Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21827 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 11/07/2018, dep. 07/09/2018), n.21827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21500/2011 R.G. proposto da:

B.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Paola Ginaldi e

dall’Avv. Guido Orlando, elettivamente domiciliato presso lo studio

di quest’ultimo, in Roma, Piazza Cola di Rienzo n. 69, giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale del Friuli Venezia

Giulia n. 67/1/2011 depositata il 29 marzo 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 luglio 2018

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. PEPE Alessandro, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

uditi l’Avv. Fabrizio Di Rubbo dell’Avvocatura Generale dello Stato,

per l’Agenzia delle entrate, e l’Avv. Guido Orlando per

B.M..

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, con riferimento agli anni 2003 e 2004.

2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, ma riteneva “equo” compensare le spese.

3. Proponeva appello il contribuente solo per l’avvenuta compensazione delle spese, chiedendo che le stesse fossero poste a carico della Agenzia delle entrate in ragione del principio della soccombenza.

4. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello e condannava l’Agenzia delle entrate a rimborsare al contribuente le spese del doppio grado di giudizio, liquidate, per il primo grado, in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 600,00 per diritto ed il resto per onorari, e per il secondo grado, in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 500,00 per diritto ed il resto per onorari, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, Iva e CNAP come per legge.

5. Proponeva ricorso per cassazione il contribuente.

6. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione dell’art. 91 e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto pur avendo il contribuente presentato una nota spese, elaborata “secondo le tariffe professionali”, indicando “tutte le voci di diritto… nell’ammontare obbligatorio prescritto per la fascia di riferimento” e mantenendo gli onorari “sempre al di sotto del massimo, anzi appena al di sopra della metà tra il minimo ed il massimo”, la Commissione tributaria, nella liquidazione delle spese (per il primo grado Euro 600,00 per i diritti ed Euro 800,00 per gli onorari; per il secondo grado Euro 500,00 per i diritti ed Euro 500,00 per gli onorari”), “è andata ben al di sotto dei minimi tariffari. Inoltre, la Commissione “ha omesso di liquidare le spese vive seppure ritualmente documentate” ed ha “arbitrariamente ridotto diritti ed onorari, conglobandoli, senza fornire spiegazioni di sorta”. A fronte di una liquidazione complessiva per Euro 4.617,94 più Iva e CPA, la Commissione regionale ha liquidato, nulla per le spese, a globalmente Euro 2.400,00 per diritti ed onorari.

1.1.Tale motivo è inammissibile.

Anzitutto, si rileva che il motivo non è autosufficiente, in quanto il ricorrente non ha indicato nè Io scaglione di riferimento per la determinazione delle singole voci della tariffa professionale, nè la nota spese nel suo contenuto integrale, nè l’ammontare delle spese vive che non sarebbe stato liquidato dalla Commissione regionale.

Inoltre, si rileva che per giurisprudenza consolidata di legittimità, in presenza di una nota specifica delle spese prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, in relazione alla inderogabilità dei relativi minimi, a norma della L. n. 794 del 1942, art. 23 (Cass. Civ., 30 marzo 2011, n. 7293; Cass. Civ., 30 ottobre 2009, n. 23059).

Pertanto, il giudice è tenuto ad indicare dettagliatamente le singole voci che riduce, perchè richieste in misura eccessiva, o che elimina, perchè non dovute, in modo da consentire l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe in relazione alla inderogabilità dei minimi (Cass.Civ., 8 febbraio 2007, n. 2748).

Tuttavia, possono essere denunciate in sede di legittimità solo quelle che non rispettano le tariffe professionali, ma il ricorrente deve indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità, senza necessità di ulteriori indagini (Cass.Civ., 19 novembre 2014, n. 24635).

Sussiste, quindi, un onere per il ricorrente di specificare analiticamente in ricorso le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la precisazione delle voci di tabelle degli onorari e dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonchè le singole spese contestate o dedotte come omesse (Cass.Civ., 26 giugno 2007, n. 14744). Nella specie, non è stata in alcun modo riprodotta nel testo la nota spese, nè è stato indicato lo scaglione di valore della controversia, nè sono state individuate le singole voci contestate e l’importo preteso, scomposto appunto nelle analitiche voci delle tabelle professionali.

2.In ragione della soccombenza le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 1.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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