Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21820 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 22/03/2018, dep. 07/09/2018), n.21820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24137 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Assimoco Vita s.p.a., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al

controricorso, dall’Avv. Guido Bartalini, elettivamente domiciliata

presso lo studio del medesimo difensore in Roma, via delle Quattro

Fontane, n. 161;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia n. 1036/38/14, depositata in data 26

febbraio 2014;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 22 marzo 2018

dal Consigliere Dott. Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle Entrate ricorre con unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in epigrafe con la quale è stato respinto l’appello da essa proposto e confermata la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso della Assimoco Vita s.p.a. e ritenuta la illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato;

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: con l’atto impugnato l’Agenzia delle Entrate aveva notificato alla Assimoco Vita s.p.a., un atto di contestazione per omessa fatturazione di operazioni imponibili ai fini IVA, relative all’anno 2007; la Assimoco Vita s.p.a. aveva proposto ricorso avverso il suddetto atto, contestando la legittimità dell’atto impugnato sia per difetto di motivazione sia per la ritenuta applicabilità, alle operazioni contestate, della previsione di esenzione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, comma 9; l’Agenzia delle Entrate, costituendosi, aveva eccepito la legittimità della pretesa, in quanto la clausola di delega contenuta nel contratto di riassicurazione non costituiva “attività assicurativa” quindi le prestazioni svolte in esecuzione erano soggette all’Iva; la Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso, avendo ritenuto che le prestazioni rese dalla coassicuratrice delegataria dovevano essere considerate accessorie alla prestazione principale; avverso la pronuncia del giudice di primo grado aveva proposto appello l’Agenzia delle Entrate, nel contraddittorio con la contribuente;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello ed ha confermato la decisione del giudice di primo grado, avendo ritenuto, in diritto: che la clausola di delega era parte integrante del contratto di coassicurazione e veniva accettata dall’assicurato, sicchè essa, finalizzata a meglio gestire il rapporto con quest’ultimo, era da considerarsi strumentale al contratto di assicurazione, con la conseguenza che le prestazioni svolte in esecuzione della suddetta clausola dovevano considerarsi accessorie alla prestazione assicurativa e quindi esenti dall’Iva; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a unico motivo di censura;

la Assimoco Vita s.p.a. si è costituita con controricorso contenente ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

devono preliminarmente essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla controricorrente;

la stessa, in primo luogo, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto, con il motivo proposto, si intenderebbe procedere ad una nuova valutazione di merito sulla natura accessoria delle prestazioni svolte dalla coassicuratrice delegataria;

l’eccezione è infondata;

il motivo di ricorso è stato proposto sulla base della ritenuta non corretta applicazione del regime di esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10 e la pronuncia impugnata, dopo avere precisato i caratteri essenziali della clausola di delega nell’ambito del contratto di coassicurazione, ha ritenuto che le operazioni eseguita in esecuzione della medesima rientrassero nel suddetto regime; non si tratta, quindi, di una richiesta di rivalutazione di merito della decisione del giudice di appello, in quanto non viene richiesto di riesaminare il materiale fattuale posto all’attenzione del giudice, ma di una questione che attiene alla esatta individuazione dell’ambito di applicazione della disciplina in esame, dovendosi verificare se la disciplina normativa di riferimento, quando esenta dall’Iva le operazioni di assicurazione, di riassicurazione e di vitalizio” (art. 10, n. 2) e “le prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1) a 7)” (art. 10, n. 9), nonchè le “prestazioni accessorie” (art. 12), possa essere ritenuta applicabile anche al caso di specie, il che presuppone che si definisca quale sia il corretto ambito di applicazione della suddetta disciplina di esenzione che si ritiene violata;

