Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21824 del 29/08/2019

Cassazione civile sez. II, 29/08/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 29/08/2019), n.21824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25941/2015 R.G., proposto da:

Z.A., rappresentato e difeso dall’avv. Pierluigi

Colina, dall’avv. Augusto Montuoro, e dall’avv. Giorgio Vasi, con

domicilio eletto in Roma, Via Sardegna n. 29;

– ricorrenti –

contro

A.M., E V.G., rappresentati e difesi dall’avv.

Fabio Padovini e dall’avv. Mario Nuzzo, con domicilio eletto in Roma

alla Via Cassiodoro n. 9;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 238/2015,

depositata in data 7.4.2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14.03/2019

dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte distrettuale di Trieste ha dichiarato inammissibile – ai sensi dell’art. 342 c.p.c. – l’appello proposto da Z.A. avverso la decisione con cui il locale tribunale aveva respinto la domanda volta a far accertare il mancato avveramento della condizione apposta ad un contratto preliminare di vendita di quote sociali, stipulato nel maggio 2006 con l’ente proprietario di un immobile inserito in zona (OMISSIS) (condizione che esigeva, per la stipula del definitivo, l’autorizzazione dell’ente competente) e con cui, in accoglimento della riconvenzionale, era stata dichiarata la legittimità del recesso della promittente venditrice, con diritto a trattenere la caparra.

Dopo aver riassunto le diverse interpretazioni dell’art. 342 c.p.c. nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012 e dopo aver dichiarato di condividere le tesi che non esigono l’impiego di formule sacramentali, ma la sola articolazione, da parte dell’appellante, di una rigorosa critica alla parti della motivazione impugnata, il giudice di merito ha però rilevato che l’impugnazione dello Z. non dialogava con la sentenza di primo grado.

Con il primo motivo di appello questi aveva richiesto la restituzione della caparra in applicazione della clausola n. 14 del preliminare (che prevedeva l’integrale rimborso delle somme versate qualora l'(OMISSIS) non avesse autorizzato il trasferimento), ma la censura, a parere del Giudice distrettuale, ignorava totalmente la risposta data dal tribunale, opponendovi obiezioni del tutto inconferenti, poichè il primo giudice aveva ritenuto inapplicabile la clausola invocata dall’appellante “per la preponderanza logico giuridica della legittimità del recesso della parte venditrice”.

Anche il secondo motivo di appello, volto a denunciare l’errata applicazione dell’art. 1359 c.c., sollevava -a parere della Corte di merito – questioni del tutto estranee alle motivazioni della sentenza di primo grado, basate esclusivamente sulla legittimità del recesso. La cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta da Z.A. sulla base di sei motivi di ricorso, illustrati con memoria.

A.M. e V.G. hanno depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1359 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1385 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte di appello abbia erroneamente sostenuto che la condizione apposta al preliminare di vendita si fosse avverata per non aver il ricorrente inoltrato la richiesta di autorizzazione, benchè, trattandosi di condizione legale, apposta nell’interesse di entrambe le parti, non fosse invocabile l’art. 1359 c.c..

Il secondo motivo deduce la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la richiesta di autorizzazione al perfezionamento dell’operazione di cessione non poteva considerarsi respinta, occorrendo che l’ente competente adottasse un provvedimento negativo espresso.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, contestando alla Corte di merito di aver sposato le tesi più rigorose quanto ai requisiti di ammissibilità dell’atto di impugnazione, sanzionando non solo e non tanto l’assenza di argomentazioni, quanto piuttosto le modalità di stesura dell’appello.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1384 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, dopo lo scioglimento del contratto preliminare, gli acquirenti avevano colto più favorevoli opportunità di acquisto e che quindi la mancata stipula del definitivo non aveva arrecato alcun danno.

Di conseguenza i resistenti erano tenuti anche a restituire la caparra, il cui importo, essendo manifestamente iniquo, doveva esser ridotto d’ufficio dal giudice.

Il quinto motivo denuncia la falsa applicazione della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 25 del 2002, art. 11, e della Delib. regolamentare n. 95 del 2005, art. 3, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che, a norma della disciplina regionale, occorreva che gli atti di trasferimento riguardanti immobili compresi nell’area amministrata dall'(OMISSIS) fossero inviati, per l’autorizzazione, all’ente competente entro 15 gg. dalla stipula, intendendosi approvati in caso di mancata adozione del provvedimento di rigetto nel termine di legge, mentre non era necessario che il ricorrente sottoscrivesse alcun modulo conforme alla Delib. n. 95 del 2005, sia perchè l’onere di inoltrare la richiesta di autorizzazione gravava sul cedente, sia perchè la citata delibera disciplinava solo le cessioni di immobili ricompensi nei nuovi insediamenti.

Il sesto motivo denuncia la contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la Corte di merito non avrebbe esaminato le contestazioni del ricorrente riguardo al fatto di non aver mai ricevuto il modulo da compilare ed inviare all'(OMISSIS) per ottenere l’autorizzazione all’acquisto, ed abbia travisato il contenuto delle deposizioni testimoniale, dalle quali nulla di certo era emerso in proposito.

2. Va esaminato in via preliminare il terzo motivo di ricorso, che deve esser respinto per le ragioni che seguono.

A parere del ricorrente la Corte di merito avrebbe prescelto, tra le diverse opzioni interpretative dell’art. 342 c.p.c., la posizione più rigorosa, privilegiando le modalità di stesura dell’impugnazione e la osservanza di formule sacramentali a scapito della specificità, adeguatezza e pertinenza delle critiche mosse alla sentenza di primo grado.

La censura non considera che – però – la Corte di non ha affatto dichiarato l’inammissibilità dell’appello a causa della mancata osservanza di modalità vincolanti sul piano formale, avendo – invece – ritenuto che le doglianze proposte dall’appellante non dialogassero con la pronuncia di primo grado e non fossero pertinenti rispetto alle soluzioni accolte dal primo giudice.

Con entrambi i motivi di appello il ricorrente aveva, nella sostanza, dedotto che il rilascio dell’autorizzazione per il trasferimento delle quote sostanziasse una condizione legale di efficacia sottratta alla disciplina dell’art. 1359 c.c..

Il giudice distrettuale ha invece ritenuto dette deduzioni fossero del tutto inconferenti rispetto al decisum, poichè il tribunale aveva respinto la domanda di restituzione della caparra non in applicazione dell’art. 1359 c.c. ma perchè i resistenti avevano legittimamente esercitato il recesso dal contratto (cfr. sentenza pag. 16 e ss.). Ne discende che anche il motivo in esame non si confronta con il contenuto della decisione impugnata e non merita, per tali ragioni, accoglimento.

Le ulteriori censure sono inammissibili sia perchè la pronuncia di inammissibilità dell’appello è divenuta definitiva a seguito del rigetto del terzo motivo di ricorso, sia perchè sollevano contestazioni di merito sostanzialmente rivolte alle decisioni assunte in primo grado e su cui la Corte di appello non ha pronunciato.

Il ricorso è, pertanto, respinto.

Le spese seguono la soccombenza con liquidazione in dispositivo. Sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5800,00 a titolo di compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

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