per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ravvisato la violazione del principio del ne bis in idem, nonostante che, nella specie, non si controvertesse della fondatezza della pretesa tributaria (attestata dal giudicato di cui alla sentenza CTP n. 382/38/00), bensì di un vizio proprio dell’avviso di mora; in quanto basato su un’iscrizione a ruolo effettuata (febbraio 99) per l’intero importo dovuto, nonostante la pendenza del giudizio di primo grado.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 21, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 56 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, nonchè insufficiente ed erronea motivazione; posto che, vertendosi nella specie di Invim complementare per maggior valore accertato, l’iscrizione a ruolo in pendenza del giudizio di primo grado non poteva essere effettuata per l’intero importo, ma soltanto in misura ridotta D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 56.

p. 1.2. Questi due motivi di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria – sono infondati.

Come riconosciuto dalla stessa società contribuente, la pretesa tributaria è divenuta ormai intangibile a seguito del passaggio in giudicato, nel giugno 2000, della sentenza della commissione tributaria provinciale di Napoli n. 382/38/00, cit..

Tale giudicato non può non valere per l’intero importo dedotto nell’originario avviso di liquidazione opposto, con conseguente inammissibilità – come osservato dalla commissione tributaria regionale nella sentenza qui impugnata – di ogni contestazione concernente vuoi l’an vuoi il quantum della stessa.

Il sopravvenire del giudicato di integrale debenza supera, sanandolo, l’aspetto dell’indebita iscrizione a ruolo per l’intero importo nonostante la pendenza del giudizio poi definitosi con la stessa sentenza CTP n. 382/38/00 citata (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 56). Va infatti considerato che, proprio sul presupposto dell’intervenuta definitività di quest’ultima sentenza, il rapporto dì riscossione si è instaurato sulla base di un titolo esecutivo necessariamente rapportato all’intero. E che, d’altra parte, tale rapporto è stato portato a conoscenza della società contribuente mediante la notificazione di un atto, l’avviso di mora qui impugnato, di parecchi anni successivo alla definitività della sentenza, ed in assenza del quale la stessa iscrizione a ruolo sortiva efficacia meramente interna all’amministrazione finanziaria ed al rapporto tra quest’ultima e l’ente concessionario.

Ciò vale ad escludere che l’avviso di mora in questione sia affetto da un “vizio proprio”, asseritamente individuabile nel trovare esso presupposto in un’iscrizione a ruolo eseguita per importo totale invece che frazionato ex art. 56 cit.. Vero è invece che esso si fonda su un’iscrizione a ruolo ormai incontestabile perchè, come detto, conforme al giudicato; assunto, quest’ultimo, quale titolo giudiziale sopravvenuto di riferimento della pretesa impositiva.

In definitiva, la pretesa della società contribuente non poteva trovare accoglimento: nè se riferita alla pretesa tributaria in quanto tale (ormai effettivamente “coperta”, come rilevato dalla CTR, dalla preclusione del ne bis in idem), nè se indirizzata all’avviso di mora, risultando quest’ultimo – come detto emesso e notificato in conformità ad un giudicato tra le parti.

p. 2.1 Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 nonchè motivazione insufficiente ed erronea; per avere la commissione tributaria regionale omesso di rilevare la nullità dell’avviso di mora, in quanto non preceduto dalla notificazione della cartella di pagamento, inteso quale primo atto necessario di riscossione nell’ambito di un ordinato procedimento amministrativo di realizzazione della pretesa impositiva.

p. 2.2 Il motivo non può trovare accoglimento.