con riferimento al motivo di ricorso principale, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza della Commissione tributaria regionale in epigrafe per violazione o falsa applicazione dell’art. 1911 c.c. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 10 e 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto le attività per le quali erano stati corrisposti i compensi sui quali era stata applicata l’Iva nell’atto impugnato (cioè l’esazione del premio, la ricezione dall’assicurato delle comunicazioni inerenti il contratto, la gestione del sinistro), erano poste a beneficio unicamente delle altre società coassicuratrici, sicchè le stesse non potevano essere fatte rientrare nell’ambito delle prestazioni esenti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 2), posto che nel concetto di operazioni di assicurazione potevano essere incluse solo le prestazioni tipiche del contratto di assicurazione, cioè il servizio di copertura del rischio fornito all’assicurato, mentre, nella fattispecie, le società di assicurazione aveva dato vita a un rapporto diverso e autonomo rispetto al contratto di assicurazione e dotato di sua autonomia; evidenziava, inoltre, che nella nozione di operazione di assicurazione potevano farsi rientrare solo quelle attività dirette alla copertura indennitaria verso il pagamento di un premio e che, inoltre, non poteva riscontrarsi alcun rapporto di accessorietà tra le attività in esame e il destinatario della prestazione assicurativa, con conseguente inapplicabilità della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12;

va premesso che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, prevede che sono esenti dall’IVA, tra le altre, “le operazioni di assicurazione, di riassicurazione e di vitalizio” (n. 2) nonchè “le prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1) a 7)” (n. 9);

ai fini della corretta applicazione della previsione in esame, occorre preliminarmente definire quali attività possano essere qualificate come “operazioni assicurative”, in modo da valutare, successivamente, se le attività rese dall’impresa coassicuratrice in forza della clausola di delega possano essere fatte rientrare nella suddetta nozione;

va osservato, in primo luogo, che la disposizione è coerente con la disciplina unionale che, all’art. 135, paragrafo 1, lett. a), della Direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE corrispondente all’art. 13, parte B, lett. a), della Sesta Direttiva del Consiglio, 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE – dispone, tra l’altro, che “Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: a) le operazioni di assicurazione e di riassicurazione, comprese le prestazioni di servizi relative a dette operazioni, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione”;

inoltre, va altresì considerato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha precisato che i termini utilizzati per designare le esenzioni di cui all’art. 135, par. 1, della Direttiva IVA, devono essere interpretati restrittivamente, dato che esse costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (Corte Giust, 17 marzo 2016, Aspiro; Corte Giust. 17 gennaio 2013, BGZ Leasing), ed ha aggiunto che le esenzioni previste da tale articolo costituiscono nozioni autonome del diritto dell’Unione, che mirano ad evitare divergenze nell’applicazione del sistema dell’IVA da uno Stato membro all’altro (v., in tal senso, anche Corte Giust. 8 marzo 2001, Skandia);

ciò posto, in ordine all’interpretazione dell’espressione “operazioni di assicurazione”, la Corte di Giustizia ha precisato: che la suddetta espressione fa riferimento a quelle operazioni caratterizzate dal fatto che l’assicuratore si impegna, previo versamento di un premio, a procurare all’assicurato, in caso di realizzazione del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto (vedi, sul punto, Corte Giust., 20 novembre 2003, Taksatorringen; Corte Giust., 25 febbraio 1999, CPP); che, nell’ambito di tali operazioni, possono rientrare anche quelle effettuate da un soggetto passivo che non sia direttamente assicuratore, ma che, nell’ambito di un’assicurazione collettiva, procuri ai suoi clienti siffatta copertura avvalendosi delle prestazioni di un assicuratore che si assume l’onere del rischio assicurato, a condizione che sussista l’identità del destinatario della prestazione e che una tale operazione implica, per sua natura, che esista un rapporto contrattuale tra chi presta il servizio di assicurazione e l’assicurato (Corte Giust., 20 novembre 2003, Taksatorringen); che, infine, ciascuna prestazione di servizio deve essere considerata di regola come autonoma e indipendente, potendosi ravvisare l’esistenza di un’unica prestazione solo quando, alla presenza di uno o più elementi che costituiscono la prestazione principale, si affiancano altri elementi che danno luogo ad una prestazione accessoria, per tale ravvisandosi una prestazione che non costituisce per la clientela un fine a sè stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (Corte Giust., 25 febbraio 1999, CPP);

