Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21834 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. II, 09/10/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 09/10/2020), n.21834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28349/2018 proposto da:

VALENTE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI REMI N. 26, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO TRIOLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato CLAUDIO OLIVETTI;

– ricorrente –

contro

IMPULSCOMMERCE D.O.O., in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 718/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/02/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. Con atto di citazione del 21 luglio 2010 la società Valente Pali Precompressi s.p.a. conveniva in giudizio la società croata Impulscommerce d.o.o., deducendo di aver stipulato un contratto di fornitura di palificazioni per viti, con un compenso complessivo di Euro 1.902.052,70, da corrispondersi in tre versamenti anticipati prima della consegna della merce, anch’essa da eseguirsi in tre soluzioni; il contratto, alle condizioni speciali, prevedeva l’emissione di una garanzia bancaria a favore del compratore, “a fronte” del versamento della somma pattuita; asseriva quindi l’inadempimento della convenuta per non avere eseguito il pagamento della prima rata, inadempimento confermato dal comportamento successivo di Impulscommerce, che anche quando Valente aveva prestato la garanzia bancaria, pur non essendovi tenuta, non effettuò mai il primo pagamento; chiedeva quindi che, una volta accertato l’inadempimento della società convenuta, venisse dichiarata la risoluzione del contratto ai sensi della convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci, con conseguente condanna della società convenuta al risarcimento del danno, quantificato in Euro 1.606.441,76 ovvero nella misura equitativamente determinata dal giudice. Costituitasi in giudizio, Impulscommerce chiedeva a sua volta di dichiarare la risoluzione del contratto per fatto imputabile alla società attrice, che aveva rifiutato di prestare la garanzia bancaria necessaria per procedere al versamento della prima rata del prezzo concordato e che poi aveva fornito materiale inidoneo.

Il Tribunale di Padova, accertata e dichiarata la risoluzione del contratto per l’inadempimento della società convenuta, con sentenza n. 574/2015 condannava quest’ultima al pagamento in favore dell’attrice di Euro 1.606.441,76 a titolo di risarcimento del danno.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello la società Impulscommerce d.o.o., insistendo per la dichiarazione di risoluzione del contratto a causa dell’inadempimento della controparte.

Con sentenza 23 marzo 2018, n. 718 la Corte d’appello di Venezia ha parzialmente accolto il gravame e ha così respinto la domanda di risoluzione del contratto proposta da Valente nonchè la conseguente domanda di condanna al risarcimento del danno.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione la società Valente s.r.l. (già Valente Pali Precompressi s.p.a.).

L’intimata Impulscommerce d.o.o. non ha proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in due motivi.

a) Il primo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 64 della convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci”: la Corte d’appello, che pure ha ravvisato il “grave” e “definitivo” inadempimento della società Impulscommerce (avendo questa rifiutato il pagamento nonostante la ricorrente avesse prestato garanzia bancaria anticipata), ha ritenuto tale inadempimento non determinante ai fini della risoluzione del contratto, non considerando che Valente, con la diffida del 2 novembre 2009, aveva intimato il pagamento degli importi già scaduti, tra cui il primo di Euro 320.171,42 (“coperto” da garanzia bancaria del 17 settembre 2009), pena la risoluzione del contratto e la richiesta di risarcimento del danno; in tal modo il giudice d’appello ha violato l’art. 64 della convenzione di Vienna, direttamente applicabile alla vendita in esame in virtù del richiamo contenuto nelle condizioni generali del contratto.

Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha seguito il seguente ragionamento:

– non essendo condivisibile l’interpretazione data dal Tribunale della clausola di garanzia del credito di cui al punto 5.5 delle condizioni generali del contratto giacchè contraria non soltanto alla buona fede contrattuale, ma altresì agli usi commerciali internazionali, la garanzia bancaria doveva essere disposta al più tardi contestualmente al pagamento tramite bonifico;

– ciò non comportava però l’accoglimento della domanda di risoluzione della società croata in quanto, quando poi giunse la fideiussione bancaria, Impulscommerce non pagò, così che l’inadempimento di Valente fu solo temporaneo, a differenza di quello definitivo di Impulscommerce, che mai dispose il pagamento;

– al grave inadempimento della società croata non è tuttavia seguita alcuna intimazione di Valente, la cui diffida del 2 novembre 2009 si riferisce “unicamente alla mancata corresponsione di somme già dovute prima della fideiussione”, così individuando “l’inadempimento nel mancato pagamento delle rate del prezzo nell’attesa dell’advance payment bond”, mentre l’inadempimento vi è stato col mancato pagamento successivo alla prestazione di garanzia bancaria; con impossibilità pertanto di dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento di Impulscommerce.

E’ l’ultima parte del ragionamento della Corte che la ricorrente censura. Una volta affermato il “grave” e “definitivo” inadempimento della società Impulscommerce e considerato che Valente aveva assegnato un termine alla controparte per adempiere, il giudice d’appello, in base all’art. 64 della convenzione di Vienna, non poteva rifiutarsi di dichiarare l’avvenuta risoluzione del contratto.

La convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci (conosciuta con l’acronimo CISG) prevede la risoluzione come strumento unilaterale con cui la parte pone fine al contratto mediante la sua mera dichiarazione. La convenzione prevede le due diverse situazioni in cui inadempiente sia il venditore (art. 49) e in cui inadempiente sia il compratore (art. 64). Requisito centrale per la dichiarazione di risoluzione da parte del venditore (art. 64) è che l’inadempimento degli obblighi del contratto costituisca un’inosservanza essenziale del contratto, che l’art. 25 definisce come l’inosservanza che “causa all’altra parte un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di ciò che questa era in diritto di attendersi dal contratto”; per essere efficace la dichiarazione di risoluzione deve essere comunicata all’altra parte (art. 26), atto unilaterale che secondo la giurisprudenza in materia può effettuarsi in qualsiasi forma, anche oralmente.

Nel caso in esame la valutazione di gravità dell’inadempimento è stata effettuata dalla Corte d’appello, che – come si è visto supra ha affermato la gravità e definitività dell’inadempimento rispetto al mancato pagamento del prezzo (circa il quale la venditrice ha anche concesso un termine supplementare di durata ragionevole, come prevede l’art. 63 CISG), così che deve ritenersi accertata l’inosservanza essenziale del contratto di cui all’art. 64 CISG. Valente inoltre espone di aver dichiarato in data 20 luglio 2010 la risoluzione del contratto “ai sensi e per gli effetti degli artt. 61 e segg., della convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di beni mobili” (v. p. 4 del ricorso).

Il contratto, una volta comunicata la risoluzione ai sensi dell’art. 26 CISG, doveva quindi ritenersi risolto ai sensi dell’art. 64 della convenzione di Vienna.

b) L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo che, per le stesse ragioni, denuncia “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 1453 c.c., applicabile in via sussidiaria alla fattispecie in esame rispetto alle previsioni della convenzione di Vienna in virtù del richiamo previsto nel contratto”.

II. Il ricorso va quindi accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Venezia, che deciderà la causa attenendosi all’interpretazione dell’art. 64 della convenzione di Vienna sopra operata; il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

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