Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21818 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 28/10/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 28/10/2016), n.21818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29105-2014 proposto da:

D.B.E., D.B.L., B.M. VED. D.B.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso

lo studio dell’avvocato ULISSE COREA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PILADE FRATTINI giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO DI BONIFICA DELLA MEDIA PIANURA BERGAMASCA in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA SICILIA presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO FANTOZZI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO DI VITA,

EDOARDO BELLI CONTARINI giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14709/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 27/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per i ricorrenti l’Avvocato COREA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BELLI CONTARINI che ha

chiesto l’inammissibilità

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO LUIGI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

B.M. ved. D.B., D.B.L. e D.B.E., nella loro qualità di eredi universali di D.B.M., propongono ricorso per la revocazione, ex artt. 391 bis e 391 ter c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4), della sentenza n. 14709 del 27 giugno 2014, con la quale questa corte di legittimità ha respinto il ricorso presentato, nei confronti del Consorzio di Bonifica Media Pianura Bergamasca, avverso la sentenza della CTR di Brescia n. 48/66/09 che, in sede di revocazione, ha ritenuto legittime le cartelle di pagamento notificate al D.B. a titolo di quota consortile per l’anno 2003 in relazione a due palazzi siti in Bergamo, di sua proprietà.

L’istanza di revocazione muove dalla mancata disamina, da parte della suddetta sentenza di legittimità, dell’eccezione di giudicato esterno formatosi, tra le stesse parti ed in relazione ai medesimi immobili, in forza della sentenza della corte di cassazione n. 2954/14 (depositata nel giudizio di cassazione in allegato alla memoria ex art. 378 c.p.c.) reiettiva del ricorso proposto dal Consorzio contro la sentenza della corte di appello di Brescia n. 59/07. Sentenza, quest’ultima, attestante l’insussistenza, in capo ai due fabbricati in oggetto, di qualsivoglia utilitas causalmente ricollegabile alle opere di bonifica del consorzio (predisposizione e manutenzione di un sistema di rogge coperte atte a garantire il corretto funzionamento della fognatura comunale e, in particolare, ad evitare tracimazioni ed allagamenti anche in caso di precipitazioni eccezionali).

Ancorchè il giudicato in questione si riferisse ad annualità di contribuzione (1994-’97-’98-’99) diverse da quella qui dedotta (2003), doveva ad esso comunque attribuirsi effetto preclusivo espansivo anche nella presente controversia, stante l’identità, negli anni, degli elementi oggettivi costitutivi del rapporto di contribuzione.

Le ricorrenti ripropongono poi, in sede rescissoria, sei motivi di ricorso per la cassazione della suddetta sentenza della CTR.

Resiste il Consorzio di Bonifica della Media Pianura Bergamasca mediante controricorso e memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Il ricorso per revocazione non può trovare accoglimento.

Venendo qui dedotta l’ipotesi di errore di fatto revocatorio, occorre partire dal dato normativo ex art. 395 c.p.c., n. 4), secondo cui “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

L’errore revocatorio deve dunque cadere – per regola generale, valevole anche nel caso di revocazione di sentenze di legittimità ex artt. 391 bis e ter cod. proc. civ., recettivi di quanto stabilito dalla corte costituzionale con le sentenze nn. 17/1986 e 36/1991 – su un “fatto”; ed esso si concreta in una falsa percezione della realtà, a sua volta indotta da una “svista” di natura percettiva e sensoriale.

Proprio per tale sua natura, questa falsa percezione della realtà – che nel procedimento di cassazione concerne necessariamente i soli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la corte esamina direttamente nell’ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d’ufficio: Cass. 4456/15, ord. – deve emergere in maniera oggettiva ed immediata dal solo raffronto tra la realtà fattuale e la realtà rappresentata in sentenza. Con la conseguenza che non può dirsi revocatorio quell’errore la cui verificazione richieda indagini, procedimenti ermeneutici, svolgimento di argomentazioni giuridico-induttive (tra le molte: Cass. nn. 3317/98; 14841/01; 2713/07; 10637/07; 23856/08; 8472/16, ord.).

E’ vero che l’errore revocatorio non riguarda soltanto i fatti materiali (o storici, o empirici) di natura sostanziale, ma anche gli eventi del processo. Questa affermazione ha trovato varie applicazioni giurisprudenziali quanto ad errore costituito, ad esempio, dall’omesso esame di uno scritto difensivo (ma solo nell’ipotesi in cui l’omissione sia tale da comportare una svista percettiva del giudice in ordine all’esistenza o inesistenza di una circostanza fattuale di natura decisiva, non già una diversa valutazione in diritto della fattispecie sostanziale o processuale: Cass. 3137/94); ovvero dall’omessa pronuncia su una domanda che si assuma essere stata ritualmente proposta, ma che il giudice abbia ritenuto non essere mai stata formulata in giudizio (Cass. 12958/11); ovvero, ancora, nell’omesso esame di un motivo di impugnazione non percepito (Cass. 362/10; 17163/15).

