Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2183 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. II, 31/01/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.M. (OMISSIS), C.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo

studio dell’avvocato CAMICI GIAMMARIA, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CIABATTI CARLO, GIANNINI FERNANDO;

– ricorrenti –

L.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PENTIMALLI 38, presso lo stuolo dell’avvocato FALCOLINI

ENRICO ECIDIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1116/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato FALCOLINI Enrico Egidio, difensore del la resistente

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lucca, con sentenza 6.3.2002, accolse la domanda proposta da L.P. nei confronti di B.M. e C.M. (con la quale aveva lamentato che i convenuti avevano ampliato il fabbricalo di loro proprietà invadendo il fondo in comproprietà delle parti e riducendo l’ampiezza del passo ivi esistente), disponendo che questi ultimi arretrassero il corpo di fabbrica ad uso cucina di cm. 75.

I soccombenti proposero appello, cui resistette controparte, e la Corte di appello di Firenze, con sentenza 1116/2004, confermò la prima decisione, con condanna alle spese, rilevando che dall’esame dei titoli, la part. 9 del f. 5 del NCEU del Comune di Pietrasanta viene sempre indicata come piazza od aia a comune, specificandosi nell’ultimo atto, in notaio Maccheroni del 6.8.1987, di trasferimento del fondo agli appellanti, che tra i beni acquistati vi è una piazza da rimanere a comune con gli altri comproprietari, e poichè nel precedente atto dello stesso notaio del 10.10.1980 i danti causa dei B.- C. avevano tra l’altro acquistato una annessa piazza a comune, identificata dal mappale (OMISSIS), non appariva dubbio, non essendo menzionate in detti atti altre aree in comproprietà, che la part. 9 identificasse proprio quel bene.

La comproprietà della appellata emergeva dall’atto in notar Guidagli del 12.3.1965 col quale divenne proprietaria della part. 12 cd. in forza di successione della madre, deceduta nel 1983, della part. 6, delle quali la part. 9 era un accessorio come risultava dai dati catastali acquisiti alla ctu e come risultava dalla destinazione dell’area, in base alla situazione dei luoghi nelle foto e planimetrie allegate alle cc.tt.uu..

La riduzione del passo per effetto dell’ampliamento risultava dalla ctu V..

Ricorrono i B.- C. con due motivi, resiste controparte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si denuncia falsa applicazione di norma di diritto per avere la Corte di appello, errando anche su presupposti di fatto enunciati nello svolgimento del processo, affermato che il Tribunale di Lucca già aveva ritenuto la comproprietà della piazza in base ai titoli mentre il primo Giudice ha fatto riferimento solo alla ctu V..

Nè risulta prodotto dalla parte un documento che attesti l’acquisto dell’aia o piazzale.

Col secondo motivo si deducono violazione dell’onere della prova e mancata dimostrazione da parte dell’appellata della entità dello sconfinamento.

Le censure non meritano accoglimento.

Come risulta dalla sopra riportata motivazione, la Corte di appello è pervenuta alla decisione di confermare la prima sentenza sulla base dell’esame dei titoli, cioè di attività ermeneutica, non espressamente impugnata, che costituisce tipico accertamento di merito, insindacabile in questa sede, se immune da vizi logici, peraltro non dedotti, confermata dalle risultanze peritali, che accoravano anche la riduzione del passo.

Ne consegue che i ricorrenti avrebbero dovuto prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione all’attività ermeneutica posta in essere dal giudice a quo, relativamente agli atti presi in considerazione nella motivazione della sentenza, con puntuale riferimento ai singoli criteri legali d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso al riguardo il detto giudice, avrebbero potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni d’erronea od inesatta applicazione d’altre norme ed istituti, dacchè la disamina di tali questioni presuppone l'”intervenuto accertamento dell’errore sull’interpretazione della volontà negoziale delle plurime parti alle quali è fatto riferimento in ricorso, e non può, pertanto, aver luogo ove manchi siffatto previo accertamento d’un vizio che inficerebbe, sul punto, ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il presupposto logico-giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa (Cass. 21.7.03 n. 11343. 30.5.03 n. 8809. 28.8.02 n. 12596).

E’ ben vero che i ricorrenti hanno inteso in qualche modo censurare la valutazione degli atti de quibus effettuata dal giudice a qua ed hanno, all’uopo, svolto argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una. se pure irrituale, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento.

L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale proli lo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

La deduzione che il Tribunale abbia fatto riferimento solo alla ctu è irrilevante e contrasta con l’affermazione (pagina due del ricorso) che il primo Giudice aveva rigettato l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, risultando dai titoli una piazza comune, circostanza che, comunque, dimostra che detti titoli erano acquisiti già in primo grado senza alcuna contestazione nè in quella sede nè nei motivi di appello.

Anche la riduzione del passo è sufficientemente motivata col riferimento agli accertamenti peritali.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 1400,00 di cui Euro 1200,00 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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