Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21835 del 29/08/2019

Cassazione civile sez. II, 29/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 29/08/2019), n.21835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4431/2018 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Paolo Emilio

N. 7, presso lo studio dell’avvocato Di Giacomo & Partners

Studio Legale, rappresentato e difeso dall’avvocato Ester Perifano;

– ricorrente –

contro

Ministero Economia Finanze, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso Avvocatura Generale Dello Stato,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello Di Roma, depositato il

01/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il P. ricorre per la Cassazione del decreto emesso dalla Corte d’appello di Roma, sezione equa riparazione, depositato in cancelleria in data 01.08.2017, nel procedimento ex L. n. 89 del 2001 e iscritto al R.G n. 51435/2012 V.G. con il quale è stata dichiarata improponibile la domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo, proposta nei confronti del Ministero Economia e Finanze;

– il ricorrente adiva la Corte d’appello di Roma con ricorso ex L. n. 89 del 2001, depositato in cancelleria il 12.3.2012, illustrando che: egli aveva proposto ricorso presso il TAR della Campania, con atto depositato in data 29/12/2004;

– con il summenzionato ricorso il P. si opponeva all’ordinanza n. 27 del 21.10.2004, emessa dal Dirigente dell’Ufficio Tecnico del comune di Foglianise, riguardante la demolizione di opere abusive, e ad ogni altro atto conseguente, connesso e/o preordinato;

– il ricorrente ha poi proposto la domanda di riparazione ex L. n. 89 del 2001, adducendo che, alla data del 12.3.2012, nonostante fossero trascorsi 8 anni dalla proposizione del ricorso di primo grado, la causa non era ancora giunta a decisione;

– il P. segnala anche di aver proposto due istanze di fissazione dell’udienza di discussione R.D. 17 agosto 1907, n. 643, ex art. 51, comma 2, depositate nelle date 29.12.2004 e 7.3.2012;

– con il decreto depositato in cancelleria il 1.8.2017 la Corte d’appello di Roma dichiarò improponibile la domanda in quanto non era stata proposta l’istanza di prelievo davanti al TAR, come previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, conv. con L. n. 133 del 2008 e succ. mod.;

– la mancata presentazione dell’istanza di prelievo portava la Corte d’appello alla conclusione che ciò fosse indice di un mancato interesse della parte alla rapida definizione del giudizio;

– la cassazione del decreto viene chiesta, tramite ricorso articolato in due motivi, da P.C.;

– il Ministero intimato si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 e art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in combinato disposto con gli artt. 10 e 11 Cost., nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 2,D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in legge con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1, in vigore dal 22 agosto 2008 e del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 3, comma 23, all. 4 e successive modifiche;

– si richiamano le previsioni della Convenzione EDU, art. 6 par. 1 e art. 13, che affermano come la tutela giurisdizionale debba essere efficace ed effettiva;

– in ragione di queste statuizioni e dell’applicabilità della CEDU negli ordinamenti degli stati firmatari, il ricorrente afferma che, la Corte d’Appello non ha adempiuto al suo dovere di fornire una tutela giurisdizionale effettiva;

– la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo qualificasse una mancanza di interesse dei ricorrenti alla rapida soluzione della controversia davanti al TAR;

– per il ricorrente l’interesse alla decisione sarebbe riscontrabile nelle 2 istanze di sollecitazione che furono depositate, le quali avrebbero svolto un ruolo analogo a quello della mancata istanza di prelievo, prevista dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 71;

– col secondo motivo di ricorso viene sollevata questione di legittimità costituzionale del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in legge con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133. Art. 1, comma 1 in vigore dal 22 agosto 2008, per contrasto agli artt. 10,11 e 117 Cost., con riferimento agli artt. 6, 13 e 41 CEDU, così come interpretati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo;

– la CEDU, nella recente sentenza Olivieri c. Italia, ha autorevolmente rilevato che la presentazione dell’istanza di prelievo non costituisce un rimedio effettivo all’inerzia del processo, in quanto la legge italiana non ricollega tale effetto alla sua presentazione. Continua la Corte di Strasburgo, affermando come la presentazione di detta istanza costituisca una mera condizione formale, avente l’effetto di ostacolare l’accesso delle persone ai procedimenti di equo indennizzo e quindi all’effettiva tutela giurisdizionale che la convenzione indica come diritto fondamentale;

– di conseguenza l’obbligo di proporre l’istanza di prelievo risulta in contrasto con gli art. 6, 13 e 41 CEDU e degli artt. 10, 11 e 117 Cost., sulla cui base è avvenuta l’apertura del nostro ordinamento alle fonti comunitarie e agli obblighi internazionali;

– i due motivi possono essere considerati congiuntamente, in quanto entrambi si ricollegano, al di là della qualificazione dell’istanza depositata nel giudizio amministrativo, alla legittimità del presupposto richiesto per la proposizione del ricorso per l’equa riparazione da irragionevole durata del processo;

– il ricorso è fondato e va accolto;

– questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27923/2017, relativa al ricorso 5086/2015 proposto da M.G. contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, all. 4 e dal D.Lgs. Correttivo n. 195 del 2011, art. 1, comma 3, lett. a), n. 6), in relazione all’art. 117 Cost., comma 1 e ai parametri interposti dell’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 CEDU;

– ritiene il Collegio di dover prendere atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui della stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis, atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole);

– la Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex legge Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;

-ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU;

– ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo;

– per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;

– la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6, par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda;

– al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

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