E tuttavia, anche questa tipologia di errore, concernente le intrinseche modalità di svolgimento del giudizio, deve incidere su un “fatto”, ancorchè di natura processuale; con esclusione anche in tal caso, pertanto, di qualsivoglia rilevanza dell’errore di “valutazione” nel quale sia in ipotesi incorso il giudice nella ricostruzione fattuale della vicenda, ovvero nell’applicazione della legge e nella sussunzione della fattispecie.

E’ su tale presupposto che deve intendersi il principio espresso da questa corte di legittimità proprio con riguardo al mancato rilievo della deduzione di un giudicato esterno tra le parti, in base al quale: “costituisce errore di fatto revocatorio, ai fini dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, la pretermissione, da parte della Corte di cassazione, di una doglianza di giudicato esterno fondata su una sentenza di legittimità intervenuta dopo la proposizione del ricorso, ove tale questione sia stata oggetto di specifica eccezione proposta nella memoria depositata ex art. 318 cod. proc. civ. e non presa in considerazione nella disamina del ricorso” (Cass. n. 15608 del 24/07/2015).

Si ritiene, cioè, che anche in presenza di pretermissione della doglianza di giudicato esterno (altra ipotesi di “fatto processuale” astrattamente rilevante ex art. 395, n. 4) cit.), in tanto possa configurarsi errore revocatorio, in quanto il giudicato “pretermesso” sia idoneo a determinare una decisione diversa da quella adottata.

Nemmeno in tal caso, in altri termini, l’errore revocatorio si discosta dalla regola generale, per cui esso rileva soltanto se caratterizzato da incidenza sull’esito della lite: – decisiva, perchè posto in rapporto di determinazione causale con la statuizione assunta; – evidenziabile in maniera lampante, e non all’esito di valutazioni di tipo giuridico ed ermeneutico.

p. 2. Orbene, nel caso in esame risulta che il ricorrente D.B.M. avesse, nella memoria ex art. 378 cit., effettivamente dedotto il giudicato esterno rinveniente dalla citata sentenza di legittimità n. 2954/14; e che, su tale deduzione, la corte di cassazione, pur dopo aver dato testualmente atto che “entrambe le parti hanno depositato una memoria”, non abbia pronunciato.

Da tale pretermissione non può però farsi sic et simpliciter discendere, sulla base dei su riportati criteri ricostruttivi, l’errore revocatorio lamentato.

E ciò in considerazione della circostanza che il giudicato esterno non preso in considerazione non presentava nessuno dei requisiti di rilevanza testè indicati (incidenza decisiva ed immediatamente percepibile sull’esito della lite).

Va in primo luogo considerato che nella sentenza asseritamente preclusiva (n. 2954/14), questa corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto dal Consorzio di Bonifica della Media Pianura Bergamasca nei confronti di D.B.M., affermando la correttezza della decisione con la quale la corte d’appello di Brescia (sent. n. 59/07 del 26 gennaio 2007) aveva negato la debenza del contributo consortile in oggetto, per difetto di beneficio fondiario (utilitas) causalmente ascrivibile alle opere di bonifica; beneficio ritenuto invece direttamente sussistente in capo all’amministrazione comunale, proprietaria dell’impianto di fognatura assistito dal sistema di rogge coperte predisposto e manutenuto dal consorzio.

Senonchè, tale giudicato non riguardava l’annualità di contribuzione dedotta nel presente giudizio, bensì annualità pregresse (dal ‘94 al ‘99), e non immediatamente antecedenti a quest’ultima.

Parte ricorrente invoca, in proposito, il consolidato orientamento di legittimità, in base al quale: “la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli inni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità” (Cass. n. 6953 dell’08/04/2015; in termini: Cass. nn. 25762/14; 1837/14 ed altre, nel solco di SSUU nn. 13916/06 e 14294/07).

Questo orientamento – che qui non si disattende – non vale però a dimostrare la natura revocatoria dell’errore in questione; anzi, nella concretezza della fattispecie, contribuisce esso stesso a smentirla.

Va infatti considerato che la permanente identità della situazione fattuale descritta nel giudicato esterno con quella dell’annualità controversa nel presente giudizio (requisito essenziale, come detto, dell’operare dell’effetto espansivo del giudicato tributario) presupponeva un accertamento dall’esito che, contrariamente a quanto vorrebbero i ricorrenti, non poteva reputarsi affatto scontato nè ictu oculi riscontrabile.

