Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21830 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. II, 09/10/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 09/10/2020), n.21830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22933/2016 proposto da:

B.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

37, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GRAZIANI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO ROSSI;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V. SISTINA 42,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GIORGIANNI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MATTEO GOZZI, REMO

DANOVI;

– controricorrente

e contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

MILANO, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. rg. 1605/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato Massimo Rossi, difensore della ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria;

sentito il P.M,. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Alessia Giorgianni, con delega depositata in udienza

dall’avvocato Matteo Gozzi, difensore del resistente, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Oggetto di ricorso è l’ordinanza della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 12 luglio 2016, che ha rigettato il reclamo proposto dal notaio B.B. avverso la decisione della Commissione amministrativa regionale di disciplina della Lombardia n. 144 del 2015, che ha irrogato la sanzione disciplinare della destituzione.

2. Il procedimento disciplinare era stato originato da esposti presentati da clienti della professionista, i quali lamentavano che la predetta non aveva versato all’erario le somme dovute a titolo di imposta sulle registrazioni e trascrizioni degli atti rogati, che aveva trattenuto dagli stessi clienti. Era emerso, inoltre, che il notaio B. non aveva versato tempestivamente all’erario somme dovute a titolo di imposte dirette, ed infine che, dopo avere raggiunto un accordo di rateizzazione con l’Agenzia delle entrate, non aveva pagato alcune rate.

2.1. La CO.RE.DI. aveva ritenuto il notaio B. responsabile della violazione dell’art. 147, lett. b), Legge Notarile in relazione all’art. 21 dei principi di deontologia professionale dei notai, per essere venuta meno al dovere di collaborazione con il competente consiglio notarile (capo 2 di incolpazione); della violazione dell’art. 147, lett. b), Legge Notarile in relazione all’art. 42, lett. d) dei principi deontologici, per avere omesso di prestare assistenza ai clienti raggiunti dagli avvisi di liquidazione a seguito della sua inadempienza (capo 4 di incolpazione); dell’art. 147, lett. b), Legge Notarile per avere conseguito, nel biennio precedente, un numero di crediti formativi gravemente insufficiente (capo 3 di incolpazione).

2.2. La CO.RE.DI. aveva prosciolto il notaio B. dalla incolpazione per violazione dell’art. 147, lett. a), Legge Notarile (capo 1), ritenendo che i fatti contestati – mancato versamento di imposte indirette nel periodo 2012 e 2013 – costituissero altrettanti segmenti della condotta già sanzionata con le decisioni n. 100 del 26 giugno 2012 e n. 120 del 27 giugno 2013, con le quali erano state irrogate le sanzioni della sospensione temporanea dall’esercizio della professione rispettivamente per due mesi e per un anno.

3. La Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame e confermato la decisione, ritenendo tra l’altro che l’applicazione del disposto di cui all’art. 147, comma 2, Legge Notarile – che impone la destituzione nel caso in cui il notaio, già sospeso dall’attività per due volte per violazione del medesimo art. 147, vi contravvenga nuovamente nei dieci anni successivi all’ultima violazione – rendesse inconferente il riconoscimento delle attenuanti generiche, invocate dalla professionista ai fini della conversione della sanzione, ai sensi dell’art. 144, comma 1, Legge Notarile.

4. Per la cassazione dell’ordinanza il notaio B. ha proposto ricorso affidato a sei motivi, ai quali ha resistito con controricorso il Consiglio notarile di Milano, che ha proposto ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi (pag. 25 e pag. 33 del controricorso). Non hanno svolto difese il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Milano ed il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano.

5. Il ricorso è stato chiamato in decisione nella Camera di consiglio del 18 luglio 2017, all’esito della quale, con ordinanza depositata il 15 novembre 2017, questa Corte ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 147, comma 2, Legge Notarile, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..

