Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2183 del 31/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2183 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 31568-2007 proposto da:
IEMMA GIOVANNI MMIGNN67A11A717R, IEMMA ROSA
MMIRS065C53A717I, MAZZA FLAVIA MZZFLV39S52E027C,
IEMMA ANTONIETTA MMINNT64C48A717B, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio
dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentati e difesi dall’avvocato
LAMBIASE PASQUALE giusta procura in atti;
– ricorrenti contro
NAPOLI VINCENZO NPLVCN48D05H703Q, NAPOLI
TOMMASO NPLTMM64C07H703K, DURANTE LIDIA

Data pubblicazione: 31/01/2014

DRNLDI25L45H703P, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
PALERMO 43, presso lo studio dell’avvocato FIMIANI NICOLA,
rappresentati e difesi dall’avvocato CACCIATORE FORTUNATO
giusta procura in atti;

nonchè contro
NAPOLI CARMEN;

– intimata avverso la sentenza n. 529/2007 della CORTE D’APPELLO di
SALERNO, depositata il 18/09/2007 R.G.N. 2/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/10/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MAURIZIO VELARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 17 giugno 1999 Mazza Flavia, lemma
Antonietta, lemma Giovanni e lemma Rosa adivano il Tribunale di
Salerno, Sezione specializzata agraria, chiedendo la determinazione
dell’equo canone da loro dovuto, secondo l’effettiva coltura praticata e
la natura del fondo da loro condotto in affitto e di proprietà dei
resistenti, la condanna dei proprietari concedenti alla restituzione delle
somme versate in eccedenza nonché la declaratoria di nullità delle
prestazioni effettuate e la condanna dei resistenti al pagamento delle
indennità loro spettanti per i miglioramenti apportati al fondo, con
riconoscimento del diritto di ritenzione.
Si costituivano Durante Lidia, Napoli Tommaso e Napoli Vincenzo,
eccependo la decadenza della parte affittuaria da ogni richiesta di
ripetizione (ai sensi dell’art. 8 della legge 12 giugno 1962, n. 567 come
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– controricorrenti –

ribadito dall’art. 28 della legge n. 11 del 1971); contestavano la
fondatezza delle avverse pretese e, in relazione alla domanda attinente
ai presunti miglioramenti apportati al fondo, deducevano che il
pescheto autorizzato dall’IPA nel 1984 era da estirpare al momento
della cessazione del rapporto, avendo compiuto interamente il suo

seminativo irriguo, sia pure autorizzato, non avrebbe comportato alcun
incremento al valore del fondo; contestavano l’effettuazione di ogni
altro tipo di miglioria ed eccepivano la carenza di interesse, in capo ai
ricorrenti, in ordine alla domanda di ritenzione, avendo essi già
rilasciato il fondo in data 26 marzo 1998.
Il Tribunale adito, con sentenza del 24 gennaio 2005, in parziale
accoglimento della domanda, condannava i resistenti al pagamento in
favore dei ricorrenti, della somma di € 1.475,00, oltre rivalutazione e
interessi, e compensava le spese di lite.
Avverso tale decisione Mazza Flavia, lemma Antonietta, lemma
Giovanni e lemma Rosa proponevano appello, cui resistevano
Durante Lidia, Napoli Tommaso e Napoli Vincenzo. Veniva disposta
l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Napoli Carmen che
rimaneva contumace.
La Corte di appello di Salerno, Sezione specializzata agraria, con
sentenza del 18 settembre 2007, rigettava il gravame e condannava gli
appellanti alle spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito Mazza Flavia, lemma
Antonietta, lemma Giovanni e lemma Rosa hanno proposto ricorso
per cassazione sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito con controricorso Durante Lidia, Napoli Tommaso e
Napoli Vincenzo.
Napoli Carmen non ha svolto attività difensiva in questa sede.
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ciclo, rappresentavano che la conversione di una zona a frutteto in

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n.

impugnata (18 settembre 2007).
2. Con il primo motivo, rubricato “art. 360 c.p.c. n. 3, con riferimento
agli artt. 16 e 20 1. 203/82 e 615 c.p.c.”, i ricorrenti censurano la
sentenza della Corte di merito che, pur ritenendo che il diritto di
ritenzione può essere invocato nel processo di esecuzione, sul rilievo
che al tempo della presentazione del ricorso introduttivo del giudizio
di merito il fondo era già stato rilasciato e non pendeva alcun processo
esecutivo, ha rigettato il motivo di appello con cui essi avevano
lamentato l’omessa pronuncia di accertamento di tale diritto, pur
avendo gli stessi interesse al riguardo.
Assumono i ricorrenti che il diritto di ritenzione è collegato
all’esistenza di un diritto di credito per i miglioramenti, nella specie da
essi azionato dapprima con opposizione ex art. 615 c.p.c., dinanzi al
Pretore di Eboli, che aveva rigettato l’istanza di sospensione
dell’intrapresa esecuzione per il rilascio del fondo, successivamente
con istanza ex art 700 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Salerno dichiarata
inammissibile e, infine, con l’atto introduttivo del presente giudizio
dinanzi al Giudice competente per il merito.
Ad avviso dei ricorrenti la Corte di merito avrebbe semplicisticamente
affermato che non era stato proposto reclamo avverso le pronunzie del
Pretore e del Tribunale e, comunque, il rilievo della detta Corte,
secondo cui il ricorso introduttivo del presente giudizio fosse stato