con riferimento, poi, all’individuazione del significato dell’espressione “prestazioni di servizi relative a dette operazioni effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione”, la Corte di Giustizia, nella richiamata pronuncia Aspiro, ha sostenuto, da un lato, che il termine “relative” è sufficientemente ampio da ricomprendere diverse prestazioni che concorrono alla realizzazione di operazioni di assicurazione e, segnatamente, la liquidazione di sinistri, la quale costituisce una delle parti essenziali di tali operazioni; dall’altro, che l’accertamento del requisito soggettivo indicato nell’espressione va condotto all’esito di una valutazione del contenuto specifico dell’attività svolta, nell’ambito della quale non è determinante la circostanza relativa al mancato possesso della qualifica di mediatore o intermediario di assicurazione, essendo necessario che vengano soddisfatte due condizioni: che il prestatore sia in rapporto con l’assicuratore e con l’assicurato e che la sua attività ricomprenda aspetti essenziali della funzione di intermediario di assicurazione;

con riferimento a quest’ultima condizione, in particolare, la Corte di Giustizia ha chiarito che tali attività devono essere connesse alla natura stessa del mestiere di mediatore o di intermediario di assicurazione, il quale consiste nella ricerca di clienti e nel mettere questi ultimi in relazione con l’assicuratore, in vista della conclusione di contratti di assicurazione (cfr., altresì, Corte Giust., 3 marzo 2005, Arthur Andersen);

preme evidenziare che questa Corte, con sentenza del 4 novembre 2016, n. 22429, affrontando la medesima questione in esame, ha proceduto ad un’analitica ricostruzione del quadro normativo in rilievo e dei principi affermati dalla Corte di Giustizia in materia, osservando che, sul piano oggettivo, un’operazione va considerata unica, sul piano fiscale, quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo sono strettamente connessi a tal punto da formare una sola prestazione economica indissociabile, la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso, e ciò anche quando la pluralità degli atti necessari a completare la prestazione possa coinvolgere anche soggetti estranei al rapporto contrattuale ed ha precisato che, relativamente alle “operazioni di assicurazione”, è necessario, sul piano soggettivo, che vi sia un rapporto contrattuale tra il prestatore del servizio di assicurazione e l’assicurato, riconoscendo la riconducibilità alla fattispecie di esenzione dell’imposta nei casi di prestazioni idonee ad integrare il servizio assicurativo sotto il profilo economico e tali da dar luogo ad un’unica operazione, nei sensi considerati, e sempre che il prestatore di servizi si sia impegnato esso stesso nei confronti dell’assicurato a garantire a quest’ultimo la copertura di un rischio e sia vincolato all’assicurato da un rapporto contrattuale;

con la successiva pronuncia dell’8 marzo 2017, n. 5885, la Corte ha affermato che “ai fini dell’assoggettabilità delle operazioni di coassicurazione al regime di esenzione IVA, occorre verificare se la società coassicuratrice delegataria che gestisce la liquidazione dei sinistri sia anche parte del rapporto in essere con l’assicurato, per avere ad esempio assunto obbligazioni contrattuali nei suoi confronti sotto il profilo della garanzia della copertura del rischio, sia pure secondo le caratteristiche proprie della coassicurazione, che prevedono una gestione frazionata del rischio con altre imprese assicuratrici, a tal fine non rilevando invece – perchè operante su un diverso piano – la regola sancita dall’art. 1911 c.c., che esclude la solidarietà nelle obbligazioni assunte (sia pure in un unico contratto) dalle diverse imprese (co)assicuratrici”;