6. Con la sentenza n. 133 del 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato la non fondatezza delle questioni sollevate, e il ricorso è stato chiamato in decisione all’odierna Camera di consiglio, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 24 Cost., nella parte in cui, confermando il giudizio di responsabilità per i fatti contestati al capo 2 dell’incolpazione, la Corte d’appello avrebbe violato il principio nemo tenetur se detegere, applicabile anche ai procedimenti disciplinari. La mancata collaborazione del notaio B. con l’attività del Consiglio notarile di Milano, che era finalizzata all’accertamento di fatti rilevanti sul piano disciplinare, costituiva estrinsecazione del diritto di difesa.

1.1. La doglianza, che prospetta una incompatibilità tra l’obbligo di collaborazione previsto dall’art. 21 del Codice deontologico e il diritto di difesa del notaio in ambito disciplinare, è inammissibile per genericità.

Il ricorso non specifica il contesto e la natura delle richieste che il Consiglio notarile di Milano aveva fatto alla ricorrente, nè quale fosse l’oggetto dell’attività di controllo.

1.2. Sul tema generale dell’applicazione del principio fondamentale nemo tenetur se detegere in ambito disciplinare notarile, questa Corte ha affermato che il notaio non può essere costretto a rendere dichiarazioni in seguito alle quali possa essere successivamente esposto a un procedimento sanzionatorio, e che costituisce esercizio di un diritto il rifiuto di rendere dichiarazioni scritte o orali autoindizianti, ancorchè richieste dal consiglio notarile nell’ambito delle sue funzioni di vigilanza e controllo (Cass. 18/06/2004, n. 11412).

Occorre distinguere, pertanto, tra il rifiuto del notaio di fornire al consiglio competente dati e chiarimenti necessari ai fini del controllo dell’attività professionale, che configura illecito disciplinare, e il rifiuto di rendere dichiarazioni aventi ad oggetto un fatto che oggettivamente integra un illecito disciplinare, rifiuto questo sussumibile nel diritto di difesa.

1.3. Nella fattispecie in esame, la già rilevata genericità del ricorso non consente di valutare la portata asseritamente difensiva del comportamento della professionista, permanendo comunque l’obbligo di collaborazione., essendo peraltro di tutta evidenza che la mancata presentazione alle convocazioni, il mancato invio di documenti e le risposte indisponenti – come descritti dalla Corte d’appello – non sono comportamenti riconducibile all’esercizio del diritto di difesa sub specie di rifiuto di fare dichiarazioni autoindizianti.

2. Con il secondo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, difetto e contraddittorietà della motivazione e mancato esame di atti decisivi.

La ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe esaminato le risultanze istruttorie come riportate nella decisione della CO.RE.DI., in cui si dava atto che il notaio B. aveva soddisfatto le richieste del Consiglio notarile, personalmente o a mezzo del difensore.

2.1. La doglianza è inammissibile.

2.1.1. Sotto un primo profilo va ribadito che il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo risultante dalla modifica attuata con D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis al presente ricorso, è circoscritto all’omesso esame di fatto storico decisivo, e che non è più consentito il vizio di motivazione se non quando esso dia luogo ad una vera e propria violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ciò si verifica soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie (giurisprudenza costante a partire da Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053).

2.1.2. Sotto altro profilo, si deve rilevare la genericità della doglianza di omesso esame, posto che la ricorrente si limita a riportare poche frasi estrapolate dalla decisione della CO.RE.DI., di contenuto non univoco, con il risultato che neppure è comprensibile quali siano i fatti storici decisivi il cui esame sarebbe stato pretermesso dalla Corte d’appello. Per contro, come già detto, l’ordinanza impugnata (pag. 5) descrive in dettaglio la condotta contestata e gli addebiti per i quali la CO.RE.DI. aveva riconosciuto il notaio B. responsabile dell’incolpazione di mancata collaborazione con il Consiglio notarile.