Non sussistono, in particolare, i presupposti per fare qui applicazione del principio di cui alla sentenza Cass. SSUU n. 16412 del 25/07/2007, invocata dalla ricorrente, la quale ha stabilito il seguente principio di diritto: “Nella disciplina della riscossione delle imposte vigente in epoca anteriore alla riforma introdotta dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, la cartella di pagamento svolge la funzione di portare a conoscenza dell’interessato la pretesa tributaria iscritta nei ruoli, entro un termine stabilito a pena di decadenza della pretesa tributaria, ed ha un contenuto necessariamente più ampio dell’avviso di mora, la cui notifica è prevista soltanto per il caso in cui il contribuente, reso edotto dell’imposta dovuta, non ne abbia eseguito spontaneamente il pagamento nei termini indicati dalla legge. La mancata notificazione della cartella di pagamento comporta pertanto un vizio della sequenza procedimentale dettata dalla legge, la cui rilevanza non è esclusa dalla possibilità, riconosciuta al contribuente dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di esercitare il proprio diritto di difesa a seguito della notificazione dell’avviso di mora, e che consente dunque al contribuente di impugnare quest’ultimo atto, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti”.

Fermo restando tale insegnamento, va infatti osservato come – nella specie l’avviso di mora non si sia posto come atto sostitutivo di quello propriamente impositivo (che l’origine del rapporto impositivo tra le parti va qui individuata nella notificazione alla società, fin dal febbraio 94, dell’avviso di liquidazione in rettifica della dichiarazione Invim decennale); e, nemmeno, della cartella di pagamento nell’ambito di un rapporto di riscossione su di esso basato.

Ciò che rende infatti peculiare la presente fattispecie è l’intervenuto giudicato di debenza, con riguardo al quale l’avviso di mora si pone quale atto di riscossione di un credito tributario non soltanto già noto alla società contribuente in tutti i suoi elementi costitutivi, ma anche già definitivamente accertato in sede giurisdizionale.

Sicchè il diritto dell’amministrazione finanziaria si pone sul piano meramente esecutivo e realizzativo di un credito certo, liquido ed esigibile; assoggettato, in quanto tale, non a termine decadenziale ma soltanto al termine prescrizionale decennale, ed estraneo ai profili tipici della realizzazione della pretesa invece ancora basata sull’atto impositivo originario (nel senso che, in caso di riscossione di un Invim definitivamente accertata con sentenza passata in giudicato, il titolo in base al quale viene intrapresa l’esecuzione non è più l’atto originario, ma la sentenza che ne ha confermato la legittimità pronunciando sul rapporto: Cass. 842/14 ed altre).

Ne deriva che, nella concretezza della presente fattispecie, l’avviso di mora non potrebbe evidentemente invalidarsi sotto il profilo della mancata conoscenza della pretesa tributaria da parte della società contribuente, che tale pretesa ha contestato in sede giurisdizionale.

p. 3. Con il secondo motivo di ricorso la società deduce motivazione erronea ed insufficiente, nonchè violazione dell’articolo 112 codice procedura civile; per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato sulle eccezioni formulate da essa appellata nè sulle censure assorbite in primo grado, e da essa riproposte in appello.

Si tratta di doglianza finanche inammissibile, là dove lamenta la mancata pronuncia su eccezioni e censure non meglio identificate nè identificabili.

Nella formulazione del motivo ci si duole del fatto che la commissione tributaria regionale sia contravvenuta al suo obbligo di delibare le eccezioni e censure assorbite “di cui innanzi” (v.ric.pag.8), senza farsi carico in alcun modo di specificare di quali eccezioni e censure si trattasse, nè in quali sedi e momenti processuali esse fossero state introdotte ovvero riproposte nel corso del giudizio. Nemmeno, infine, vengono indicate le specifiche risultanze processuali interne al fascicolo d’ufficio o di parte (atti difensivi; sentenze di primo e secondo grado; verbali di causa) dalle quali tali circostanze processuali potrebbero – con la dovuta immediatezza e concentrazione eventualmente accertarsi. Ciò depone, in definitiva, per la carenza del requisito di autosufficienza del motivo ex art. 366 c.p.c., n. 6.

In tale situazione, deve dunque prendersi atto di come non risulti in alcun modo che la società contribuente abbia investito il giudice di merito di motivi di impugnazione dell’avviso di mora, ovvero di eccezioni alle tesi di controparte, diversi ed ulteriori rispetto a quelli dedotti nel presente giudizio di legittimità; per i quali vale quanto in questa sede stabilito.

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore dell’agenzia delle entrate, che liquida in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA