Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21819 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 09/10/2020), n.21819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29371/2014 R.G. proposto da:

FNM S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t., elett.te dom.to in

Roma alla via Filippo Corridoni n. 4, presso lo studio dell’avv.

Giuseppe Mazzuti, unitamente all’avv. Filomena Patrizia Suma, da cui

è rapp.to e difeso, come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2114/42/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata il 17/4/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 febbraio 2020 dalla Dott.ssa d’Oriano Milena.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. con sentenza n. 2114/42/14, depositata il 17 aprile 2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 77/8/13 della CTP di Milano, con compensazione delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con cui era stato richiesto il pagamento in misura proporzionale, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata, dell’imposta di registro dovuta in relazione ad una sentenza di condanna al risarcimento del danno dovuto a seguito della risoluzione di diritto di un contratto di leasing di convogli ferroviari; la somma richiesta, e riconosciuta, a tale titolo era stata calcolata secondo il criterio predeterminato dalle parti nella clausola penale di cui all’art. 16 del contratto, in misura pari al minor importo tra la somma dei canoni periodici dovuti in forza del contratto di sublocazione per cinque anni e quelli dovuti per il periodo rimanente sino alla scadenza contrattuale;

3. la Commissione di primo grado aveva rigettato la domanda di accertamento della nullità della sentenza sottoposta a registrazione, emessa nonostante il sopraggiunto fallimento della società condannata, ed accolto per il resto il ricorso, dando rilevanza al fatto che l’importo quantificato in citazione, pari ad Euro 3.243.483,27, era stato indicato quale comprensivo di IVA e quindi dovesse ritenersi soggetto ad imposta di registro in misura fissa;

4. la CTR, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto corretta l’applicazione dell’aliquota proporzionale agli importi non soggetti ad IVA corrispondenti al risarcimento del danno e ad interessi moratori, avendo la pronuncia natura di condanna e non di mera dichiarazione della risoluzione contrattuale, e confermato quanto già statuito in primo grado circa il fatto che i vizi della sentenza andassero fatti valere in sede civile e non in quella tributaria;

5. avverso la sentenza di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 1-12-2014, affidato a quattro motivi, e presentato memoria ex art. 380 bis c.p.c.; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.. con il primo motivo di ricorso la società FNM S.p.A. denuncia un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la decisione impugnata per la mancata valutazione del contenuto della sentenza civile soggetta a registrazione, da cui risultava che l’importo oggetto di condanna fosse già inclusivo di IVA;

2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., rilevando che la CTR aveva tenuto conto del solo dispositivo, ma non anche della motivazione della sentenza, ed aveva statuito sulla tassazione applicabile al rapporto oggetto della sentenza anzichè attenersi al dato testuale della stessa, violando con questo le norme sul giudicato;

3. con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, per aver ritenuto non soggetti ad IVA importi relativi ad un contratto di sublocazione, scaturenti dall’applicazione di una clausola penale convenzionalmente stabilita tra le parti;

4. con il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 161 c.p.c., per aver escluso la possibilità di accertare anche in via incidentale la nullità/inesistenza della sentenza, presupposto dell’imposizione, emessa benchè l’intervenuto fallimento della controparte imponesse l’interruzione del processo.

OSSERVA CHE:

1. Il primo motivo di ricorso risulta infondato.

1.1 La sentenza impugnata non è incorsa nel denunciato vizio di omesso esame di un fatto decisivo in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha preso in considerazione la sentenza emessa dal Tribunale civile oggetto di registrazione e ritenuto che la stessa avesse natura di condanna, e non meramente dichiarativa della risoluzione del contratto, e che gli importi che ne erano oggetto fossero stati liquidati a titolo di risarcimento del danno ed interessi moratori.

Non sussiste pertanto la totale obliterazione di elementi che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione, nè l’obiettiva carenza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto la Commissione, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, bensì una mera difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuito alla sentenza sottoposta a registrazione.

2. Anche il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.

2.1 La CTR, nel qualificare l’importo quale risarcimento del danno non soggetto ad IVA, non ha omesso di valutare la sentenza nel suo complesso in quanto dalla stessa parte di motivazione riportata in ricorso si evince che la somma oggetto di condanna è stata liquidata a titolo di risarcimento del danno nella misura stabilita dalla clausola penale, senza che su tale punto sussista alcuna difformità tra parte motiva e parte dispositiva.

Il riferimento all’IVA inclusa risultava riportato nella parte descrittiva della richiesta della parte attrice, ove l’IVA era stata evidentemente considerata quale mero elemento di quantificazione ulteriore, aggiuntivo rispetto ai canoni considerati quale base imponibile della stessa, per determinare l’importo complessivo dovuto a titolo di risarcimento del danno, concorrendo la stessa a determinare il complessivo esborso necessario alla reintegrazione patrimoniale conseguente al fatto illecito subito.

2.2 Nella sentenza civile, del resto, non era stato oggetto di statuizione l’assoggettamento o meno ad IVA dell’importo riconosciuto a titolo di risarcimento, esulando tra l’altro tale verifica dalla giurisdizione del giudice ordinario per essere la stessa riservata al giudice tributario, sicchè la CTR non è incorsa in alcuna violazione nè dei limiti della sua giurisdizione nè dei limiti del giudicato.

3. Egualmente infondato il terzo motivo.

3.1 L’avviso di liquidazione impugnato ha ad oggetto una richiesta di pagamento dell’imposta di registro determinata in misura proporzionale, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata, rispetto ad una sentenza di condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno che consegue all’applicazione di una clausola penale prevista in un contratto di sublocazione.

Il citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8 assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo, in una articolata casistica, fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale.

Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad imposta proporzionale del 3% quelli ” recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; recita poi la nota II allo stesso articolo: “Gli atti di cui al comma 1, lett. b), e al comma 1-bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico.”.

Secondo il richiamato art. 40, comma 1, “Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa.”

Dal quadro normativo innanzi delineato deriva l’operatività nel nostro sistema tributario del principio della cd alternatività tra l’IVA e l’imposta di registro, che esclude l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale per la registrazione di atti relativi ad operazioni che risultano già assoggettate ad IVA.

3.2 La corretta applicazione di tale principio presuppone che in presenza della registrazione di una sentenza di condanna al pagamento di somme venga verificato preliminarmente se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.

Nella controversia in esame si è in presenza di una sentenza di condanna della conduttrice inadempiente al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno in favore della locatrice, in conseguenza della risoluzione di diritto del contratto, quantificato nella misura predeterminata mediante una clausola penale inserita nel contratto di leasing.

Ed invero, come questa Corte ha già affermato, per il disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, non concorrono a formare la base imponibile dell’IVA – che consegue alla cessione dei beni e alla prestazione dei servizi – le somme dovute a titolo di risarcimento del danno nonchè a titolo di interessi moratori, penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi contrattuali (v., in tema di indennità dovuta ex L. n. 392 del 1978, ex art. 34, quale indennizzo per la cessazione del rapporto di locazione Cass. n. 13345 del 2006; in tema di transazione Cass. n. 17633 del 2008; in tema di danni da ritardata consegna del bene locato ex art. 1591 c.c.Cass. n. 22592 del 2013.)

3.3 La clausola penale non ha natura e finalità sanzionatoria o punitiva, ma assolve alla funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria, tant’è che se l’ammontare fissato nella stessa venga a configurare, secondo l’apprezzamento discrezionale del giudice, un abuso o uno sconfinamento dell’autonomia privata oltre determinati limiti di equilibrio contrattuale, può essere equamente ridotta.

Ne consegue che l’Agenzia ha correttamente ritenuto non soggetto ad IVA l’importo spettante a titolo di risarcimento del danno, quantificato sulla base di una clausola penale, e quindi assoggettata ad imposta di registro proporzionale la sentenza di condanna al pagamento di detto importo.

4. Infondato infine anche il quarto motivo.

4.1 Costituisce orientamento consolidato che “In tema di contenzioso tributario, solo nell’ambito del medesimo processo (e delle diverse fasi di impugnazione), ai sensi dell’art. 161 c.p.c., è consentito dedurre errori, nullità, illegittimità o irregolarità in esso verificatesi, ed ove tali deduzioni intervengano in un diverso processo il giudice adito non ha il potere, neanche in via incidentale, di rilevare, dichiarare e/o correggere gli eventuali errori o le nullità ed illegittimità dell’altro processo, con conseguente inammissibilità per difetto di interesse della parte alla relativa proposizione. Ne consegue che il giudice tributario non può estendere il suo potere di cognizione incidentale fino ad involgere anche la giuridica esistenza e la sorte processuale del titolo giudiziale posto a fondamento della pretesa tributaria e divenuto inoppugnabile, non potendosi rimuovere provvedimenti processuali divenuti definitivi, perchè ritenuti errati o abnormi, in quanto trattasi di situazioni deducibili o nel giudizio preordinato alla formazione del titolo stesso, o con i mezzi di impugnazione straordinaria o, in casi eccezionali, mediante autonoma azione di accertamento negativo (“actio nullitatis”). (Vedi Cass. n. 1083 e n. 22506 del 2013; n. 5833 del 2011).

Si ricorda infatti che “La cd inesistenza giuridica o la nullità radicale di un provvedimento avente contenuto decisorio, erroneamente emesso da un giudice carente di potere o dal contenuto abnorme, irriconoscibile come atto processuale di un determinato tipo, può essere fatta valere non con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, bensì, in ogni tempo, mediante un’azione di accertamento negativo (“actio nullitatis”)”.(Vedi in Cass. n. 27428 del 2009 e n. 10784 del 1999).

4.2 Del resto “In tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 37, comma 1, la sentenza che definisce il giudizio – anche solo parzialmente e pur non passata in giudicato – è soggetta a tassazione, sicchè l’Ufficio del registro provvede legittimamente alla liquidazione, emettendo il relativo avviso, che è impugnabile per vizi, formali o sostanziali, inerenti all’atto in sè, al procedimento che lo ha preceduto, oppure ai presupposti dell’imposizione. Nè l’eventuale riforma, totale o parziale, della decisione nei successivi gradi di giudizio, e fino alla formazione del giudicato, incide sull’avviso di liquidazione, integrando, piuttosto, un autonomo titolo per l’esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso dell’imposta da far valere in via autonoma e non nel procedimento relativo all’avviso di liquidazione. (Vedi Cass. n. 12023 del 2018; n. 12736 del 2014).

Analogamente con riferimento alle invalidità relativa agli atti si è ritenuto che ” In tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 38, la nullità o l’annullabilità dell’atto non incidono sull’obbligo di chiederne la registrazione, nè su quello, conseguente, di pagare la relativa imposta, tanto principale quanto complementare, ma costituiscono soltanto titolo per ottenerne la restituzione, ove venga dichiarata o accertata l’invalidità dell’atto con sentenza passata in giudicato, in ragione, peraltro, di un vizio non imputabile alle parti e che renda l’atto stesso insuscettibile di ratifica, convalida o conferma” (Vedi Cass. n. 6832 del 2018).

4.3 In continuità con tali principi va dunque escluso che la CTR avesse la possibilità di accertare in via incidentale la nullità o l’inesistenza della sentenza presupposto dell’imposizione.

5. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.

5.1 Segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

5.2 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

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