3. Con il terzo motivo è denunciata nuovamente nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 24 Cost..

3.1. La doglianza è sovrapponibile a quella prospettata con il primo motivo, e pertanto si può rinviare all’esame in precedenza svolto con riferimento al suddetto motivo.

4. Con il quarto motivo è denunciato difetto di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e si contesta la responsabilità per violazione dell’art. 42, lett. d) del codice deontologico (incolpazione 4), sull’assunto che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della condizione di sospensione dall’esercizio dell’attività in cui la ricorrente si era trovata, donde l’impossibilità di prestare assistenza ai clienti nella fase successiva al perfezionamento degli atti.

4.1. La doglianza è infondata, poichè la contrapposizione tra sospensione dall’attività e assistenza ai clienti post stipula non è configurabile nei termini prospettati dalla ricorrente.

Come argomentato dal Consiglio notarile di Milano nel controricorso (pag. 19), se è vero che durante il periodo di sospensione è inibito al notaio non solo – come è ovvio – di stipulare, ma anche di compiere tutte le attività prodromiche alla stipula, risultando altrimenti vanificato il contenuto afflittivo della sanzione sotto il profilo patrimoniale, tuttavia la condizione del notaio sospeso non si esaurisce nei divieti indicati.

Il notaio sospeso non cessa di appartenere all’ordine professionale, e quindi rimane destinatario dei doveri previsti dal codice deontologico che non siano incompatibili con il divieto di esercitare, e tra essi sicuramente del dovere di prestare assistenza ai clienti nella fase successiva alla stipula, che nella specie si concretava nell’interlocuzione con clienti evidentemente disorientati dalla ricezione delle richieste di pagamento all’erario di somme da essi versate al notaio allo scopo.

Si trattava dunque di un’attività priva di contenuto tecnico, riconducibile piuttosto alla dimensione etica del comportamento del professionista chiamato a svolgere una funzione pubblica, che non cessa nella fase dei sospensione dall’attività.

4.2. La ricorrente ribadisce anche in memoria di avere provveduto a nominare un sostituto per il periodo di sospensione e di avere dato incaricato ad un avvocato di seguire i clienti. Si tratta di circostanze che non trovano riscontro nella decisione impugnata e che, comunque, difettano di decisività, non essendo in grado di per sè di incrinare la plausibilità delle conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello.

4.3. Considerazioni analoghe valgono con riferimento al dovere di aggiornamento la cui ratio, ravvisabile nella tutela dell’interesse generale alla preparazione professionale del notaio, rimane intatta a fronte della sospensione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale, che prelude alla ripresa dell’attività stessa.

4.2. Inammissibile è poi la censura riguardante l’asserita mancata valutazione dell’elemento psicologico.

Non risulta infatti che la ricorrente avesse investito la Corte d’appello della questione con l’atto di gravame (ex plurimis, Cass. 13/06/2018, n. 15430; Cass. 18/10/2013, n. 23675).

5. Con il quinto motivo è denunciata violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e si lamenta che la Corte d’appello non abbia ritenuto che tutte le condotte contestate costituissero un unicum con quelle già sanzionate con le decisioni n. 100 del 26 giugno 2012 e n. 120 del 27 giugno 2013, come riconosciuto dalla CO.RE.DI. con riferimento al capo 1 di incolpazione.

In particolare, secondo la ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della contestualità delle condotte nè della circostanza che la ricorrente era rimasta priva di sigillo sin dal 31 gennaio 2012, con conseguente impossibilità materiale di esercitare l’attività professionale.

5.1. La doglianza è priva di fondamento.

Dall’ordinanza oggetto di ricorso risulta che il proscioglimento deciso dalla CO.RE.DI. ha riguardato soltanto i fatti contestati al capo 1 di incolpazione, e cioè fatti che, in quanto relativi ad atti stipulati nel periodo 2012-2013, sono stati ritenuti segmenti della condotta già sanzionata con le decisioni sopra richiamate. Per gli altri addebiti, invece, è stato formulato giudizio di responsabilità che la Corte d’appello ha confermato, evidenziando che si trattava di fatti storicamente distinti ed autonomi da quelli oggetto delle precedenti decisioni, commessi “poco dopo le violazioni per cui (la reclamante) era stata sanzionata con le due precedenti decisioni”, con la conseguenza che anche ritenendoli “ulteriore sviluppo dei fatti precedenti”, come prospettato dalla reclamante, doveva trovare applicazione il disposto dell’art. 147, comma 2, Legge Notarile.