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69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza

depositato dopo il rilascio del fondo avvenuto il 4 giugno 1998, non
sarebbe pertinente.
2.1. Il motivo, è infondato, mancando il presupposto della detenzione
del bene da restituire.
Allorché è stato iniziato il giudizio di merito, infatti, il fondo era già

Tribunale di Salerno Sezione Specializzata Agraria e dopo i
provvedimenti esecutivi e d’urgenza non oggetto di impugnazione
laddove, per aversi diritto di ritenzione, occorre l’attualità della
detenzione che, nella specie, manca per quanto evidenziato.
Ciò comporta anche una carenza di interesse dei ricorrenti al riguardo.
3. Con il secondo motivo, rubricato “art. 360 c.p.c. n. 5”, i ricorrenti
lamentano l’omessa considerazione delle deposizioni dei testi Glielmi,
Napoli e Mosca in relazione alla realizzazione degli impianti idrici ed
elettrici e di un vano bagno completo di impianti.
3.1. Il motivo tende ad una rivalutazione del merito, inammissibile in
questa sede. Ed invero la deduzione di un vizio di motivazione della
sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale
spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così,
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti
(salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto,
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stato restituito, in ‘virtù della sentenza di rilascio n. 971/1004 del

che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può
giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento
svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi
incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del
merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore

(Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322).
3.2. Peraltro, non sussiste alcuna omissione o incompletezza nella
motivazione della sentenza impugnata sul punto in questione, avendo
la Corte di merito espressamente condiviso tutto quanto rappresentato
in quella sede dagli appellati circa il difetto di prova in relazione non
solo alla realizzazione, da parte degli attuali ricorrenti, dei pretesi
interventi migliorativi (servizi igienici e impianto elettrico e idrico) ma,
soprattutto, alla preventiva autorizzazione degli stessi da parte
concedente e alla data della loro esecuzione, e tanto anche ai fini di una
eventuale eccezione di prescrizione, ed ha pure evidenziato che a p. 9
della sentenza n. 8/89 di quella Corte, invocata dagli appellanti a
supporto della loro tesi, é affermato che “i servizi di energia elettrica e
di acqua potabile costituivano oggetto di mera asserzione da parte
dello lemma”.
4. Con il terzo motivo, pure rubricato “art. 360 c.p.c. n. 5”, i ricorrenti
si dolgono dell’omessa valutazione degli atti e dei fatti di causa in
relazione all’esecuzione di opere di scasso, livellamento e alla
realizzazione di un efficiente impianto di bonifica ed irrigazione;
lamentano che la Corte di merito abbia, “senza compiere alcuna
autonoma valutazione dei fatti e degli atti di causa” e senza motivare,
per un verso, e con motivazione insufficiente e contraddittoria, per
altro verso, perché affidato ad un unico argomento (la preesistenza del
frutteto), aderito a quanto ex adverso sostenuto circa i miglioramenti.
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ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte

4.1. Il motivo è infondato avendo i Giudici di appello deciso sulle
questioni all’esame con motivazione congrua ed immune dai lamentati
vizi, alla luce di quanto sostenuto dal tecnico di fiducia del
concessionario nel progetto di miglioramento e di quanto ritenuto

5. Con il quarto motivo pure rubricato “art. 360 c.p.c. n. 5”, i ricorrenti
censurano la sentenza di secondo grado, sostenendo che la Corte di
merito, in ordine alla stima dei miglioramenti, avrebbe aderito
acriticamente alla valutazione del CTU e non avrebbe rilevato l’errore
in cui sarebbe al riguardo incorso l’ausiliare del giudice, nonostante la
specifica censura sul punto.
5.1. Il motivo va disatteso tendendo lo stesso ad una rivalutazione del
merito, inammissibile in questa sede, come già evidenziato al paragrafo
n. 3.1., ed essendo, in ogni caso, infondato, in quanto la Corte di
merito, con motivazione congrua ed immune da vizi logici o giuridici,
ha ritenuto esente da errori la determinazione del valore dei
miglioramenti operata dal CTU applicando correttamente i canoni
dell’estimo agrario, tenendo conto del valore del fondo migliorato e del
fondo non migliorato ed esprimendo le sue perplessità sulla effettiva
sussistenza di miglioramenti indennizzabili, sulla esiguità degli stessi e
sulla loro capacità di incidere sul valore del fondo.
6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in
favore dei controricotrenti, delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00
per esborsi, oltre accessori di legge.
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dall’IPA nonché delle risultanze dell’espletata cm.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza

Civile della Corte S irema di Cassazione, il 9 ottobre 2013.

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