Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21817 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. I, 29/07/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 29/07/2021), n.21817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4307/2017 proposto da:

D.N., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo

studio dell’avvocato Porfidia Vincenzo, che lo rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.R.C., elettivamente domiciliata in Roma, Largo Lucio

Apuleio n. 11, presso lo studio dell’avvocato Della Rocca Cesare,

che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, del 02/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2021 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 29570/2004, il Tribunale di Roma dichiarava lo scioglimento del matrimonio celebrato tra D.N. e D.R.C., stabilendo l’obbligo per il primo di corrispondere alla ex moglie – alla quale veniva, altresì, assegnata la casa familiare – l’assegno divorzile in misura di Euro 400,00, mensili ed un ulteriore assegno di Euro 700,00 mensili, a titolo di mantenimento del figlio minore D. e dei figli maggiorenni F. ed A., non ancora autosufficienti.

1.1. Con ricorso del 18 dicembre 2014, il D. instaurava, quindi, un procedimento ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, chiedendo la revisione delle statuizioni economiche conseguenti alla pronuncia di divorzio. Tale procedimento si concludeva con decreto in data 21 ottobre 2015, con il quale il Tribunale di Roma – in parziale accoglimento della domanda dichiarava cessato, con decorrenza dalla data del ricorso, l’obbligo per il ricorrente di corrispondere l’assegno divorzile alla D.R., nonché l’assegno di mantenimento in favore del figlio F., pari ad Euro 234,00 mensili. Il Tribunale rigettava, per contro, la domanda del D., diretta ad ottenere la cessazione dell’obbligo di corrispondere un contributo per il mantenimento del figlio minore D., e dichiarava inammissibile la domanda del medesimo relativa al versamento diretto dell’assegno di mantenimento a favore del figlio A..

1.2. Il Tribunale respingeva, infine, la domanda riconvenzionale della D.R., volta ad ottenere la corresponsione di una quota del TFR dell’ex coniuge.

2. La Corte d’appello di Roma, con decreto n. 6/2017, depositato il 2 gennaio 2017, accoglieva parzialmente il reclamo proposto dalla D.R., limitatamente all’assegno divorzile – che veniva nuovamente riconosciuto alla reclamante – ed all’assegno di mantenimento a favore del figlio F., che riduceva, tuttavia, all’importo di Euro 150,00, ritenendo comprovato lo svolgimento di lavori saltuari da parte del medesimo.

3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso D.N. nei confronti di D.R.C., affidato a due motivi. La resistente ha replicato con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vano esaminati congiuntamente – D.N. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, artt. 112, 115 e 116 c.p.c., artt. 23 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Il ricorrente – prestata acquiescenza alla pronuncia della Corte d’appello, nella parte in cui ha ritenuto che il giudice di primo grado fosse incorso nel vizio di ultrapetizione, per avere revocato l’assegno divorzile, laddove il D. si era limitato a chiederne la riduzione – si duole del fatto che, nel pronunciarsi sulla domanda minore di riduzione di detto assegno, effettivamente proposta dal medesimo e ricompresa in quella di revoca, sulla quale il primo giudice si era pronunciato d’ufficio, La Corte non abbia “statuito quale giudice di seconda istanza, contestando e superando le motivazioni del provvedimento reclamato”.

La Corte d’appello avrebbe, invero, “dato corso ad un novum iudicium”, ovvero ad “un’autonoma second opinion sui fatti di giudizio”, senza neppure confrontarsi con la motivazione del riferimento alla fase della convivenza coniugale il parametro di giudizio adottato, fondato su di una divisione del compiti, che avrebbe visto la D.R. svolgere esclusivamente l’attività domestica, laddove il D. avrebbe svolto un’attività lavorativa lucrativa. E tale parametro di valutazione la Corte avrebbe proiettato automaticamente ed immodificabilmente nel periodo successivo al divorzio, senza tenere conto del tempo trascorso dalla pronuncia di scioglimento del matrimonio (oltre dieci anni) e della totale inerzia della D.R., la quale non avrebbe in alcun modo provato in giudizio di essersi a,ttivata nel cercare un’attività lavorativa retribuita, non essendosi iscritta neppure al collocamento.

1.2. Deduce, inoltre, l’istante che la statuizione di appello concernente il figlio maggiorenne F. sarebbe stata assunta su conclusioni del tutto “generiche ed assertive”, essendosi la Corte basata sulle sole dichiarazioni della madre, la quale aveva affermato che il figlio frequentava “un corso gratuito per arricchire il suo curriculum” e che – pur non essendo riuscito a trovare un lavoro stabile – aveva svolto “lavori temporanei e precari”. Il tutto in assenza, pertanto, di qualsivoglia prova al riguardo, in violazione dell’art. 115 c.p.c.. Il provvedimento emesso in sede di reclamo sarebbe, peraltro, anche palesemente contraddittorio in punto decorrenza della riduzione del quantum, atteso che, nella parte dispositiva, la reintroduzione dell’assegno a favore del figlio, sebbene ridotto dalla Corte d’appello ad Euro 150,00, è stabilita con effetto dal 18 dicembre 2014, mentre nella parte motiva la decorrenza è affermata con riferimento alla data di pubblicazione della sentenza (2 gennaio 2017).