5.2. La decisione è immune da censure. In disparte il rilievo che la verifica della sussistenza della continuazione appartiene al giudice del merito, ed è pertanto insindacabile se sorretta, come nella specie, da adeguata motivazione, la Corte d’appello – che ha ragionato tralasciando consapevolmente il tema dell’applicabilità dell’istituto della continuazione in ambito di sanzioni disciplinari – ha affermato che il riconoscimento del vincolo della continuazione opera esclusivamente sul piano della entità della pena, e non impedisce l’applicazione della recidiva, sicchè non avrebbe comunque giovato alla reclamante, stante il disposto dell’art. 147, comma 2, Legge Notarile e l’affermazione è corretta.

Il principio della compatibilità tra continuazione e recidiva, consolidato nella giurisprudenza penale di questa Corte (ex plurimis, Cass. pen. 12/09/2018, n. 54182; Cass. pen. 22/03/2018, n. 21043; Cass. pen. 19/09/2017, n. 51607; Cass. pen. 22/04/2016, n. 18317), muove dalla considerazione che, per un verso, l’istituto della continuazione tra reati, fondato sulla previsione di una fictio iuris finalizzata al temperamento del trattamento penale del soggetto agente, è determinante solo quoad poenam, e che, per altro verso, la pluralità di condotte criminose attuative dell’unico disegno criminoso costituisce efficace testimonianza della effettiva proclività dell’agente alla violazione della legge penale e, quindi, della sua accentuata pericolosità.

5.3. La tesi sostenuta dalla ricorrente, della reductio ad unum sostanziale di tutte le violazioni – quelle già giudicate e quelle ancora sub iudice – si basa sulla insostenibile omologazione tra la continuazione ed il concorso formale, laddove in quest’ultimo soltanto alla pluralità di violazioni corrisponde sia la unicità materiale della condotta posta in essere, sia la unicità della volizione che la sostiene.

6. Con il sesto motivo è denunciata violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e si lamenta che la Corte d’appello non si sia pronunciata sul riconoscimento delle circostanze attenuanti, ritenendo irrilevante tale giudizio a fronte del disposto dell’art. 147, comma 2, Legge Notarile, che prevede l’applicazione della sanzione della destituzione in caso di recidiva reiterata infradecennale.

6.1. La doglianza, inammissibile strutturalmente sotto il profilo del vizio di motivazione, è priva di fondamento quanto alla denunciata violazione di legge.

6.2. Nell’ordinanza interlocutoria n. 27099 del 2017, che ha promosso il giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 147, comma 2, Legge Notarile, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., si è ritenuto che detta previsione prevalga, in quanto norma speciale, su quella di carattere generale contenuta nell’art. 144, comma 1, Legge Notarile, che prevede che “se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l’infrazione, si è adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria è diminuita di un sesto e sono sostituite l’avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall’art. 138-bis, comma 1, alla sospensione e la sospensione alla destituzione”.

La prevalenza del disposto dell’art. 147, comma 2, ha dunque costituito il presupposto interpretativo delle sollevate questione, e poichè la sentenza n. 133 del 2019 della Corte costituzionale ha esaminato le questioni nel merito e le ha decise nel senso della non fondatezza, questa Corte quale giudice a quo è vincolata a quella interpretazione.

Risulta pertanto definitivamente cristallizzata l’irrilevanza del riconoscimento delle circostanze attenuanti in questo giudizio, ai fini della sostituzione della sanzione.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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