Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21831 del 29/08/2019

Cassazione civile sez. II, 29/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 29/08/2019), n.21831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13968/2017 proposto da:

Igea Soc Coop ARL, con sede in (OMISSIS), P. IVA (OMISSIS), in

persona del presidente del consiglio d’amministrazione p.t., Sig.

B.I. rappresentato e difeso dall’Avv. Claudio Defilippi, del

foro di Milano che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso Avvocatura

Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 224/2016 della Corte d’appello di

Caltanissetta, depositato il 23/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– con ricorso depositato in data 08.06.2013 Igea Soc Coop ARL (d’ora in poi Igea) chiedeva l’accertamento del superamento del termine di ragionevole durata del procedimento presupposto che, iniziato davanti al TAR della Regione Sicilia il 23.06.1994, si era concluso solo in data 18. 09.2012 con una durata di 18 anni e 3 mesi per due gradi di giudizio di cui ben 14 anni per un solo grado;

– in una prima fase la Corte d’appello di Caltanissetta dichiarava inammissibile il ricorso per errata identificazione dell’amministrazione intimata, in quanto l’opposizione era stata notificata al Ministero della Giustizia, invece che a quello dell’Economia e Delle Finanze;

– contro questa pronuncia la ricorrente depositò ricorso in Cassazione il quale fu accolto con l’ordinanza n. 14286/15 del 08.07.2015 che dispose per la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio presso la corte territoriale per una nuova pronuncia sul merito;

– in seguito alla riassunzione, con Decreto n. 224 del 2016, emesso in data 3 novembre 2016 la corte nissena rigettava nuovamente la domanda proposta da Igea perchè la ricorrente non aveva presentato l’istanza di prelievo durante il giudizio davanti al TAR;

– la cassazione del suddetto decreto è chiesta da Igea con ricorso articolato su due motivi;

– la ricorrente ha anche presentato memorie;

– il Ministero intimato si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia l’incostituzionalità della previsione dell’istanza di prelievo, come rimedio necessario per poter accedere alla riparazione per irragionevole durata di un processo amministrativo in quanto la sua applicazione finisce per rendere inefficace il rimedio offerto dalla L. n. 89 del 2001, contrastando così con le pronunce della Corte EDU, nello specifico Daddi c. Italia e Olivieri c. Italia e con il contenuto degli artt. 6 e 13 della Convenzione;

– occorre dare atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui della stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis, atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole);

– la Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex legge Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;

– ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU;

– ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo;

– per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;

– la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6, par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001, ma non potendo, viceversa, condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda;

– col secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 91-92 c.p.c. e D.M. n. 55 del 2014, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, per omessa e/o errata motivazione sulle spese;

– il ricorrente contesta la decisione della corte d’appello in ordine alla condanna alle spese, liquidate in Euro 1.200,00 in favore del Ministero, con compensazione anche delle precedenti fasi del giudizio;

– il motivo è assorbito dalla decisione sul primo motivo dovendo le spese essere rivalutate dal giudice del rinvio in base all’esito complessivo del giudizio;

– allo stesso giudice è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

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