così definiti il quadro normativo di riferimento nonchè i successivi arresti interpretativi della Corte di giustizia e della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che il contratto di coassicurazione vada qualificato quale “operazione di assicurazione” ai sensi e per gli effetti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma, n. 2 e art. 135, par. 1, della Direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, in quanto con lo stesso, disciplinato dall’art. 1911 c.c., la garanzia assicurativa viene ripartita tra più assicuratori per quote determinate, per cui ciascun assicuratore è tenuto al pagamento dell’indennità assicurata in proporzione della rispettiva quota, anche se unico è il contratto, sottoscritto da tutti gli assicuratori, realizzandosi, in tal modo, una struttura oggettivamente unitaria del negozio (a differenza dell’assicurazione plurima o cumulativa), ma soggettivamente composita dal lato degli assicuratori, che, d’accordo tra loro e con il contraente assicurato, prestano la garanzia frazionatamente, in misura della rispettiva concordata partecipazione al rischio, per cui, in presenza di una pluralità di posizioni debitorie distinte caratterizzate dalla parziarietà, viene ad essere escluso tra i coassicuratori ogni vincolo di solidarietà, con la conseguente insussistenza di un diritto di regresso, ricorrendo il requisito caratterizzante le “operazioni di assicurazione”, in relazione all’impegno di più assicuratori, previo versamento di un premio, di procurare all’assicurato, in caso di realizzazione del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto;

a medesima conclusione non è dato pervenire con riferimento alle prestazioni effettuate da uno dei coassicuratori in adempimento della cd. “clausola di delega”, in quanto tale clausola non modifica i termini del rapporto contrattuale di coassicurazione, dando luogo ad una responsabilità solidale, ma si risolve nel conferimento, ad uno dei coassicuratori, dell’incarico di gestire le polizze con assegnazione di un potere rappresentativo nel compimento di atti giuridici o nel pagamento dell’indennizzo che può essere, così, eventualmente richiesto al delegato anche nella qualità di rappresentante degli altri (cfr. Cass. civ, sez. 3, 12 luglio 2005, n. 14590);

si tratta, quindi, di una clausola negoziale mediante cui i coassicuratori, per ragioni di semplificazione, conferiscono ad uno di essi la gestione della polizza e, cioè, il compimento di tutti gli atti inerenti allo svolgimento del rapporto assicurativo, e che, non interferendo con la parziarietà dell’obbligazione dei coassicurati, vale ad armonizzare il frazionamento della garanzia assicurativa con l’esigenza dello svolgimento unitario del rapporto (Cass. civ, sez. 3, 28 gennaio 2005, n. 1754; Cass. civ., sez. 3, 12 dicembre 1997, n. 12610), ed infatti, anche nei casi in cui la clausola investa la gestione diretta delle controversie e, quindi, comprenda la rappresentanza processuale degli altri coassicuratori, l’assicuratore delegato può essere convenuto in giudizio anche per il pagamento delle quote di indennità di pertinenza dei deleganti solo a condizione che la domanda nei suoi confronti sia proposta espressamente, o comunque inequivocamente, richiamando la sua qualità di delegato, in modo che risulti chiaramente che per la parte eccedente la quota di rischio a suo carico l’indennizzo gli è richiesto nella qualità di rappresentante degli altri coassicuratori, e in tale qualità deve essere pronunciata, quindi, la sua eventuale condanna per la predetta parte (cfr. Cass. civ. sez. 3, 20 aprile 2017, n. 9961);

parimenti, va considerato che l’atto con cui l’assicurato denuncia il sinistro e richiede il pagamento dell’indennità nei confronti della compagnia delegataria è idoneo ad interrompere la prescrizione del diritto al pagamento dell’indennità nei confronti di ciascun coassicuratore solo allorchè sia contrattualmente previsto che tutti i rapporti inerenti al contratto siano “svolti” dall’assicurato unicamente nei confronti della delegataria, alla quale, dunque, siano affidati, oltre che compiti di gestione della polizza, anche quelli di ricezione di tutte le comunicazioni ad essa inerenti e di informazione alle compagnie coassicuratrici (cfr. Cass. civ, sez. 3, 10 agosto 2016, n. 16862; Cass. civ., sez. 3, 30 maggio 2013, 13661);

