Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21829 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 11/04/2018, dep. 07/09/2018), n.21829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4656/2011 R.G. proposto da:

P.A.R., rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio

Sarra, con domicilio eletto in Roma, presso la Cancelleria della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Basilicata n. 175/3/09, depositata l’11 dicembre 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 aprile

2018 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– P.A.R. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata, depositata l’11 dicembre 2009, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso del contribuente per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2003, era stata rettificata la dichiarazione e recuperate a tassazione l’i.v.a., l’i.r.pe.f. e l’i.ra.p. non versate;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia l’omessa e/o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio;

– evidenzia che la sentenza impugnata aveva ritenuto legittima la determinazione del reddito operata dall’Ufficio in via induttiva, a seguito dell’applicazione di un indice di redditività media del settore, senza prendere in considerazione le censure formulate dal contribuente in ordine alla correttezza della determinazione dei ricavi;

– in particolare, lamenta l’applicazione di un indice di redditività del 10%, giudicato incongruo rispetto alla tipologia d’attività d’impresa esercitata dal contribuente (costruttore edile) e al territorio, economicamente depresso, in cui operava (la provincia di Matera);

– il motivo è inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza;

– infatti, i fatti dedotti dal ricorrente e che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente preso in considerazione non sono tali da determinare necessariamente la logica insostenibilità della motivazione, risolvendosi nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti al giudizio (cfr. Cass. 15 luglio 2011, n. 15666);

– in ogni caso – e sotto altro profilo -, il contribuente omette di indicare gli elementi da cui evince che la tipologia di attività di impresa esercitata presentava un indice di redditività medio diverso ed inferiore rispetto a quello applicato e che nel luogo di svolgimento dell’attività l’indice di redditività medio era ulteriormente più basso;

– con il secondo motivo il contribuente deduce l’omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi per il giudizio e la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, per aver ritenuto corretta l’imputazione operata dall’Ufficio dei ricavi derivanti dall’esecuzione di un contratto di appalto all’esercizio in esame, in cui l’opera era stata ultimata, anzichè, pro quota, ai tre esercizi interessati dall’esecuzione dell’opera medesima;

– anche tale motivo è inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza, non avendo la parte provveduto ad indicare gli elementi rivelatori della riferibilità dei ricavi imputati all’anno in esame a diversi periodi di imposta, non evincibili dalla sentenza impugnata;

– per le suesposte considerazioni, dunque, il ricorso non può essere accolto;

– le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in Euro 1.250,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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