Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2183 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2019, (ud. 27/11/2018, dep. 25/01/2019), n.2183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON E. – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI G. – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 16983 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Sintex s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, nonchè M.A., M.C., M.V.,

M.F. e L.A., rappresentati e difesi dagli Avv.ti

Maddalena Merafina e Saverio Belviso per procura speciale in calce

al ricorso, elettivamente domiciliati in Roma, via Ofanto, n. 18,

presso lo studio dell’Avv. Antonia Antezza;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, n. 60/11/2011, depositata il giorno 16

maggio 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre

2018 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente e dei soci diversi avvisi di accertamento, relativi all’anno di imposta 2003, con i quali, a seguito di verifica compiuta presso la società e constatata la mancata esibizione delle scritture contabili, era stato determinato un maggiore reddito imponibile ai fini Ires, Irap, Irpef e contestata. La detraibilità dell’Iva; avverso i suddetti atti impositivi avevano proposto separati ricorsi la società ed i soci; la Commissione tributaria provinciale di Bari, previa riunione, aveva accolto i ricorsi; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate;

la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in particolare ha ritenuto che: era fondata l’eccezione di parte appellante di inammissibilità del ricorso introduttivo in quanto proposto da soggetto ( L.A.) privo di legittimazione attiva non essendo lo stesso, al momento della presentazione del ricorso introduttivo, il rappresentante legale della società; pur avendo rilevato l’inammissibilità del ricorso introduttivo, ha comunque deciso nel merito ed ha ritenuto che non era corretta la statuizione del giudice di primo grado relativa alla ritenuta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in quanto l’ufficio aveva motivato sulle ragioni di urgenza per le quali non era stato rispettato il termine dilatorio di sessanta giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione; non era preclusiva all’attività di rettifica del reddito con metodo induttivo la circostanza che la parte non aveva potuto esibire le scritture contabili in quanto smarrite, non sussistendo una causa di forza maggiore;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la contribuente affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. De Matteis Stanislao, ha formulato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbiti il terzo e il quarto;

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Sui motivi di censura che riguardano la pretesa nei confronti della società.

1.1. Sul primo motivo di censura.

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto inammissibile il ricorso proposto dinanzi al giudice di primo grado, in quanto era stato proposto da soggetto privo di legittimazione, non essendo, al momento della proposizione, rappresentante legale della società;

il motivo è fondato;

va preliminarmente disattesa l’eccezione di parte controricorrente di inammissibilità del presente motivo di ricorso fondata sulla considerazione che parte ricorrente richiederebbe, con lo stesso, una valutazione delle risultanze di causa compiuta dal giudice del gravame, allegando una erronea ricognizione della fattispecie, riconducibile, eventualmente, ad un vizio di motivazione, non di legge, della sentenza;

in realtà, con il motivo in esame parte ricorrente correttamente prospetta un vizio di violazione di legge, in quanto lamenta che il giudice del gravame ha ritenuto che l’inammissibilità del ricorso discendeva dalla circostanza che L.A. non era rappresentante legale della società al momento della proposizione del ricorso, sebbene lo stesso avesse la suddetta qualità al momento in cui era stato conferito il mandato al difensore;

sicchè, il motivo di censura in esame prospetta correttamente un vizio di violazione di legge, in quanto ha riguardo, in diritto, alla questione della validità della procura rilasciata dal legale rappresentante di una società per gli atti compiuti dal procuratore successivamente al momento in cui il soggetto che l’ha conferita perde la suddetta qualità;

ciò precisato, si osserva che questa Corte (Cass. civ, Cass. civ. Sez. 1, 26 gennaio 2016, n. 1373) ha affermato che “la procura generale alle liti è valida anche dopo la sostituzione o la cessazione dalla carica dell’organo che l’ha rilasciata, perchè è atto dell’ente e non dell’organo stesso (conf. Cass., 13 settembre 2002, n. 13434; Cass., 22 luglio 1999, n. 7922; Cass., 8 marzo 2007, n. 5319);

nel medesimo senso si è espressa questa Corte (Cass. civ., 05 aprile 2017, n. 8821), precisando che “la procura, conferita al difensore dall’amministratore di una società di capitali “per ogni stato e grado della causa”, è valida anche per il giudizio di appello e resta tale anche se l’amministratore, dopo il rilascio del mandato e prima della proposizione dell’impugnazione, sia cessato dalla carica, in conformità al principio secondo cui la sostituzione della persona titolare dell’organo avente il potere di rappresentare in giudizio la persona giuridica non è causa di estinzione dell’efficacia della procura alle liti, la quale continua ad operare a meno che non sia revocata dal nuovo rappresentante legale”;

in sostanza, la sostituzione della persona titolare dell’organo avente il potere di rappresentare in giudizio la persona giuridica non è causa di estinzione dell’efficacia della procura alle liti, la quale continua ad operare a meno che non sia revocata dal nuovo rappresentante legale;