E ciò in ragione non soltanto del non trascurabile divario temporale intercorso rispetto alle annualità “coperte” dal giudicato, ma anche del pacifico sopravvenire, nello svolgimento del rapporto di contribuzione, di un fatto nuovo; almeno potenzialmente idoneo a mutare gli elementi di quest’ultimo, non soltanto nel quantum ma anche nell’an debeatur.

Si tratta dell’adozione (Delib. GR Lombardia n. 7^/3297 del febbraio 2001, ai sensi del R.D. n. 215 del 1933 e della L.R. Lombardia n. 59 del 1984) di un nuovo piano di classifica, sostitutivo di quello vigente per le annualità fatte oggetto del giudicato medesimo.

Questa “novità” escludeva di per sè che il giudicato esterno potesse sortire un effetto preclusivo espansivo tale da determinare una decisione diversa da quella adottata con la sentenza fatta qui oggetto di revocazione.

Sul piano fattuale e dello stato dei luoghi, l’adozione del nuovo strumento di governo dell’intervento consortile – volto a rideterminare le quote di contribuzione a carico dei consorziati in ragione della quota di utilità delle opere a ciascuno di essi (nuovamente) attribuita – ostava alla “meccanica” applicazione al caso di specie del giudicato esterno; formatosi su diversi criteri di ripartizione e di accertamento del beneficio fondiario.

Sul piano più strettamente giuridico, l’adozione del nuovo piano di classifica determinava l’insorgenza di un nuovo rapporto di contribuzione (diverso da quello esaminato nel giudicato esterno), con riguardo al quale si riproponeva ex novo la necessità di impugnativa in sede amministrativa da parte del consorziato che intendesse contestarne la legittimità; ovvero la necessità che questi, se intenzionato a chiederne la disapplicazione da parte del giudice tributario, fornisse avanti a questi la prova, sulla base però della nuova situazione venutasi a creare, della effettiva insussistenza di beneficio.

Ciò in base al consolidato principio secondo cui i contributi consortili in oggetto non sono dovuti allorquando il contribuente (sul quale grava l’onere della prova, in sede di superamento della presunzione relativa ingenerata dall’inserimento del suo fondo all’interno del perimetro di contribuzione e bonifica di cui al piano di classificazione: Cass. SU 11722/10 ed innumerevoli altre successive) dimostri l’insussistenza in capo al proprio immobile di un beneficio o vantaggio causalmente riferibile alla predisposizione e manutenzione delle opere di bonifica.

Ciò che più rileva ai presenti fini, però, è che la sentenza oggetto di revocazione ha, in effetti, preso in esame questo particolare aspetto, specificamente osservando che il contributo consortile in questione era stato ritenuto dovuto dalla commissione tributaria proprio in quanto conseguente alla deliberazione del nuovo piano di classifica da parte della Regione Lombardia nel 2001; e che tale delibera non era stata dai ricorrenti impugnata nella competente sede giurisdizionale amministrativa, nè contestata nella sede contenziosa tributaria.

Si tratta di affermazione con la quale la sentenza oggetto di revocazione ha inteso risolvere il caso mediante applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di contribuzione consortile e che, per le esposte ragioni, avrebbe potuto sostenere, sul piano logico-giuridico, la stessa decisione di rigetto del ricorso per cassazione pur all’esito della disamina del giudicato esterno di cui si lamenta la pretermissione.

In definitiva, dalla sentenza di legittimità di cui si chiede la revocazione si evince non soltanto che il giudicato esterno può avere costituito oggetto di una valutazione implicita di irrilevanza ai fini di causa (evenienza che, di per sè, basterebbe ad escludere il presupposto della revocazione); ma anche, ed in ogni caso, che esso, quand’anche preso in considerazione e sottoposto ad analisi critica, non sarebbe stato in grado di condurre ad una decisione diversa.

E ciò per la già menzionata ragione che il giudicato esterno allegato alla memoria ex art. 378 cod. proc. civ. non era suscettibile di applicazione automatica ed incondizionata alla fattispecie, in quanto di per sè insuscettibile di fornire la prova della stabilità della situazione di fatto e di diritto in esso rappresentata; con conseguente esclusione di automatica proiezione della carenza di utilitas anche sulle annualità di contribuzione successive a quelle da esso prese in esame e, inoltre, assoggettate ad un diverso piano di classifica.

Ciò impedisce di dare ingresso all’errore revocatorio lamentato ex art. 395 c.p.c., n. 4), per difetto di essenzialità e decisività; vale a dire, per difetto di nesso causale tra il mancato rilievo della deduzione del giudicato esterno e la decisione. Nesso di causalità che va riguardato sul piano non della causalità storica, ma logico-giuridica; nel senso che “non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica” (Cass. 6038/16; 3935/09 ed altre).

Ne segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per revocazione, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso per revocazione;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 800,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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