Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21812 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 09/10/2020), n.21812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14721-2014 proposto da:

LONDA IMMOBILIARE SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 44, presso

lo studio dell’avvocato LUCA PARDINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUCIA BIANCHINI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI MASSA CARRARA in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 144/2014 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 28/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE.

p. 1. La Londa Immobiliare srl propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 144/1/14 del 28.1.14, con la quale la commissione tributaria regionale della Toscana, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione notificatole l’8.6.2011 dalla agenzia delle entrate in revoca (per mancato adempimento dell’obbligo di trasferimento nel triennio) dell’agevolazione da essa fruita sull’atto registrato il 4 aprile 2006; atto con il quale la società aveva acquistato da soggetti privati un fabbricato di civile abitazione (autoliquidando l’imposta di registro all’1% e l’imposta ipo-catastale in misura fissa, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 1, comma 1, 6^ periodo, Tariffa Prima Parte allegata), contestualmente impegnandosi alla sua rivendita entro tre anni dall’acquisto.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – correttamente l’ufficio aveva revocato l’agevolazione, non essendo contestato in atti che la società non avesse rivenduto il compendio immobiliare nel triennio, con conseguente assoggettamento dell’atto di trasferimento all’imposta di registro ed ipo-catastale in misura ordinaria; – a nulla rilevava, ai fini dell’eventuale decadenza dell’azione accertativa dell’amministrazione finanziaria, che quest’ultima avesse disposto la revoca del beneficio per mancato trasferimento dell’immobile nel triennio e non per l’insussistenza originaria dei presupposti agevolativi, dal momento che la società non poteva giovarsi di tale insussistenza, pena un malcelato intento elusivo e la modificazione dell’oggetto del contendere, al solo fine di fruire di un termine di decadenza più breve.

L’agenzia delle entrate si è costituita per l’eventuale discussione in udienza.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360 c.p.c., commi 1, n. 4 – nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di appello concernente l’intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria, la quale aveva applicato, facendo decorrere il termine di accertamento dall’inutile spirare del triennio di rivendita dell’immobile, un’imposta complementare che doveva invece essere richiesta, quale imposta suppletiva, nei tre anni dalla registrazione dell’atto (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2).

p. 2.2 Il motivo è infondato.

E’ infatti evidente che, nell’affermare la legittimità dell’avviso di liquidazione all’esito della revoca dell’agevolazione fruita, il giudice di merito abbia per ciò solo implicitamente disatteso il motivo di opposizione, avente natura preliminare, concernente l’affermata decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’azione di accertamento; motivo della cui formulazione la Commissione Tributaria Regionale dà puntualmente conto.

Va dunque fatta qui applicazione del principio secondo cui per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Il che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi, in proposito, una specifica argomentazione; dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (tra le molte: Cass. nn. 452/15, 16254/12, 20311/11 ed innumerevoli altre).

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si reitera in via subordinata, ovvero alternativa, analoga doglianza sotto il profilo della ‘omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudiziò; appunto relativo alla decadenza dell’amministrazione finanziaria per omesso rilievo della insussistenza ab origine dei presupposti agevolativi.

p. 3.2 II motivo è inammissibile.

Esso è testualmente riferito al vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile anche al ricorso per cassazione contro sentenze del giudice tributario: Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014), il quale si sostanzia, com’è noto, nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; dunque, non in una “carenza di motivazione”, e neppure in una “omessa pronuncia” e neppure, ancora, in una “omessa motivazione” (se non, quest’ultima, nei rigorosi limiti di rilevanza costituzionale fissati dalle SSUU cit., tuttavia nemmeno dedotti nel caso di specie).

La stessa sovrapposizione cumulativa di queste diverse doglianze, così come resa palese nell’esposizione in ricorso, vale di per sè ad inficiare il motivo in esame, in quanto avulso dalla tipicità dei vizi oggi rilevanti ex art. 360 c.p.c., ed in realtà scollegato dalla stessa sentenza impugnata la quale, come detto, non ha omesso di esaminare il profilo lamentato, rigettando per implicito il relativo motivo di gravame.

Va poi considerato come esso non possa trovare accoglimento neppure se valutato nell’unica ottica ammissibile, appunto quella dell”omesso esamè di fatto decisivo, dal momento che quest’ultimo deve cadere, appunto, su un ‘fattò storico o materiale, là dove la censura si duole piuttosto di un’erronea interpretazione giuridica della disciplina decadenziale in concreto applicabile, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 76.

Si è in proposito affermato che: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo” (Cass. n. 22397/19 ord; conf. 26305/18 ord. ed altre).

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di legge, dal momento che l’insussistenza iniziale dei presupposti della agevolazione doveva desumersi dal fatto che l’immobile era stato trasferito alla società da parte di soggetti privati, e che l’operazione, ancorchè fuori campo Iva, non era esente dall’imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10; dal che risultava evidente come l’ufficio avesse avuto la possibilità di recuperare la maggiore imposta nell’ordinario termine decadenziale (pacificamente non rispettato) di tre anni dalla registrazione dell’atto.

p. 4.2 Il motivo è infondato.

Ancorchè l’amministrazione fosse decaduta dalla potestà di contestare l’agevolazione in questione per difetto originario dei relativi requisiti (acquisto da privati fuori campo Iva, ma non esente dall’imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10), non altrettanto è a dirsi per il disconoscimento della stessa agevolazione in forza di una causa (mancato trasferimento nel triennio dall’acquisto) tutt’affatto diversa, ed in ordine alla quale il termine triennale di accertamento – perchè decorrente dal fatto sopravvenuto costituito dalla inutile scadenza del triennio di adempimento – non era ancora decorso, com’è pacifico, al momento della notificazione dell’avviso.

Altrimenti detto, se basata sul difetto originario dei requisiti agevolativi, la maggiore imposta (complementare) di registro in recupero della illegittima fruizione della agevolazione doveva in effetti essere richiesta dall’amministrazione finanziaria entro il termine di tre anni dalla registrazione dell’atto; fin da questo momento, infatti, essa era in grado di accertare tale difetto (SSUU 1196/00). E tuttavia, è sempre in applicazione di questo stesso principio che l’amministrazione poteva disconoscere per altro titolo l’agevolazione, e procedere al recupero, usufruendo del termine triennale di accertamento appunto decorrente dal momento (inutile spirare del triennio di adempimento dell’obbligo di trasferimento dell’immobile) in cui la diversa causa di revoca si era concretizzata, così da poter (dover) essere verificata e sostenuta.

D’altra parte, la mancata attivazione dell’amministrazione finanziaria entro il triennio dalla registrazione dell’atto (per far valere il difetto originario dei requisiti agevolativi) ha fatto sì che il regime agevolato (ancorchè indebito, come riconosciuto dalla stessa società contribuente) prendesse pieno vigore in tutti i suoi effetti di legge, compreso dunque l’obbligo di trasferimento dell’immobile nel triennio; da qui l’autonomia – anche quanto a disciplina decadenziale – della diversa ed ulteriore causa di recupero individuata nel mancato adempimento di questo obbligo.

Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett a).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

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