parte controricorrente, va precisato, non ha contestato che la procura alle liti, apposta a margine del ricorso di primo grado, era stata rilasciata dall’allora legale rappresentante della società, sicchè la sopravvenuta cessazione dalla carica in capo alla persona fisica che rappresentava la società non ha alcuna conseguenza sull’atto, che va invece imputato direttamente a quest’ultima e mantiene intatta la sua validità in mancanza di prova di una revoca di tale originaria procura da parte del nuovo legale rappresentante;

ne consegue che la pronuncia censurata è viziata per violazione di legge, avendo ritenuto che la procura rilasciata dal soggetto che era rappresentante legale non consente la legittima proposizione del ricorso dinanzi al giudice di primo grado se, in relazione a quest’ultimo momento, il soggetto perde la suddetta qualità;

1.2. Sugli ulteriori motivi di ricorso nell’interesse della società

Con riferimento agli ulteriori motivi di censura, occorre compiere una distinzione tra la pretesa che l’ufficio finanziario ha fatto valere nei confronti della società rispetto a quella fatta valere nei confronti dei soci;

con il riferimento al primo profilo, va tenuto conto del fatto che il giudice del gravame ha pronunciato, in primo luogo, sulla inammissibilità del ricorso introduttivo ma ha ritenuto, altresì, di dovere pronunciare nel merito della controversia, addivenendo alla decisione di legittimità della pretesa impositiva;

l’accoglimento del primo motivo di censura, come sopra illustrato, comporta il venire meno dell’interesse della società a proporre ragioni di censura relativi alla parte della decisione della sentenza che ha ritenuto, pur avendo dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo, di dovere comunque decidere nel merito;

vale a tal proposito l’orientamento di questa Corte (Cass. civ. Sez. Unite, 20 febbraio 2007, n. 3840) secondo cui “Con la declaratoria di inammissibilità (della domanda o del gravame), che in particolare qui viene in rilievo, il giudice definisce e chiude, infatti, il giudizio. Con la conseguenza che, in questo caso, le considerazioni di merito, che comunque egli abbia poi a svolgere, restano irrimediabilmente fuori, appunto, dalla decisione, non tanto perchè esse non trovano sbocco, nel dispositivo (che potrebbe, al limite, considerarsi integrabile con la motivazione), e non solo perchè formulate in via ipotetica e in modo per lo più sommario e approssimativo (per cui, nel dubbio se con tali argomentazioni il giudice esprima una mera opinione ovvero una decisione che esamini tutti gli aspetti della controversia, il considerarle come espressione della funzione giurisdizionale potrebbe comportare un vulnus al principio fondamentale dell’art. 24 Cost.), quanto soprattutto per l’assorbente ed insuperabile ragione che dette valutazioni provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria di inammissibilità, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della fattispecie controversa. Per cui quelle ultronee considerazioni relative al merito della domanda (o del gravame) non sono riconducibili alla decisione (di inammissibilità) che al riguardo egli ha adottato, ma a quella, semmai, che egli avrebbe adottato ove appunto il correlativo esame non ne fosse risultato precluso. E si muovono, pertanto, su un piano esclusivamente virtuale e non entrano nel circuito delle statuizioni propriamente giurisdizionali. Dal che, conclusivamente, la riaffermazione del principio per cui, relativamente alle argomentazioni sul merito, ipotetiche e virtuali, che il giudice impropriamente – abbia inserito in sentenza, subordinatamente ad una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di sua giurisdizione o competenza), la parte soccombente non ha l’onere, nè ovviamente l’interesse, ad impugnare. Con l’ulteriore duplice e speculare, corollario che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile (per difetto appunto di interesse) l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito svolta, per quanto detto, ad abundantiam nella sentenza gravata”;

pertanto, i restanti motivi di censura proposti nell’interesse della società vanno dichiarati, in ragione di quanto sopra esposto, inammissibili;

2. Sui motivi di ricorso nell’interesse dei soci

2.1. Diverse considerazioni devono essere compiute con riferimento ai motivi di censura proposti dai soci in relazione ai loro redditi di partecipazione;

invero, la statuizione compiuta dal giudice del gravame di inammissibilità del ricorso introduttivo attiene unicamente alla posizione processuale della società, sicchè l’accoglimento del primo motivo di ricorso non ha effetto relativamente ai soci, nei cui confronti la decisione nel merito mantiene la sua valenza, sicchè sussiste l’interesse degli stessi a proporre ragioni di censura sulla parte della sentenza che attiene al merito della controversia;

