Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21836 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. II, 20/10/2011, (ud. 20/05/2011, dep. 20/10/2011), n.21836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16103-2009 proposto da:

TECHNYMON SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALESSANDRIA 119, presso lo studio dell’avvocato CICCHIELLO FRANCO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato D’ADAMO GERARDO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

EDIL STRADE VIGANI SRL, in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo

studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BORDOGNA RAFFAELLA, giusta mandato speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2008 del TRIBUNALE di BERGAMO del 12/05/08,

depositata il 13/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Cicchiello Franco, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti insistendo per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Pafundi Gabriele, difensore della controricorrente

che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ZENO IMMACOLATA che ha

concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1) Il 5 ottobre 2005 il giudice di pace di Grumello del Monte respingeva l’opposizione proposta da Technymon srl avverso il decreto ingiuntivo che ordinava il pagamento di Euro 1019,30 in favore di Edil Strade Vigani srl.

Il tribunale di Bergamo, con sentenza 13 maggio 2008, confermava la decisione, dichiarando inammissibile l’appello.

A tal fine rilevava che la sentenza era stata emessa nell’ambito della cognizione di equità del giudice di pace, che ammetteva, ratione temporis, solo l’immediato ricorso per cassazione.

L’opponente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 26 giugno 2009, con due motivi.

L’ingiungente ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

2) Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1182, 1183, 1219 e 2697 c.c., art. 115 c.p.c., artt. 167 e 423 c.p.c. e art. 111 Cost..

Parte ricorrente pone alla Corte il seguente quesito: Voglia codesta Corte stabilire se, nelle obbligazioni pecuniarie, il dies a quo per il computo degli interessi legali, in presenza della non contestazione tra le parti circa l’immediata esigibilità del pagamento a far tempo dalla data di emissione della fattura attestante il diritto di credito, decorra dalla predetta data di emissione della fattura attestante il credito, decorra dalla predetta data di emissione del documento fiscale, ovvero dall’atto di costituzione in mora rappresentato dalla notifica della domanda giudiziale.

Il fine del quesito è di affermare che il valore della causa superava i millecento Euro, ditalchè il rimedio avverso la sentenza del giudice di pace doveva essere l’appello, come proposto al tribunale di Bergamo e non il ricorso immediato per cassazione.

Rileverebbero a tal fine, per incrementare la somma capitale richiesta (Euro 1019,00), gli interessi legali decorrenti dal 21 febbraio 2000 (pari a 75,57 Euro) e le spese di insoluto (Euro 7,65).

Il secondo motivo espone violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c., art. 113 c.p.c. e art. 339 c.p.c..

Esso si conclude con il seguente quesito: Voglia codesta Corte stabilire se, per la determinazione del valore di una domanda giudiziale ai fini dell’individuazione del mezzo di gravame esperibile avverso la sentenza del giudice di pace (nel regime applicabile al caso di specie previgente l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) si debba considerare l’intero contenuto dell’atto introduttivo, ovvero attenersi alla mera formulazione letterale delle conclusioni finali”.

3) Così proposto, il ricorso si rivela inammissibile, perchè il primo quesito non è pertinente nè completo, e il secondo è tautologico e non risolutivo.

In particolare, quanto al secondo quesito è intuitivo rilevare che esso si risolve in un mero interpello, avente scontata risposta, su quale sia l’obbligo di motivare del giudice con riguardo all’esame complessivo della domanda giudiziale, ma non assolve allo scopo.

La funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, e di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 8463/09).

Ne consegue che non corrisponde alle prescrizioni di legge il quesito formulato, come nella specie, prescindendo del tutto dalla fattispecie concreta rilevante nella controversia (SU 7433/09) e che quindi non chiarisce l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass 7197/09).

In realtà la doglianza avrebbe forse dovuto configurare la denuncia di un vizio di motivazione, giacchè in sede di legittimità, nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. 20373/08).

Tale era la questione sottesa all’astratto quesito, giacchè l’errore eventualmente commesso nella valutazione della portata della domanda – indipendentemente dalla sua rilevanza (se ai fini della competenza o della pronuncia di condanna), era errore del tipo sopradetto.

Ne consegue che non solo è inammissibile il motivo, proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 con quesito astratto, ma che la censura non può essere esaminata sotto profilo diverso.

La denuncia del vizio di motivazione deve infatti concludersi con la chiara indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione. In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) ha chiarito che la censura ex art. 360, n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere.

Anche questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Nè va sottovalutato che la censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 avrebbe dovuto essere ancor più ossequente al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dovendo riportare testualmente e integralmente il contenuto degli atti dei quali era lamentata la inadeguata valutazione. Anche la mancanza di questo indispensabile adempimento è ravvisabile nel caso in esame.

4) Non miglior sorte spetta al primo motivo, presentato con quesito che difetta di concretezza, perchè assume come pacifica una circostanza che non emerge dalla sentenza impugnata e che anzi è implicitamente esclusa e avrebbe dovuto essere oggetto di specifica censura.

Il quesito muove infatti dall’assunto che si fosse “in presenza della non contestazione tra le parti circa 1’immediata esigibilità del pagamento a far tempo dalla data di emissione della fattura” Orbene, non solo tutto ciò non consta dalla decisione impugnata e dovrebbe essere oggetto di un accertamento di fatto che non è richiedibile per la prima volta al giudice di legittimità, ma, vizio ancor maggiore, la censura non coglie la ratio della decisione.

Per il tribunale di Bergamo infatti la richiesta degli interessi non poteva essere conteggiata dal giorno successivo al ricevimento della fattura, come vorrebbe parte ricorrente, perchè non risultava neppure allegato che la fattura (non versata in atti) prevedesse un termine di pagamento, con la conseguenza che gli interessi – genericamente richiesti “dal dovuto” – potevano essere riconosciuti solo dalla data della domanda.

Tale affermazione, ineccepibile alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte in tema di funzione della fattura commerciale (Cass. 806/09; 10434/02), avrebbe dovuto essere specificamente oggetto di critica in punto di fatto, cioè con riguardo alla valutazione del documento, o di diritto, restando altrimenti inconferenti, per tutto quanto detto, le doglianze circa la immediata esigibilità del pagamento.

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 600 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile tenuta, il 20 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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