Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21812 del 29/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/08/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 29/08/2019), n.21812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7015-2016 proposto da:

POSIDONIA DI B.A. & C. SNC, elettivamente domiciliato

in ROMA VIA VIRGINIO ORSINI 19, presso lo studio dell’avvocato

ANTONIO BIFOLCO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI 1 DIREZIONE CENTRALE, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO MARIA FERRARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8262/2015 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 18/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. Posidonia di B.A. & c. snc propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 8262/17/15 del 18 settembre 2015, con la quale la commissione tributarla regionale della Campania, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento notificati dal Comune di Napoli per Tarsu 2007/2010 su taluni immobili della società, classificati in categoria catastale C/1 come magazzini, depositi e garage.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, sussisteva una presunzione legale di produzione di rifiuti presso gli immobili detenuti, fatta salva la prova contraria ad onere del contribuente (relativa alla natura degli immobili, alla loro destinazione ed alla loro affermata inutilizzabilità) circa la sussistenza in concreto dei presupposti di esenzione, ovvero riduzione, dell’imposta; nel caso di specie, la società non aveva fornito tale prova (affidata ad un’autocertificazione della legale rappresentante) limitandosi a sostenere la non tassabilità degli immobili in quanto costituiti da box e magazzini privi di forniture d’utenza e di fatto non utilizzati.

Resiste con controricorso il Comune di Napoli.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 111 Cost.. Per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso di motivare (o motivato in maniera soltanto apparente) sull’elemento decisivo di non tassabilità costituito dalla natura degli immobili; costituenti ‘beni-mercè oggetto dell’attività sociale di compravendita immobiliare, come risultante da documenti allegati (visura CCIAA; bilancio) e non esaminati.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto si assume, la Commissione Tributaria Regionale ha affrontato il tema decisivo di causa, motivando sia sull’oggetto della prova necessaria, così come desumibile dal corretto inquadramento della fattispecie legale dedotta (esenzione da imposta per inidoneità degli immobili a produrre rifiuti), sia sul suo mancato raggiungimento nella concretezza del caso.

Sotto quest’ultimo aspetto, in particolare, il giudice di appello ha affermato che la società si era limitata a sostenere che i locali in questione non fossero assoggettabili a Tarsu, “in quanto box e magazzini” e comunque “perchè privi di forniture e non utilizzati”, senza tuttavia “provare tali condizioni negli immobili in esame”. A tal fine, ha osservato il giudice di merito, non poteva ritenersi probante, perchè proveniente dalla stessa parte che invocava l’esenzione, l’autodichiarazione della legale rappresentante della società.

Non può dunque dirsi nè che la sentenza in esame abbia omesso di pronunciarsi sul motivo di opposizione concernente la non tassabilità dei locali perchè inutilizzati ed improduttivi di rifiuti, nè che la stessa abbia omesso di motivare sul (mancato) raggiungimento della relativa prova.

Altro è a dire che la valutazione probatoria così resa non sia conforme alle emergenze istruttorie; ma tale profilo non rientra nei vizi qui rassegnati (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), potendo al più rilevare sotto il diverso e non dedotto profilo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Fattispecie, quest’ultima, comunque anch’essa rigorosamente contenuta in ambiti tassativi, perchè oggi riferibile alla sola ipotesi di ‘omesso esamè di un fatto decisivo, ovvero di omessa considerazione di un elemento istruttorio certamente decisivo nell’indurre una diversa soluzione della lite (Cass. ord. n. 16812/18, Cass. n. 19150/16 ed altre).

Sennonchè, per quanto concerne il primo aspetto, vale quanto si è già osservato in ordine alla circostanza che il giudice di appello, lungi dall’ometterlo, abbia individuato e preso in esame il fatto decisivo di causa, con ciò addivenendo ad una determinata – e qui non rivedibile – ricostruzione della fattispecie concreta (tra l’altro in linea con quanto già ritenuto dal primo giudice).

Per quanto concerne il secondo aspetto, non potrebbe comunque dirsi che la documentazione di cui si lamenta la pretermissione (risultanze camerali e bilancio) fosse in grado di certamente sovvertire l’esito del giudizio, posto che essa riguardava, a tutto concedere, la destinazione catastale e ‘di librò degli immobili, ma non il loro stato di concreto inutilizzo (di per sè non provato, trattandosi di garage e magazzini, dal mancato allaccio delle utenze) e di effettiva inidoneità alla produzione di rifiuti nelle annualità di riferimento (unico profilo rilevante ai fini della esenzione, ed in quanto tale esaminato dal giudice di merito).

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso la società deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, in relazione agli artt. 3 e 4 Regolamento Tarsu del Comune di Napoli; nonchè dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c.. Per avere la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, meramente riproduttiva di quella di primo grado, escluso valenza probatoria all’autocertificazione allegata, nonostante che il mancato utilizzo degli immobili ed il mancato allaccio di utenze integrassero circostanze negative non altrimenti dimostrabili.

p. 3.2 Il motivo è infondato.

Stabilisce il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 (norma alla quale si conforma il regolamento comunale) che (comma 1): “La tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in via continuativa nei modi previsti dagli artt. 58 e 59, fermo restando quanto disposto dall’art. 59, comma 4. (…)”; e che (comma 2): “Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”.

La disciplina fondamentale del tributo prevede dunque espressamente l’ipotesi di esenzione dalla tassa dei locali e delle aree che non possono produrre rifiuti in ragione della loro natura o della loro stabile destinazione; ciò, però, a condizione che tali circostanze fattuali siano denunciate dal contribuente e, in caso di contestazione da parte dell’amministrazione comunale, da lui provate in base “ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”.

Risulta dunque che quando il giudice di appello ha, da un lato, richiamato la presunzione legale di generale produttività dei rifiuti da parte degli immobili detenuti (e quindi di tassabilità) assumendo, dall’altro, che tale presunzione non era stata superata dal contribuente sul quale gravava il relativo onere, altro non ha fatto che correttamente applicare al caso concreto la disciplina legislativa e regolamentare di riferimento.

Si è in proposito più volte stabilito che: “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicchè, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista dall’art. 62 cit., comma 2, per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione” (Cass.ord. n. 19469/14); e, inoltre, che: “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, per quelle aree detenute od occupate aventi specifiche caratteristiche strutturali e di destinazione, atteso che il principio, secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, costituendo l’esenzione, anche parziale, un’eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito con cui era stato escluso l’assoggettamento al tributo in considerazione della mera destinazione dell’immobile ad autorimessa, in assenza del concreto accertamento dell’improduttività di rifiuti)” (Cass.n. ord. 17622/16; così Cass.n. ord.n. 9790/18).

Quanto, infine, alla inefficacia probatoria – in sede giurisdizionale, non amministrativa – della dichiarazione dell’avente diritto, anche quando rilasciata secondo le formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, la decisione impugnata risulta conforme all’orientamento costante di legittimità: Cass.n. ord.5708/18; 9010/16; 4556/14; 6755/10 ed innumerevoli altre.

Ne segue quindi il rigetto del ricorso, con condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.900,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge;

v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

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