2.2. In questo contesto, va esaminata l’eccezione della controricorrente di formazione del giudicato interno riguardo agli accertamenti emessi nei confronti dei soci, per non avere gli stessi, con il presente ricorso, proposto alcun motivo di censura ad essi relativi, essendo lo stesso unicamente diretto a censurare la sentenza solo relativamente all’accertamento notificato nei confronti della società;

l’eccezione è infondata;

la formazione di un giudicato interno postula che su di una questione, oggetto di decisione da parte del giudice, non sia stata proposta alcuna ragione di censura nel successivo grado di giudizio ovvero nel ricorso in cassazione;

con riferimento, quindi, al ritenuto passaggio in giudicato della statuizione del giudice del gravame relativa al reddito di partecipazione del soci, non può non darsi rilevanza alla circostanza che il presente ricorso è intestato sia alla società che ai soci, sicchè deve ritenersi che, al di là del riferimento, compiuto nel contesto del ricorso, alla sola società, le questioni prospettate attengono anche alla posizione dei soci, che hanno, quindi, censurato il punto della decisione della sentenza che ha statuito anche relativamente ai profili di loro interesse;

2.3. Procedendo, quindi, all’esame dei motivi di ricorso che riguardano la posizione dei soci, con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per avere ritenuto che l’approssimarsi della scadenza del termine decadenziale per l’esercizio dell’attività accertatrice costituisse ragione fondante la sussistenza di ragioni di urgenza che legittimava l’ufficio finanziario ad emettere l’atto impositivo prima del decorso del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2002, art. 12, comma 7;

2.4. Va preliminarmente rilevato che non è fondata l’eccezione di inammissibilità del presente motivo di ricorso proposta dall’Agenzia delle entrate in base alla considerazione che, pur essendo stato proposto per violazione di legge, si intende, in realtà, prospettare ragioni di contestazione che attengono a vizi di motivazione;

in realtà, con il presente motivo, viene prospettata la non corretta applicazione della disciplina in materia di rispetto del termine dilatorio per l’adozione dell’atto impositivo e della sussistenza delle ragioni di urgenza, sicchè correttamente è stato prospettato un vizio di violazione di legge (al di là del duplice riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5);

2.5. Il motivo è fondato;

la questione prospettata con il presente motivo attiene alla legittimità dell’adozione dell’atto impositivo adottato prima della decorrenza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2002, art. 12, comma 7, per la sussistenza di ragioni di urgenza consistenti nell’approssimarsi del termine di decadenza del potere impositivo;

sul punto, questa Corte ha precisato che le specifiche ragioni di urgenza, che consentono all’ufficio finanziario di emettere l’avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, non possono identificarsi con l’imminente spirare del termine di decadenza per l’accertamento (Cass. civ. Sez. 5, 23 novembre 2018, n. 30337; cfr., ex multis Cass. nn. 16707/2015; 16602/2015; 14803/2015; 7315/2014; 2592/2014; 2279/2014; 2281/2014; 1869/2014), giacchè è dovere dell’amministrazione attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, mentre, in caso contrario, si verrebbero a convalidare, in via generalizzata, tutti gli atti in scadenza, in contrasto col principio secondo cui il requisito dell’urgenza deve essere riferito alla concreta fattispecie e, cioè, al singolo rapporto tributario controverso, fermo restando che spetta all’ufficio l’onere di provare in giudizio la sussistenza della situazione urgente;

sicchè, qualora l’amministrazione deduca, come nel caso in esame, quale circostanza di “particolare e motivata urgenza”, il fatto di non aver potuto rispettare il termine dilatorio di sessanta giorni allegando l’imminente scadenza dei termini previsti per l’azione di accertamento, l’oggetto della prova va allora individuato nell’oggettiva impossibilità di adempimento dell’obbligo, traducendosi nella deduzione che l’imminente scadenza del termine di decadenza, che non ha consentito di adempiere l’obbligo di legge, sia dipesa da fatti o condotte all’ufficio non imputabili a titolo di incuria, negligenza o inefficienza (cfr. in termini Cass. civ., n. 11993/2015);

pertanto, diversamente da quanto sostenuto dal giudice del gravame, di per sè solo, l’approssimarsi del termine di decadenza non costituisce ragione giustificativa dell’adozione dell’atto impositivo prima della scadenza del termine dilatorio, sicchè la pronuncia è viziata per violazione di legge;

l’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del terzo e quarto motivo di ricorso, con i quali si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), nella parte in cui ha ritenuto che la circostanza dello smarrimento delle scritture contabili, non imputabile a causa di forza maggiore, non aveva effettivi preclusivi dell’accertamento induttivo operato dall’ufficio finanziario;

3. Per quanto sopra esposto, va accolto il primo motivo ed il secondo motivo ricorso, assorbiti il terzo e il quarto, cassa la sentenza sui motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite;

PQM

La Corte:

accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti il terzo e il quarto, cassa la sentenza sui motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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