così precisate le caratteristiche della “clausola di delega” ed i conseguenti rapporti tra le società di coassicurazione, si ritiene che le prestazioni eseguite da uno dei coassicuratori in adempimento di una “clausola di delega” non possono essere assimilate, ai fini della fruizione dell’esenzione dall’IVA, alle “operazioni di assicurazione”, in quanto ne risulta assente l’elemento imprescindibile, consistente nell’impegno, previo versamento di un premio, a procurare all’assicurato, in caso di realizzazione del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto, posto che gli impegni oggetto della clausola di delega non hanno per oggetto la copertura assicurativa del rischio del verificarsi di un determinato evento, ma unicamente le modalità per una gestione accentrata e unitaria del rapporto plurisoggettivo (dal lato dell’assicuratore), difettando, inoltre, anche il requisito della corrispondenza del destinatario della prestazione con il soggetto i cui rischi sono coperti dall’assicurazione, ossia l’assicurato;

con riferimento a quest’ultimo profilo, infatti, va considerato che le prestazioni sono rese a seguito di mandato conferito dagli altri coassicuratori e, dunque, sono essi a beneficiarne, ripartendo, sulla base dell’accordo sottostante alla clausola di delega, gli oneri amministrativi derivanti dalla gestione del rapporto assicurativo, ed è proprio a fronte di tale utilità che si obbligano a remunerare il delegatario;

d’altro lato, non decisive appaiono le circostanze relative alla sussistenza di un interesse dell’assicurato all’esecuzione di tali prestazioni, in relazione al vantaggio di avere un unico interlocutore nella gestione del rapporto assicurativo, trattandosi di un interesse estraneo al rapporto sinallagmatico;

in questo contesto, invero, l’assicurato non è parte dell’accordo negoziale raggiunto dai coassicuratori in ordine al conferimento dei poteri rappresentativi e l’estensione degli effetti degli atti indirizzati al delegatario anche agli altri coassicurati si realizza solo in virtù e nei limiti di tale conferimento;

d’altro lato, l’interesse che giustifica la stipula della clausola di delega è unicamente quello dei coassicuratori, in relazione alla loro esigenza di provvedere ad una ripartizione degli oneri amministrativi inerenti la gestione del rapporto con l’assicurato e di mitigare, in tal modo, le conseguenze derivanti dall’applicazione del principio della parziarietà dell’obbligazione indennitaria, sicchè il pagamento del compenso per l’esecuzione delle prestazioni che la clausola di delega richiede è posto a carico dei coassicuratori deleganti proprio in ragione del soddisfacimento di tale interesse; l’estraneità dell’assicurato all’ambito di applicazione dei rapporti obbligatori nascenti dalla clausola di delega evidenzia anche il difetto dell’ulteriore requisito previsto dalla giurisprudenza unionale per la ricorrenza della causa di esenzione in esame, rappresentato dal fatto che le prestazioni di cui si discute, ai fini dell’esclusione dell’assoggettamento all’imposta, implichino, per loro natura, l’esistenza di un rapporto contrattuale tra il prestatario del servizio e l’assicurato;

ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per quanto riguarda la riconducibilità delle prestazioni eseguite in adempimento della clausola di delega alla diversa ipotesi delle prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di assicurazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 9), ovvero, come richiede l’art. 135, par. 1, della Direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, delle prestazioni di servizi relative a operazioni di assicurazione, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione;

a tal proposito, va premesso che, mentre la richiamata disposizione nazionale fa riferimento alle “prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1) a 7)” e, dunque, anche alle operazioni di assicurazione, previste dal n. 2 del medesimo art. 10, comma 1, l’art. 135, par. 1, lett. a), della Direttiva esonera dall’IVA “le operazioni di assicurazione e di riassicurazione, comprese le prestazioni di servizi relative a dette operazioni, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione”;

