Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21810 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 28/10/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 28/10/2016), n.21810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3425-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 152/2008 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO, ,

depositata il 16/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con atto notificato il 30.1.2010 l’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio, n. 152/36/08 dep. 16.12.2008, che, confermando la decisione della CTP di Roma, ha rigettato l’appello dell’Ufficio.

Il contenzioso ha origine dalla notifica di due avvisi di accertamento induttivo (ai fini delle IIDD e dell’IVA, per l’anno (OMISSIS)), a (OMISSIS) s.r.l. (successivamente fallita), che la CTR ha ritenuto illegittimi sulla base di una contabilità regolarmente tenuta, in relazione alla quale l’Ufficio non avrebbe potuto applicare i parametri presuntivi, in quanto “la mancata apertura di un conto corrente bancario e la mancata remunerazione dei soci”.. “non sono certo sufficienti per poter dimostrare una evasione fiscale”, trattandosi di indizi inidonei “a configurare una prova presuntiva”. L’intimato non si è costituito.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Col primo motivo del ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 40 e 39; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.), per avere la CTR ritenuto che la mera regolarità formale delle scritture contabili, in presenza di una pluralità di elementi indici di un maggior reddito, sia idonea a ritenere illegittimo l’accertamento induttivo, gravando per contro sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria rispetto a quanto presuntivamente accertato.

2. Col secondo motivo si denuncia omessa motivazione (ex art. 360 c.p.c., n. 5), sul fatto decisivo, rappresentato dalla sussistenza del maggior reddito della società, accertato sulla base di una pluralità di circostanze, incoerenti con la dichiarazione dei redditi presentata.

3. I motivi, da esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono fondati e vanno accolti.

2.1. Questa Corte ha affermato che l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, può fare ricorso all’accertamento analitico-presuntivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, quando i valori desunti dalla procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, superano il dichiarato dal contribuente, ponendosi in tal caso, detti “standards”, come uno strumento di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, che si affianca agli altri strumenti previsti dalle norme suindicate. Incombe in tali casi sul contribuente l’onere di muovere rilievi specifici ai coefficienti parametrici applicati, nonchè di provare – sia in sede amministrativa, che dinanzi al giudice tributario di merito – la sussistenza delle condizioni, anche con riferimento alla specifica realtà dell’attività economica esercitata, che giustifichino l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo “standard” prescelto dall’amministrazione finanziaria (cfr., in tal senso, S.U. n. 26635/09, Cass. n. 4148/09, Cass. n. 12558/10; Cass. n. 6929/2013).

2.2. In definitiva, dunque, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità dell’atto di accertamento fondato sui suddetti parametri, è tenuto a valutare, in primis, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, e solo una volta ritenuto che si sia formata una valida prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss., dovrà dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, gravato da tale onere specifico (Cass. 9784/10; v. anche Cass. n. 26036 del 30/12/2015; n. 23550 del 05/11/2014; n. 20060 del 24/09/2014).

2.3. La CTR non ha fatto corretta applicazione della normativa suindicata, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, con conseguente vizio di motivazione, avendo erroneamente ritenuto insuscettibile di rettifica il reddito della società per il solo fatto della regolarità formale delle scritture contabili, in difetto di una piena prova di evasione da parte dell’Ufficio, il cui potere impositivo non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente. Per converso – come dianzi rilevato – grava sul contribuente, il quale intenda contestare l’accertamento, promuovere il riesame dell’atto in sede giurisdizionale, sulla base di specifiche allegazioni e fornendo un’ulteriore controprova alle presunzioni desunte dai parametri applicati dall’amministrazione.

4. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata con rinvio alla CTR del Lazio, che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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