Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21835 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 20/04/2018, dep. 07/09/2018), n.21835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO A. M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30233/2011 R.G. proposto da:

Adige Cereale s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Moschetti e

Francesco D’Ayala Valva, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo, sito in Roma, viale Parioli, 43;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 59/22/10, depositata il 21 ottobre 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 aprile

2018 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la Adige Cereale s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 21 ottobre 2010, che ha parzialmente accolto l’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto i ricorsi – riuniti – per l’annullamento di due distinti avvisi di accertamento con cui, relativamente agli anni 2003 e 2004, era stato rideterminato il reddito della società e recuperate a tassazione le imposte non versate;

– dalla sentenza impugnata si evince che l’Ufficio aveva proceduto all’accertamento del reddito di impresa e del volume di affari della società contribuente in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55;

– il giudice di appello, premessa la sussistenza dei presupposti di applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, contestata dalla società contribuente, ha accolto l’appello di quest’ultima riducendo l’imponibile accertato per l’anno 2004 ad Euro 121.551,95, in coerenza con i valori accertati dai verificatori, e demandando all’Ufficio il ricalcolo dell’imposta e delle sanzioni;

– ha motivato la sua decisione in ragione del fatto che, ai fini della ricostruzione dei ricavi, la sostituzione dei prezzi dichiarati dal contribuente con quelli presunti dall’Ufficio non era avvenuta attraverso il confronto di dati certi, storicamente dimostrati, e il riferimento operato ai prezzi medi annui ricavati dai listini delle Borse di Verona e Bologna avrebbe dovuto tenere conto della siccità, dei contratti a lungo termine conclusi prima della compagna e della situazione particolare della società nell’anno in verifica;

– il ricorso è affidato a sei motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), per aver la sentenza impugnata erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per l’applicazione della predetta norma;

– evidenzia, in particolare, che non vi era alcun collegamento logico tra le irregolarità rilevate (valutazione delle rimanenze finali difforme da quanto dichiarato nella nota integrativa; aliquote di ammortamento non corrette; contabilizzazione di costi non documentati e/o non inerenti; omesse registrazioni inerenti il patrimonio netto; fondo di riserva non reale; bilancio non corrispondente ai valori esposti in contabilità) e la rettifica induttiva dei ricavi che ne è conseguita;

– il motivo è infondato;

– qualora, come nel caso in esame, viene in rilievo un’inattendibilità globale delle scritture, l’Ufficio è autorizzato a prescindere da esse ed a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva;

– la circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle scritture rende, dunque, di per sè sola legittima l’adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti per il ricorso ad esso incidano le modalità con cui tale forma di accertamento viene poi eseguita (così, Cass. 28 dicembre 2006, n. 27068);

– non è, dunque, richiesto un collegamento tra le irregolarità contabili rilevate e la ricostruzione induttiva operata dall’Ufficio, nel senso che tale attività è circoscritta alla sostituzione degli elementi ritenuti non corretti, in quanto le irregolarità rilevate, in ragione della loro gravità e della loro quantità, rendono complessivamente inattendibili tutte le scritture contabili e, per tale motivo, autorizzano l’Ufficio alla ricostruzione del reddito (anche) prescindendo da esse;

– pertanto, non vi è alcuna contraddizione nel ritenere sussistenti i presupposti per l’accertamento induttivo del reddito pur in presenza di poste del conto economico apparentemente non irregolari;

– con il terzo motivo si censura la sentenza della Corte territoriale per omessa e insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, nella parte in cui determina l’imponibile confermando i valori accertati dai verificatori nel processo verbale di contestazione, senza prendere in considerazione le circostanze di fatto dalla stessa allegate – notevole crescita del mais e gravissimo incidente subito dal sig. M.M., figlio dell’amministratrice unico della società contribuente – da cui si desumeva l’erroneità della ricostruzione operata dall’Ufficio;

– il motivo è inammissibile, in quanto muove dall’erroneo assunto che la Commissione regionale abbia confermato la ricostruzione dell’imponibile operata dall’Ufficio e non abbia valutato le specifiche circostanze allegate dalla contribuente che deponevano per una sovrastima dei valori accertati;

– la sentenza, in realtà, disattende parzialmente tali valori pervenendo – in accoglimento parziale dell’appello – ad una rideterminazione dell’imponibile in senso più favorevole alla contribuente, previa valorizzazione (anche) delle circostanze di fatti da queste allegate;

– con il quarto motivo censura la sentenza impugnata per omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, nella parte in cui, relativamente all’anno 2004, non prende in esame l’eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, in quanto la rettifica del reddito, operata dall’Ufficio con distinto provvedimento, si fondava su un accertamento compiuto per l’anno precedente e non già da fonti di conoscenza provenienti dall’esterno;

– con il quinto motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente reitera la medesima doglianza di cui al motivo precedente, in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, allegando l’error in procedendo per omessa pronuncia;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;

– occorre rilevare, in primo luogo, che non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti, come nel caso in esame, una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (cfr. Cass., ord. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., ord., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 14 gennaio 2015, n. 452);

– in secondo luogo, il vizio prospettato risulta avere ad oggetto non già un fatto, bensì una valutazione giuridica;

– con l’ultimo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., , commi 1 e 2, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 42, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, evidenziando che la sentenza impugnata, nel rideterminare il reddito imponibile in Euro 129.551,95, avrebbe preso in considerazione, recuperandoli a tassazione, anche costi ritenuti dai verificatori non deducibili, ma poi abbandonati nell’avviso di accertamento;

– il motivo è inammissibile, in quanto muove da un presupposto fattuale, consistente nella rilevanza attribuita a costi la cui deduzione non era stata contestata nell’avviso di accertamento impugnato, che non risulta emergere dalla sentenza di appello;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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