l’esame delle due disposizioni non evidenzia un differente ambito di operatività dell’esenzione in oggetto, in quanto la norma interna va interpretata nel senso di limitare l’esenzione dell’imposta alle sole operazioni che sono poste in essere in sede di svolgimento dell’attività di intermediazione assicurativa, intesa quale attività svolta nei confronti di terzi al fine di mettere questi ultimi in relazione con l’assicuratore in vista della conclusione di contratti di assicurazione;

una siffatta interpretazione si impone in considerazione: sia del ricorso, da parte del legislatore nazionale, ad una serie di termini mandato, mediazione e intermediazione – che, pur avendo un proprio autonomo significato, hanno in comune il fatto di rivolgersi ad attività funzionali al compimento di operazioni tra soggetti diversi, ponendo le basi per l’instaurazione di un contatto tra tali soggetti e facilitando il raggiungimento dell’accordo tra questi; sia del dettato della normativa unionale, finalizzata in modo inequivoco a circoscrivere l’estensione della non imponibilità delle operazioni di assicurazione alle sole operazioni che, oltre ad essere poste in essere da un prestatore in rapporto con l’assicuratore, presentino gli aspetti essenziali della funzione di intermediario di assicurazione, consistente nella ricerca di potenziali clienti e nel mettere questi ultimi in relazione con l’assicuratore; sia, infine, del rammentato principio per cui le esenzioni di cui all’art. 135, par. 1, della direttiva IVA devono essere interpretati restrittivamente;

ciò posto, l’attività svolta dall’impresa assicuratrice delegataria non è tale da ricomprendere gli aspetti essenziali della funzione di intermediario di assicurazione, sostanziandosi in prestazioni di servizi non già finalizzate alla ricerca di potenziali clienti da mettere in relazione anche con le altre imprese coassicuratrici mandanti in vista della conclusione di contratti di assicurazione, ma costituenti frazioni delle attività cui anche le altre imprese coassicuratrici sono tenute;

non corretta, pertanto, è la pronuncia censurata per avere ritenuto che nella fattispecie sussisterebbe un rapporto di accessorietà delle prestazioni svolte in delega con la prestazione assicurativa;

infatti, tenuto conto di quanto sopra illustrato, va considerato che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12 “… le altre cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra le parti dell’operazione principale”;

la norma invocata, nel sancire il principio per cui alle prestazioni accessorie si applica la stessa disciplina tributaria in materia di IVA della prestazione principale, presuppone, così come desumibile dalla giurisprudenza unionale richiamata, che entrambe le prestazioni siano indirizzate in favore del medesimo destinatario, al fine di consentirgli di fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (cfr. Corte Giust., 25 febbraio 1999, CPP; Corte Giust., 22 ottobre 1998, Madgett e Baldwin);

la stessa, quindi, non trova applicazione al caso in esame in cui la prestazione principale ha quale diretto beneficiario un soggetto (l’assicurato), mentre quella ritenuta accessoria uno diverso (i coassicuratori), in relazione al diverso e ulteriore fine perseguito, esclusivo dei coassicuratori, di ridurre gli oneri amministrativi derivanti dalla garanzia prestata;

in conclusione, alla luce della suddetta linea interpretativa, la pronuncia impugnata, avendo ritenuto applicabile nella fattispecie la disciplina di esenzione, è incorsa nel vizio di violazione di legge; ne consegue l’accoglimento del ricorso principale, con cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessario procedere ad ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito, con rigetto del ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente;

in considerazione dell’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale, appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio;

la suddetta statuizione in ordine alle spese di lite, anche relativamente ai precedenti gradi di giudizio, ha valore assorbente del motivo di ricorso incidentale proposto dall’Assimoco Vita s.p.a, per il quale si è censurata la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere esaminato l’appello incidentale da essa proposto avverso la decisione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto di dovere compensare le spese del giudizio e non aveva pronunciato sulla domanda di condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente;

compensa interamente tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 22 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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