Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21824 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 09/10/2020), n.21824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1522-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.C.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 196/2013 della COMM.TRIB.REG. di POTENZA,

depositata il 17/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. VENEGONI ANDREA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Il contribuente R.C.V., titolare della omonima ditta individuale esercente l’attività di lavori generali di costruzioni di edifici, impugnava l’avviso di accertamento con cui l’ufficio rilevava un reddito maggiore del dichiarato sulla base dello studio di settore e dell’antieconomicità della gestione aziendale.

Il contribuente deduceva vizi nella fase procedimentale per assenza di contraddittorio ed infondatezza nel merito.

La CTP di Matera, rigettate le eccezioni sui vizi procedimentali, accoglieva il ricorso nel merito, ritenendo insufficiente la prova del maggior reddito.

L’ufficio proponeva appello e la CTR della Basilicata lo rigettava.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre l’ufficio sulla base di tre motivi.

Il contribuente non si è costituito.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. 331 del 1993, art. 62-sexies, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., punto 3, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1.

La CTR ha errato nella valutazione della mancata risposta del contribuente all’invito al contraddittorio, affermando che, pur non presentandosi e non rispondendo all’invito, non gli è preclusa successivamente la dimostrazione dell’inapplicabilità dello studio di settore.

Il motivo è infondato.

Questo Corte, ancora di recente, (sez. V, ord. n. 31814 del 2019), ha avuto modo di affermare, a proposito di una fattispecie relativa ad avviso di accertamento, non preceduto da preventivo contraddittorio, emanato a carico di un’impresa che aveva chiuso il proprio bilancio annuale con utili molto esigui, a fronte di ingenti investimenti sostenuti, che nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi della L. n. 146 del 1998, art. 10, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali.

Nel caso della presente controversia l’accertamento, come ricorda lo stesso ufficio, non è basato solo sullo scostamento dallo studio di settore; pertanto, se non vi era obbligo di contraddittorio preventivo, non può neppure sostenersi che, se il contribuente non risponde all’invito, non si possa più difendere in seguito, come, in sostanza, sostiene l’ufficio. Questo principio opera in casi specifici, quale il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per le richieste di documenti in sede di accessi o verifiche, ma non in generale; infatti, sempre questa Corte (sez. V, ord. n. 24330 del 2019) ha anche affermato che

In tema di reddito d’impresa, qualora il contribuente, regolarmente invitato, non si avvalga della facoltà di prendere parte al contraddittorio precontenzioso, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento anche esclusivamente sulle risultanze del confronto tra il reddito dichiarato e quello calcolato facendo applicazione degli studi di settore, salvo il diritto del contribuente di allegare e provare in sede contenziosa, anche per la prima volta, elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario si fonda.

La CTR ha, quindi, affermato sul punto un principio corretto.

Con il secondo motivo deduce omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTR non ha considerato che l’accertamento non era basato sulla mera applicazione degli studi di settore, ma sul comportamento antieconomico dell’imprenditore negli anni 2003-2005, comprendenti anche il periodo oggetto di accertamento, che era stato posto in luce dall’ufficio, e non ha considerato che l’accertamento era basato sull’omessa registrazione dei ricavi riscontrata nella dichiarazione del contribuente.

Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 111 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 132, comma 2, n. 4, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 Nullità della sentenza della CTR per omessa valutazione degli elementi indizianti l’evasione fiscale esposti alle pag. 4, 5, 6, 7 dell’avviso di accertamento impugnato.

I motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

La sentenza, in effetti, non mette in evidenza che l’accertamento non è basato sull’applicazione diretta ed esclusiva dello scostamento dallo studio di settore, ma che si tratta di accertamento induttivo misto che prende avvio, sul piano indiziario, dallo scostamento dallo studio di settore e sviluppa altri indizi rilevanti sul piano logico-giuridico e circostanziale (antieconomicità, incongruenza, anomalie fiscali).

Questo complesso di elementi, da valutarsi globalmente (sez. V n. 5374 del 2017), è del tutto privo di disamina da parte della CTR, che enuncia solo elementi a discarico, omettendo del tutto la descrizione del processo cognitivo determinante il giudizio finale su di essi.

Il che rende la decisione priva della necessaria consistenza, funzionalmente deficitaria (sez. V, ord. n. 32980 del 2018), se non strutturalmente compromessa (sez. Un., n. 22232 del 2016).

La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio al giudice del merito, sede nella quale si potrà anche chiarire quello che, allo stato, appare un mero errore in merito all’anno di imposta, atteso che dall’introduzione del ricorso sembra che si discuta del 2005, tanto è vero che l’esordio è la rettifica dell’Unico 2006, ma l’avviso di accertamento (OMISSIS) si riferisce in realtà al 2004, come risulta dall’allegato al ricorso, e come emerge anche dalla sentenza della CTR.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e terzo motivo. Rigetta il primo motivo.

Cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla CTR della Basilicata, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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