2. Le censure sono parzialmente fondate, nei limiti che si passa ad esporre.

2.1. Va osservato che il giudice richiesto della revisione dell’assegno divorzile, che incida sulla stessa spettanza del relativo diritto (precedentemente riconosciuto), o che abbia ad oggetto una sua riduzione, in ragione della sopravvenienza di giustificati motivi dopo la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, deve verificare se tali motivi giustifichino, o meno, la negazione, o la riduzione, del diritto all’assegno a causa della sopraggiunta “indipendenza o autosufficienza economica” dell’ex coniuge beneficiario. Tale sopraggiunta indipendenza economica va desunta dai seguenti “indici”: possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri “lato sensu” imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), stabile disponibilità di una casa di abitazione, nonché eventualmente altri – rilevanti nelle singole fattispecie – senza, invece, tener conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; il tutto sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dall’ex coniuge obbligato, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’ex coniuge beneficiario (Cass., 22/06/2017, n. 15481).

2.2. Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, nell’accogliere il reclamo della D.R., in relazione all’assegno divorzile, ha fatto corretta applicazione di tali principi.

2.2.1. Non risponde al vero, infatti, che la Corte territoriale abbia operato un novum iudicium, senza confrontarsi con la decisione di primo grado, avendo – ben al contrario – il giudice di seconda istanza valutato il secondo motivo di reclamo proposto dalla D.R., avente ad oggetto la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, reputandolo fondato. La Corte d’appello ha, per vero, correttamente affermato – accogliendo tale motivo di reclamo, con il quale la reclamante aveva dedotto che l’onere della prova circa la sopravvenienza di circostanze idonee ad evidenziare un mutamento delle condizioni patrimoniali delle parti gravava sul D., che aveva chiesto la riduzione dell’assegno divorzile – che nel procedimento di revisione, instaurato ai sensi della norma di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, deve essere allegata e dimostrata, dalla parte istante, la sopravvenienza di fatti nuovi, idonei ad evidenziare un’alterazione dell’equilibrio economico tra i contendenti, rispetto a quello accertato nel giudizio di divorzio.

Il giudizio operato dal Tribunale si era, per contro, incentrato esclusivamente sul tempo trascorso dalla regolamentazione dei profili economici tra le parti operata in sede di divorzio, senza che la D.R. avesse dimostrato di essersi attivata per reperire un’occupazione. In tal modo – a giudizio della Corte d’appello – la valutazione a favore del coniuge istante era stata erroneamente effettuata dal primo giudice a prescindere dalla sussistenza di sopravvenienze suscettibili di evidenziare uno sbilancio economico della parte ricorrente, come richiesto dalla L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1.

2.2.2. Per converso, la Corte territoriale ha accertato che – a fronte di una situazione economica del D. sostanzialmente invariata – la situazione reddituale della D.R. non aveva, del pari, subito cambiamento alcuno successivamente all’emissione della sentenza di divorzio, avendo le parti concordato – fin dal tempo della convivenza coniugale – che la medesima si sarebbe dedicata esclusivamente alla cura della famiglia, senza svolgere alcuna attività lavorativa. Il giudice del gravame ha, dipoi, verificato – sulla base della documentazione versata dalla medesima in atti – che la medesima non è proprietaria “di beni immobili, mobili registrati e/o imbarcazioni né, ancora, titolare di quote sociali, depositi bancari e titoli, di non avere spese per mutui e/o finanziamenti, che non dispone di redditi, non avendo, allo stato, attività lavorativa di sorta, ad accezione di lavori occasionali”. La D.R. non ha, inoltre, la disponibilità di una propria casa di abitazione, ma vive con i figli in un alloggio di proprietà dell’amministrazione militare, per il quale dovrebbe pagare un canone locativo che non riesce, in realtà, a corrispondere, essendo senza redditi, per cui – come la Corte ha desunto da una lettera dell’ente locatore del febbraio 2016 – la medesima ha accumulato un notevole arretrato per canoni non versati, essendo risultata morosa per una somma pari ad Euro 8.330,85.

Infine, il giudice di seconda istanza ha accertato che per l’età della donna (cinquantacinque anni nel 2017) e per la mancanza di una qualificazione professionale e di pregresse esperienze lavorative, le prospettive della stessa di reperire un’attività remunerata dovevano ritenersi molto scarse. Ne’ risultava dimostrato – dalla parte sulla quale ricadeva il relativo onere – che la medesima avesse rifiutato concrete proposte occupazionali, al di là dell’allegazione di “meramente ipotetiche opportunità di lavoro”. La Corte ne ha tratto – del tutto correttamente – la conclusione che, “in difetto di circostanze sopravvenute idonee ad incidere sulla capacità economica e reddituale delle parti”, il reclamo proposto dalla D.R. dovesse essere accolto, con conseguente rigetto della domanda proposta dal D. con il ricorso del 18 dicembre 2014.

2.2.3. Le censure sono, per contro, fondate per quanto concerne, la situazione del figlio maggiorenne F.. Al riguardo deve rilevarsi che, secondo il più recente orientamento di questa Corte, la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto (Cass., 05/03/2018, n. 5088; Cass., 22/06/2016, n. 12952). Ne consegue che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Cass., 14/08/2020, n. 17183).

Nella specie, la Corte d’appello si è limitata ad un generico riferimento al mancato mutamento delle condizioni economiche del padre, ed a recepire le dichiarazioni della madre circa – non meglio precisati – lavori saltuari che il figlio F. svolgerebbe, senza alcuna specifica indagine circa l’impegno profuso da quest’ultimo sul quale ricade l’onere di provare il permanere delle condizioni per il suo mantenimento da parte del genitore – nella ricerca effettiva di un’occupazione, tenuto conto dell’età elevata (circa trentanove anni), e del fatto che il medesimo ha terminato gli studi da circa dieci anni. I motivi in esame vanno, di conseguenza, accolti limitatamente all’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne F. D..3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, accolto nei limiti suindicati, ed il decreto impugnato cassato con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame. Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali.

PQM

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in parte qua; rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

 

 

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